Articolo di Giuliano Cazzola del 24.09.18
Da oltre trent’anni mi sono interessato, in vari ruoli, di previdenza e di welfare. A torto o a ragione, in tutto questo tempo, mi sono convinto che l’incremento dell’età pensionabile in ragione della maggiore attesa di vita fosse il passaggio obbligato per rendere tendenzialmente sostenibile il sistema. E quindi mi sono sempre misurato – da sconfitto – con il pensionamento di anzianità (non come istituto in sé, ma per le regole troppo lasche che lo hanno sempre contraddistinto) che ha consentito di anticipare (per gli uomini residenti al Nord e figli del baby boom) l’età effettiva della quiescenza in direzione inversa a quella del periodo di godimento della prestazione.
Nelle proposte contenute nel contratto di governo viene valorizzato il pensionamento di anzianità attraverso la possibilità di usufruire di due uscite: quota 100 come somma dell’età anagrafica e dei versamenti contributivi (si è a lungo discusso di inserire un’età minima che ora pare assestata a 62 anni, ma ogni giorno cambiano gli scenari, il perimetro delle modifiche e le platee interessate) o in alternativa quota 41 anni (o 41,5) come anzianità di servizio, a prescindere dall’età anagrafica. …CONTINUA A LEGGERE