Follie italiane

Pensioni, l’Inps rivuole i soldi per darli agli immigrati

4 Ottobre 2017

Ci mancava soltanto il turismo previdenziale per mungere il sistema pensionistico pubblico italiano. Mentre l’Inps si accanisce sui pensionati italiani, chiedendo la restituzione (a rate), di cifre modeste, si scopre che per anni l’Istituto è stato assai generoso a seminare quattrini in giro per il mondo, senza controllare la veridicità delle dichiarazioni per incassare gli assegni assistenziali.

Un sistema ormai rodato che prevedeva: transitare in Italia, acquisire la residenza (e relativo contocorrente), istruire le pratiche presso l’Inps e chiedere la pensione sociale. Un bonus mensile da circa 45 0 euro netti per 13 mensilità.

Tra le condizioni (in teoria), l’obbligo di risiedere in Italia, aver compiuto 65 anni (tenendo conto anche dell’aggiornamento alle aspettative di vita), poter vantare almeno 10 anni anni di soggiorno continuativo in Italia (obbligo valido solo dal gennaio 2009), e, soprattutto poter dimostrare di trovarsi in «condizioni economiche disagiate».

Il Nucleo repressione frodi della Guardia di Finanza ha scoperto che c’era anche chi si era organizzato con un servizio di minivan. In 500 sono stati pizzicati (e denunciati), per «percezione indebita di sussidi», con un danno accertato di oltre 10,3 milioni di euro. La Gdf ha passato al setaccio 39.742 posizioni previdenziali in erogazioni sociali verso stranieri, sottoponendo i singoli ad un “indicatore cumulato di pericolosità”. Al termine delle indagini sono stati individuati 479 casi irregolari, sparsi un po’ in tutta Italia.

A scorrere la graduatoria economica si scopre che a Roma sono stati ben 46 “furbetti”, che hanno riscosso complessivamente 801.254 euro in trattamenti sociali. Solo a Milano le truffe hanno fruttato di più: 817.352 euro. Ripartiti però su soli 27 pensionati fintamente residenti. Il terzo posto del podio è andato a Bari dove sono contestati 635.790 euro per appropriazione indebita (suddivise in appena 17 contestazioni).

Interessante anche la nazionalità d’origine dei 479 casi contestati. Ben 65 contestatazioni sono state effettuate a carico di cittadini albanesi, 58 per marocchini e 49 ad argentini.

Il sistema ormai rodato – ha scoperto la guardia di Finanza – non conosceva limiti geografici. Richieste e assegni venivano incassati da cittadini italiani, comunitari o extracomunitari – con la residenza formale in Italia – ma nei fatti rintracciati stabilmente negli Stati Uniti, così come in Francia (5), Spagna (6), e in Cina (15). Le Fiamme Gialle hanno anche provato che dalla Romania (13 percettori scovati), partivano addirittura dei pulmini organizzati per accompagnare chi incassavae l’assegno e fare poi ritorno a casa.

Sono saltati fuori anche beneficiari che vivevano non proprio in condizioni economiche disagiate. La Gdf ha infatti accertato una coppia di anziani coniugi tunisini, solo formalmente residenti a Firenze che oltre ad incassare i quattrini dall’Inps aveva movimentato la bellezza di 370mila euro verso il Principato di Monaco. E questa stessa questa coppia negli anni aveva percepito la bellezza di 120mila euro. Una signora di 70 anni, di origine argentina, formalmente residente nella provincia di Cagliari, ha incassato 47mila euro di pensione sociale, salvo poi “spostare” 95mila euro verso la Repubblica popolare cinese per 95mila euro. Una 75enne di origine polacca, fittiziamente residente nella provincia di Frosinone, in accordo con un italiano, suo ex datore di lavoro, ha potuto beneficiare illegittimamente di 50mila euro, elargiti a suo favore dall’ Inps su un conto corrente cointestato con il complice e movimentati verso l’ estero tramite il sistema dei money transfer.

Se i cittadini stranieri (extracomunitari e non), sono riusciti a raggirare abbondantemente l’Inps, non mancano gli italiani che dichiarano condizioni di indigenza, affermano di risiedere in Italia e invece continuano ad incassare tranquillamente l’assegno assistenziale volando oltre confine. Sempre il Nucleo antitruffa delle Fiamme Gialle ha scovato (e denunciato), stando agli ultimi controlli, 517 italiani che giusto dopo aver maturato i requisiti per ottenere l’assegno sociale, si erano trasferiti in altri Stati non rispettando, così, il requisito essenziale della «stabile residenza». Secondo le prime stime si stima un danno a carico dell’Inps in questo caso di per oltre 16 ,5 milioni di euro.

Il sistema d’incrocio tra banche dati italiane e internazionali ha facilitato l’attività di indagine e accertamento. Ora resta da vedere come (e quando) si riusciranno a recuperare i capitali sottratti.

di Antonio Castro

 

BOERI DATO IN USCITA DALL’INPS

PER “LETTERA 43” BOERI HA LE ORE CONTATE

IN ARRIVO MARE’, DALLA PADELLA ALLA BRACE

Il giornale on line “Lettera 43” sabato 7 ottobre ha pubblicato un articolo di Francesco Pacifico dal titolo “Inps, il piano del PD per prepensionare Tito Boeri”.

Il presidente dell’INPS, che a detta del giornalista sarebbe inviso a Damiano e Sacconi, presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, avrebbe le ore contate perché sarebbe in dirittura d’arrivo la revisione della governance dell’Istituto, che diverrebbe così la scusa per dare il benservito a Boeri, con il ripristino di un Consiglio d’Amministrazione.

A sostituire Boeri alla guida dell’INPS, sempre secondo il giornalista di “Lettera 43”, arriverebbe Mauro Maré, consigliere di Pier Carlo Padoan e presidente di Mefop SpA, la società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione, di cui il Ministero dell’Economia è azionista di maggioranza.

Il rischio, quindi, è di cadere dalla padella nella brace. L’INPS passerebbe da un economista che spinge per il ricalcalo delle attuali pensioni con il sistema contributivo e per lo sviluppo della previdenza complementare ad un altro economista che attualmente è impegnato a far crescere l’adesione ai circa 90 fondi che aderiscono al Mefop. Ma un presidente innamorato del sistema previdenziale pubblico, no?

Da parte nostra continueremo ad ostacolare il disegno di Boeri, così come ostacoleremo quello di Maré, se arriverà all’INPS, o di chiunque altro cerchi di distruggere la previdenza sociale pubblica.

12 OTTOBRE TUTTI ALL’ARAN PER IL CONTRATTO

10 NOVEMBRE TUTTI IN SCIOPERO PER IL CONTRATTO E PER L’INPS

Roma, 9 ottobre 2017 (67/17) USB Pubblico Impiego INPS

7 ottobre 2017 – Francesco Pacifico – LETTERA 43 – 

In teoria Tito Boeri ha un mandato da presidente dell’Inps che scade nel 2020. In pratica ampi fronti del governo e – soprattutto – amplissimi settori della maggioranza starebbero studiando come pensionarlo già prima delle elezioni 2018 o subito dopo l’insediamento del nuovo governo. Il tutto con la benedizione dei sindacati. Come? Reintroducendo nella governance dell’ente previdenziale quel consiglio di amministrazione eliminato da Antonio Mastrapasqua e che lo stesso Boeri non ha mai mostrato di sentirne la mancanza.

SCONTRO SULL’ETÀ PENSIONISTICA. Nelle ultime settimane l’economista bocconiano – mai tenero con l’esecutivo – ha finito per fare muro con la Ragioneria generale dello Stato contro il congelamento dell’età pensionistica. Parallelamente ha proposto di creare un incentivo ad hoc per assumere le madri che hanno da poco partorito. Posizioni che ben si scontrano contro chi in maggioranza – soprattutto Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, ex ministri del Welfare e oggi potentissimi presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato – invece proponeva di congelare almeno per un anno l’aumento del tetto di uscita o di allargare l’utilizzo dell’Ape social per le donne.

In parlamento e in larghi settori del governo si vorrebbe arrivare al redde rationem con Boeri, che in passato è stato tra i principali consiglieri di Matteo Renzi sulle tematiche del welfare e del lavoro. L’occasione sarebbe data dalla proposte di riforma della governance degli enti previdenziali firmata da Damiano e da altri, che giace da tempo alla Camera e che potrebbero subire un’accelerazione nei tempi di approvazione.

REINTRODUZIONE DEI CDA. Il testo prevede fondamentalmente due modifiche rispetto allo status quo: reintroduce il consiglio di amministrazione e, nella parte destinata al riordino degli organi collegiali territoriali di Inps e Inail, dà al cda di questi istituti il potere di presentare al governo un progetto di riforma dei comitati centrali e territoriali degli enti per rimodulare e integrare i diversi livelli di responsabilità.

“Boeri all’Inps ha scatenato le ire dei sindacati per la creazione della segreteria unica che affianca il presidente e l’istituzione di direzioni metropolitane che confliggono coi livelli regionali”

Va da sé che questi due passaggi finirebbero per ridurre al lumicino i poteri del presidente e, di conseguenza, tutte le riorganizzazioni fatte in questi anni da Boeri, che ha finito per scatenare le ire dei sindacati soprattutto per la creazione della segreteria unica che affianca il presidente e l’istituzione di direzioni metropolitane che – per esempio in Campania, Lazio e Lombardia – confliggono con i livelli regionali. Per non parlare del fatto che, con una governance e il ritorno del cda, sarebbe quasi naturale azzerare gli attuali vertici.

ACCUSATO DI «FARE TERRORISMO». Chi lo conosce sa bene che Boeri non si è mai fatto intimidire dalle critiche della politica. Ultimamente Damiano lo ha accusato sulle pensioni di «fare terrorismo». Però c’è chi nella maggioranza spera che questo attivismo spinga il bocconiano a fare un passo indietro. Anche perché ci sarebbe già un candidato per la successione: è Mauro Marè, economista e consigliere principe di Pier Carlo Padoan al Tesoro, che ben conosce la materia previdenziale guidando il Mefop (l’ente che si occupa dello sviluppo dei fondi pensioni) e avendo proposto tra i primi in Italia la creazione di una pensione di garanzia per i giovani.

SINTESI del CONVEGNO PENSIONATI (PD, 07/10/17)

Un centinaio di pensionati veneti ha partecipato al nostro Convegno patavino, sabato 07/10/17 (Hotel 4 Points), seguendo con attenzione le articolate relazioni di Stefano Biasioli, Lorenzo Stevanato ed Ennio Orsini, dedicate alle criticità del momento pensionistico attuale.
Erano presenti anche Oriana Venturi (CONUP) ed esponenti delle sigle pensionistiche confederali, nonche’ rappresentanti dei pensionati friulani.
Dopo le relazioni ed una intensa discussione, l’Assemblea ha condiviso le proposte degli organizzatori, cosi’ riassumibili:
a) Prosecuzione dell’attività di propaganda e di raccordo con altre rappresentanze pensionistiche, per allargare la base informativa e partecipativa (prescindendo da aspetti ideologici);
b) Vigile attesa della Sentenza della C.Costituzionale del 24/10/17, in tema di mancata rivalutazione delle pensioni;
c) Prosecuzione della raccolta delle adesioni alla PETIZIONE per la SEPARAZIONE della ASSISTENZA dalla PREVIDENZA (ad oggi, abbiamo raccolto circa 500 adesioni nel Triveneto);
d) Organizzazione di un Convegno sulle CRITICITA’ PENSIONISTICHE (Gennaio 2018), con invito a Parlamentari ed Esperti;
e) Diffusione delle nostre idee utilizzando il web e (per quanto possibile) le TV (locali e non).
In tutti i presenti, una certezza: la tutela delle nostre pensioni sarà lunga e difficile, ma i pensionati -ora- hanno capito che un esito positivo potra’ essere ottenuto solo se saranno UNITI e se faranno pesare, al momento del voto, la loro ESASPERAZIONE per le continue angherie che questo Stato ha avuto nei loro confronti, da almeno venti anni.
(a cura di S. Biasioli).

PER QUALE PENSIONE STO CONTRIBUENDO?

Nel consueto silenzio di stampa e televisioni su un argomento ritenuto “minore” e poco consono al momento preelettorale, si susseguono, sulla rete, reazioni preoccupate alla notizia che è all’esame della prima Commissione della Camera (Affari Costituzionali) una proposta di legge a firma dell’onorevole Mazziotti di Celso ed altri (C3478) che punta alla modifica dell’articolo 38 della Costituzione. L’articolo 38 – va ricordato – proclama il diritto dei cittadini alla previdenza sociale, distinguendo i concetti di previdenza e di assistenza, la prima derivante dai contributi versati dai lavoratori, la seconda sostenuta da risorse provenienti dalla fiscalità generale.

Un editoriale dello stesso Mazziotti, per nulla convincente, sulla necessità di intervenire con la citata modifica costituzionale, comparso recentemente su “Formiche.net”, anziché placare gli animi ha finito per infiammare ancor più la polemica.

Al dibattito ritengo utile  contribuire con alcune osservazioni dal punto di vista di chi, come me, non ancora pensionato ma prossimo al traguardo, si ritrova nella condizione di aver versato, per vincolo normativo,  decenni di onerosi contributi all’INPS, di essersi poi visto dilatare dalla riforma Fornero il tempo di contribuzione necessario al pensionamento e di apprendere, ora, dell’esistenza di un disegno di modifica costituzionale che, in modo surrettizio, attribuisce all’INPS la potestà di ridurre gli assegni pensionistici attuali e futuri per ricavare le risorse necessarie ad integrare  altre pensioni  non coperte da adeguata contribuzione.

Leggendo, infatti, sia la proposta di modifica con relativa relazione di accompagnamento, che l’intervento dell’On. Mazziotti di Celso pubblicato da Formiche.net, appare evidente che la modifica costituzionale, con la finalità di non discriminare le generazioni,  è intesa a rendere possibile il livellamento verso il basso delle pensioni, magari in modo graduale o proporzionale, .

Ad aumentare l’inquietudine generata dall’iniziativa si aggiunge l’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, comparsa il 20 giugno, il quale, rammaricandosi di non essere stato in grado di tagliare le pensioni medio-alte per i vincoli posti dalla Corte Costituzionale, indica l’importo di € 2000 lordi (1340 netti) come limite al di sopra del quale gli importi corrisposti sarebbero passibili di riduzione.

Per accendere il semaforo verde a quanto  auspicato da Gutgeld,  si pensa ora di modificare la Costituzione ed, in nome del principio di sostenibilità, rendere in pratica possibile il ricalcolo delle pensioni già liquidate, indipendentemente dai contributi versati, in qualsiasi momento, senza vincoli se non quelli derivanti dal bilancio dell’INPS e dalle necessità assistenziali via via emergenti e ritenute prioritarie dal Governo di turno.

Nessun pensionato o pensionando potrà, in tal modo, far più conto su risorse certe e costanti per il suo sostentamento, essendo potestà del Governo ridurre, anche annualmente, l’ammontare della pensione in base alle più disparate,  e  forse discutibili,  necessità in favore di altri che non hanno egualmente contribuito.

Lo scenario appare fortemente penalizzante, oltre che per gli attuali pensionati, anche per chi, ancora attivo come lavoratore, sta versando contributi avvicinandosi all’età della pensione.

A che titolo, in quale misura e con quale diritto l’INPS potrebbe infatti continuare, una volta approvata la proposta Mazziotti, a prelevare da costoro contribuzioni che verrebbero domani dirottate per essere destinate a finanziare prestazioni di fatto assistenziali?

Una simile decurtazione, che riguarderebbe milioni di persone, sarebbe inaccettabile, venendo, di fatto, a costituire una ulteriore forma di tassazione odiosamente riservata ai soli iscritti alla previdenza obbligatoria INPS, ed impatterebbe sicuramente in termini negativi sul clima sociale, generando sentimenti di difesa e di chiusura, anziché di fiducia nella tenuta e nella ripresa dell’economia.

Ora, se è vero, come a più riprese sostenuto da autorevoli esperti, che la riforma Fornero aveva provveduto a riequilibrare le entrate e le uscite e, quindi, i conti del sistema previdenziale, è da chiedersi cosa sia nel frattempo intervenuto a modificare la situazione e quali siano, di conseguenza, le reali motivazioni della proposta Mazziotti.

E’ possibile ritenere che la risposta sia da ricercarsi nella crescita delle prestazioni assistenziali accordate in questi anni, sulla base di decisioni politiche, anche ispirate alla ricerca del consenso, che lo Stato stenta sempre più a ripianare creando così  preoccupanti scoperture nel bilancio dell’INPS.

L’ordinamento attuale, infatti, stabilisce chiaramente che le erogazioni assistenziali debbano essere coperte da risorse provenienti dalla fiscalità generale, mentre quelle previdenziali debbano essere coperte dai contributi che ogni lavoratore e datore di lavoro versa, accantonati come retribuzione differita e percepiti al momento della pensione.

Entrambe le gestioni sono affidate all’INPS che, teoricamente, vi provvede con contabilità separata:  la GIAS – gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali – istituita, presso l’INPS, dall’articolo 37 della L. 9 marzo 1989, n. 88 per la progressiva separazione tra previdenza e assistenza e la correlativa assunzione a carico dello Stato delle spese relative a quest’ultima, che tuttavia negli ultimi esercizi sono state solo parzialmente coperte.

In definitiva, la proposta Mazziotti si propone di liberare il bilancio dello Stato dall’onere di buona parte delle prestazioni assistenziali erogate dall’INPS, quelle cioè dovute ad insufficiente contribuzione, spostandolo a carico dei pensionati, ai quali verrebbe imposto di finanziarne il costo, rinunciando forzosamente a parte della loro pensione.

Piuttosto che aumentare le tasse o, più opportunamente, intervenire finalmente sul macroscopico problema dell’evasione e dell’erosione fiscale, rischiando  così di perdere consenso, si ritiene più conveniente e semplice scaricare i costi dell’assistenza sui pensionati INPS, già oggi gravati dai livelli di tassazione più elevati d’Europa!

Risulta sempre più evidente che, a questo punto, è necessario ed inderogabile pensare al riordino dell’INPS, affinché i lavoratori siano tutelati e non espropriati dei contributi versati e perché chi ha effettivo bisogno sia assistito con criteri di tracciabilità e di trasparenza. E’ irrinunciabile a tal fine separare la previdenza dall’assistenza e vincolare la prima alla contribuzione e la seconda alla fiscalità generale, per rendere possibili azioni mirate a supporto delle necessità assistenziali senza ricorrere all’esproprio delle pensioni.

Su questi presupposti la proposta di modificare l’articolo 38 della Costituzione appare una pericolosa scorciatoia, finalizzabile  a rendere difendibili, sul piano giudiziale,  mere azioni  di governance in materia previdenziale,  che finisce per  disconoscere che tutto ciò confligge con altri, più fondanti, principi della Costituzione repubblicana.

Più precisamente, l’attuazione dell’astratto ed inaudito principio di “non discriminazione” tra generazioni mediante l’esproprio dei trattamenti previdenziali medio-alti aprirebbe il varco ad un’altra, effettiva, discriminazione di diritti: quella tra pensionati INPS e non, e quella tra iscritti alla previdenza obbligatoria e non, per violazione dell’art. 3 e dell’art. 53 della Costituzione.

E non ci si venga a dire che le nostre sono solo delle “fobie”, perche’ – nei giorni scorsi- le anticipazioni uscite sul DEF fanno presupporre che, da adesso al 24 Ottobre, la politica farà pressione (ovviamente ufficiosa) sulla C. Costituzionale che, in quella data, dovra’ dare un autorevole parere sul problema della pluriennale mancata , totale, perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS, problema rinviato alla Corte da almeno 15 Corti dei Conti regionali e da parecchi tribunali.

Cosa deciderà la Corte? Confermerà o smentira’ sue precedenti sentenze? 

Lo vedremo. Restiamo comunque del parere che le prospettive delle nuove generazioni  non si tutelano con modifiche all’articolo 38, ma in altro modo ed  essenzialmente con politiche di sostegno del lavoro!

Lorella CIAMPALINI

lorellaciampalini2@libero.it

http://formiche.net/2017/10/01/inps-pensioni-costituzione/

Poletti: “Ipotizziamo un bonus di 2 anni per l’Ape sociale alle donne con figli”

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti torna a incontrare oggi le organizzazioni sindacali per un nuovo confronto sulle tematiche previdenziali, al quale hanno preso parte anche i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, insieme a una delegazione sindacale dei pensionati.

Al centro del tavolo: l’innalzamento dell’età pensionabile e l’unificazione del requisito anagrafico tra uomini e donne per l’uscita dal mondo del lavoro. I sindacati hanno ribadito la richiesta di stop all’aumento automatico dell’età di pensionamento di vecchiaia a 67 anni dal 1° gennaio del 2019, sottolineando come, tra l’altro, dal 1° gennaio 2018 scatterà l’unificazione del requisito anagrafico tra uomini e donne.

“Abbiamo inoltre convenuto – dichiara il Ministro Poletti – di attivare una commissione di lavoro mista tra Governo, organizzazioni sindacali e istituti interessati (Inps e Istat) che si occupi del tema della eventuale separazione tra assistenza e previdenza e che elabori un’analisi condivisa per verificare la composizione del paniere utilizzato come base per il calcolo dell’indicizzazione degli assegni pensionistici”.

Sul fronte donne, il Governo avanza una proposta: “Tra le cose su cui lavorare – prosegue Poletti – abbiamo ipotizzato la possibilità di abbassare fino a un massimo di 2 anni i requisiti contributivi previsti dall’Ape sociale per donne con figli”. Ma c’è anche il punto che riguarda il riconoscimento sul piano previdenziale del lavoro di cura: “Su questo – aggiunge – i sindacati si sono impegnati ad avanzare delle proposte, noi ci siamo riservati di esaminarle”.

“Nei prossimi giorni – assicura, infine, il Ministro – proseguirà il confronto avviato anche sulle tematiche del lavoro”.