di Stefano Biasioli – domenica 3 maggio 2020
Concordo parzialmente con Riccardo Ruggeri (La Verità del 1° maggio): “..non mi interessa l’aspetto politico della fase 2”, ma, a differenza sua, mi interessano….” prima l’aspetto sanitario e poi l’aspetto manageriale”.
Concordo ancora con Lui sul fatto che “…il premier sta gestendo la virosi aggrappandosi ad un club di virologi vanesi…”. Cui vanno aggiunti i 475 esperti di varia e dubbia estrazione, scelti sulla base dell’affinità politica e non certo della competenza in pandemie simili a questa.
Finalmente, dopo giorni di strani silenzi, anche i giornalisti di testate nazionali storiche si sono accorti che le previsioni catastrofiche fatte da Conte e dal suo team, su potenziali disastri causati da un eventuale “liberi tutti”, erano sbagliate, statisticamente e gravemente sbagliate.
Da medico, qualche lavoro scientifico l’ho impostato-condotto-scritto e conosco bene la pignoleria con cui i “revisori” dei vari giornali scientifici guardano l’impostazione e l’esecuzione di una ricerca (casi trattati e non; obiettivi principali e secondari dello studio; i dati ottenuti, le loro statistiche; le conclusioni).
Sulla correttezza dell’impostazione di una ricerca e sulle statistiche conseguenti, non si scherza, in medicina. Ma “Quelli”della task-force di Conte, hanno preso fischi per fiaschi.
I FATTI
Prima del COVID-19 i posti letto in terapia intensiva (T.I.) erano, in tutta Italia, 5.179. Ossia pari a 8,6 per 100.000 abitanti, un valore ben inferiore alla media nella U.E. Ma si trattava solo di un valore teorico, perché – in molte Regioni- i posti realmente attivi erano valutabili attorno ad un indice 7/100.000.
L’ondata epidemica ha così costretto le Regioni ad aumentarne frettolosamente il numero, con risultati drammatici in alcune e accettabili/buoni in altre. Si è così arrivati ad un numero nazionale di posti letto in T.I. di 8.490(+ 3.311 !), ossia a un valore di 15,5per i soliti 100.000 abitanti.
È evidente che questi letti di T.I., in questo periodo, non servivano solo per i malati COVID più gravi ma dovevano essere utilizzati anche per i malati “già esistenti” in rianimazione perché affetti da altre gravi patologie acute, perché con un decorso post-operatorio impegnativo, perché pazienti cronici gravemente riacutizzati, quindi bisognosi di cure estreme.
In piena pandemia, cosa si è fatto? Si sono frettolosamente allestiti nuovi posti intensivi e si è bloccata l’attività clinica ordinaria(“fatte salve le urgenze”) trasformando le T.I in “rianimazioni dedicate quasi totalmente ai pazienti COVID”. Il sistema ha, bene o male, tenuto.
Molto meglio nel Triveneto che in Lombardia, dove si è assistito a scene clinicamente tragiche. Meglio al Centro-Sud che al Centro-Nord.
Ma non vogliamo fare classifiche di demerito o di merito e non è ancora il momento per valutazioni diverse da quelle cliniche.
Da fine marzo, il decorso della pandemia sta cambiando.
La stessa Protezione Civile(bollettino, riportato dal Corriere Sera, del 30 Aprile, pag.10; articolo di F. Caccia e M. De Bac) certifica che, dall’inizio di Aprile, le T.I. hanno cominciato a svuotarsi, con i posti COVID in progressiva riduzione, a favore dei pazienti con altre patologie, gravi. Mentre si stanno lentamente normalizzando le altre attività ospedaliere ordinarie, di natura medica, chirurgica, strumentale.
Il 29 Aprile, in Italia, su 8.490 posti attivati di T.I., ben 1.795 risultavano liberi.
In Lombardia, da un massimo di 1.800 posti occupati in T.I. si è passati a circa 1000 (per tutte le patologie, non solo per i Covid!).
In Emilia Romagna, su 478 posti disponibili, 202 sono liberi.
Liberi pure molti letti nelle rianimazioni di Liguria, Basilicata, Marche, F.V.G.
ASPETTI VENETI
E, in Veneto? In Veneto, nelle rianimazioni, si è passati da 485 posti letto (base) ad un massimo di 825 posti letto(inizio virosi). Nelle T.I., il numero massimo di posti letto di occupati per COVID si è avuto tra il 30 e il 31 marzo (356 posti), quando i ricoverati COVID in ospedale hanno raggiunto il top (2.084).
Ossia il 17,08% dei ricoverati era finito in T.I.
Da allora i numeri di entrambi i parametri (ricoveri ospedalieri COVID e letti COVID in T.I.) sono stati costantemente in discesa, fino ai dati ufficiali del 2 maggio: in T.I. 108 posti COVID e 237 posti non-COVID; in ospedale, 1.087 pazienti COVID (inclusi quelli trattati in rianimazione), con altri 7.000 ospedalizzati non-COVID.
In definitiva, anche i numeri veneti dicono che, al massimo della tempesta pandemica, in T.I è stato usato – per gli infettati – il 43,15% della dotazione “massima” e il 73,4% di quella “minima”.
In questi ultimi giorni, sempre in T.I., i pazienti non-COVID hanno superato quelli COVID: 237 a 108, con un totale regionale di 345 posti intensivi occupati.
In sintesi: 345/485= 71,13% e 345/825= 41,81%.
Numeri e “storie cliniche personali” frutto della “programmazione strategica regionale” e del “sacrificio dei sanitari” durante (durante!?) la pandemia.
MORALE della STORIA
Se questi sono i dati, accumulati da marzo ad oggi, come può permettersi la TASK-FORCE nazionale (!, nomen omen…) di pronosticare situazioni catastrofiche per i prossimi mesi, financo in caso di recidiva devastante?
Come è possibile ipotizzare che la recidiva di una virosi– che si sta attenuando- possa avere effetti più drammatici di quelli iniziali, quando il nostro SSN è stato preso alla sprovvista o quasi, per l’incapacità delle organizzazioni sanitarie nazionali di affrontare con consapevolezza e in modo strutturato questa “strana virosi” in arrivo dalla CINA?
Come è possibile (lo chiediamo anche a Conte e a Speranza) dare credito ad un ALGORITMO FANTASIOSO, senza tener conto del senso di responsabilità mostrato in questi mesi dagli italiani, con i loro comportamenti “adeguati” alla virosi e alle indicazioni nazionali e regionali?
Siamo in Italia. Ci saranno dei processi. E “Qualcuno”, un giorno, nelle aule di un tribunale ci dirà se, a Palazzo Chigi e dintorni, ci siano stati comportamente colposi come tempistica e come scelte e se non sia stato creato un paniconella gente, ben superiore a quello indotto – di per se’- dalla presenza di una virosi.
È evidente che doveva-debba-dovrà essere garantita la sicurezza sanitaria dei cittadini, partendo dalla conferma e dal rispetto delle regole sanitarie basilari. “Non va abbassata la guardia”, dice Zaia, che continua “..occorre passare dai suggerimenti clinici ai comportamenti del popolo, responsabilizzandolo e garantendone l’autonomia, per favorire la tutela propria e degli altri…”( Protezione Civile, Marghera, ore 13.15 del 2 maggio).
LE ESPERIENZE ALTRUI
Un recentissimo studio inglese, effettuato su ben 16.747 inglesi infettati, dimostra che i pazienti COVID ospedalizzati muoiono nel 33% dei casi e guariscono nel 49% dei casi.
E gli altri?Gli altri finiscono in T.I. con prognosi drammatica (morte o agonia) nel 50% del totale. Brutalmente, ulteriori decessi.
Quindi, rianimazione, significa dramma, soprattutto in presenza di comorbidità: obesità, patologie cardiovascolari (29%), diabete mellito (19%), pneumopatia cronica non asmatica (19%) o asmatica (14%).
Altri lavori recenti confermano che le espressioni cliniche della malattia possono essere variegate. Infatti il quadro clinico può essere RESPIRATORIO(tosse, espettorazione-sputo, dolori alla gola, gocciolio nasale, dispnea e dolore toracico, alterazioni gusto-olfatto), SISTEMICO(febbre, mialgie, artralgie, stanchezza) o GASTRO-INTESTINALE(dolore addominale, vomito, diarrea).
Quindi,molto più variabiledi quanto asserito inizialmente dai cinesi (disturbi respiratori), configurando invece spesso un quadro di coagulazione intravascolare, associato ai danni diffusi da interleuchina 6. Per non parlare della comparsa improvvisa di diabete in soggetti prima non diabetici, della comparsa di iperglicemie difficilmente trattabili in vecchi diabetici e, infine, di patologie neurologiche diverse per intensità e durata.
CONCLUSIONI (di un vecchio Primario…)
In medicina, la PRASSI VINCE SPESSO SULLA TEORIA. Ed è per questo elemento che i “medici senior” hanno molto da insegnare ai neolaureati e agli specializzandi. L’esperienza è una grande maestra, da Esculapio in poi.
Con il passare dei mesi, le informazioni “sul campo”aggiungono e aggiungeranno importanti mattonelle alla costruzione di uno schema terapeutico efficace: le linee guida – certificate e asseverate da casistiche consistenti- da seguire in questa virosi, oggi e nel futuro prossimo. Come elementi base per affrontare le ulteriori epidemie-pandemie, che ci saranno, ancora.
Fondamentale si conferma la scelta di tenere a domicilio(e trattare precocemente) i pazienti con sintomatologia più leggera. Nei casi più impegnativi, invece, il ricovero ospedalierodovrebbe essere prevalentemente indirizzato verso i reparti di malattie infettive o di terapia sub-intensiva (pneumologica e non) usando tutto l’armamentario terapeutico finora dimostratosi utile, in attesa del vaccino o di un cocktailfarmacologico “codificato”.
Usando cioè quello che è stato usato, empiricamente, finora: idrossiclorochina, azitromicina, remsdesivir, lopinavir/ritonavir, cortisonici, tocilizumab, eparina a basso peso molecolare, plasma dei guariti, plasmaferesi o tecniche di adsorbimento della IL-6 etc. Ultima risorsa, la T.I. e l’intubazione…
Empiricamente, perché ci sono poche linee guida (es. quelle americane IDSA,Aprile 2020, fonte Medscape) che non aiutano la prassi perché raccomandano l’uso dei farmaci sopracitati solo “nel contesto di un trial clinico” (sic!), come se i 40.000 italiani ospedalizzati non dovessero invece essere trattati con ogni mezzo disponibile, con esperienza e con intuito.
In ogni caso, la terapia va personalizzataossia adeguata al singolo caso clinico, per cercare di guarire il paziente, evitandogli danni aggiuntivi.
Ai politici il compito di tener conto di quanto successo. Non è polemica pensare, dire e scrivere quanto segue:
- Non si possono tagliare i fondi per il SSN, come fatto nell’ultimo decennio (dati Non si possono tagliare i fondi per il SSN, come fatto nell’ultimo decennio (dati ISTAT , CNEL etc.)
- Non si possono tagliare posti letto ospedalieri, arrivando a percentuali di dotazione inferiori alla media U.E.;
- Non si possono avere posti letto di T.I. insufficientia coprire le frequentissime emergenze e le gravi complicanze dei “vecchietti-vecchioni”;
- Non si può non avere una rete provinciale di U.O.C (unità operative complesse) di Malattie infettive, in presenza di una crescente mobilità della popolazione mondiale;
- Non si può non avere una RETE dedicata alle EMERGENZE SANITARIE(Protezione sanitaria), specifica e con una breve linea di comando (nazionale, regionale, provinciale);
- Non si può non ridefinire la struttura dell’ASSISTENZA MEDICO-SANITARIA sul TERRITORIO, per evitare accessi impropri all’ospedale, luogo di cura secondaria ma fonte di specifiche infezioni.
NON SI PUÒ. Questo lo dico IO, ma non sono solo.
Questo lo dico IO, ma è compito della politica dare una risposta completa, che metta in sicurezza la salute dei cittadini, oggi, domani e dopodomani.
Non servono DPCM e circolari, serve un NUOVO PIANO SANITARIO NAZIONALE, 42 anni dopo quello della senatrice-ministro Anselmi. Un nuovo piano, con nuove articolazioni, standard del personale, adeguatezza di strutture e macchinari, semplificazione delle regole per il personale e per gli acquisti, per la costruzione-manutenzione degli stabili. Un piano che chiarisca in modo definitivo rapporti gestionali tra stato e regioni e che garantisca un finanziamento adeguato al SSN.
Altrimenti, ricascheremo a breve nel caos dei scorsi mesi, con la morte di tanti italiani, inclusi coloro che sono stati in prima linea. Qualcuno mi ascolterà?
Stefano Biasioli
Primario Nefrologo in pensione
Sindacalista medico, in pensione
Consigliere Cnel
“Ma non, per questo, vecchio da buttare”