Pensioni in Italia: quanto costano? Ecco tutta la verità – 23.11.17

I conti INPS sono sballati sulle pensioni? La realtà sembra un po’ diversa da come la si racconta, anche se esistono diverse ragioni per stare in allerta

di Giuseppe Timpone, pubblicato il 23 novembre 2017, ore 14:01

E’ scontro in Italia sulle pensioni. A dividere governo e parte dei sindacati è l’innalzamento automatico dell’età pensionabile di 5 mesi a 67 anni dal 2019, sulla base della maggiore longevità media rilevata dall’Istat per gli italiani. Si leva la protesta di partiti e organizzazioni sindacali contro quello che viene percepito come un eccessivo irrigidimento dei requisiti anagrafici, considerando che ancora oggi la pur austera Germania continui a mandare in pensione i suoi lavoratori a 65 anni e 7 mesi, in alternativa a 63 anni con una penalizzazione sull’assegno (senza penalizzazione, se con almeno 45 anni di contributi versati). La realtà appare, però, abbastanza diversa da quella che una lettura superficiale dei numeri ufficiali farebbe 

credere. Infatti, attraverso le varie scorciatoie previste dalle norme previdenziali, l’Inps ha rilevato come gli italiani siano andati mediamente in pensione nel 2016 a 62 anni, 2 in meno della media europea. (Leggi anche: Pensioni, età e costi: e se ognuno uscisse da lavoro quando vuole?) https://www.investireoggi.it/economia/pensioni-eta-costi-ognuno-uscisse-dal-lavoro-vuole/

Nel 2015, la spesa per le pensioni ammontava a quasi 218 miliardi, a fronte di contributi versati da lavoratori, imprese e Pubblica Amministrazione (per i dipendenti pubblici) di 191,3 miliardi. In pratica, ogni anno l’Inps incassa tendenzialmente sui 25-26 miliardi in meno di quanti ne spende per le sole pensioni. Tale differenza viene coperta dallo stato, che attinge allo scopo dalla fiscalità generale. 

In realtà, quando si parla di previdenza, i costi sarebbero ben più elevati, se si considerano anche altre voci come la malattia, la cassa integrazione, le indennità di disoccupazione, incentivi all’occupazione, maternità, etc. Tuttavia, parlando di pensioni in senso stretto, il dato a cui fare riferimento sarebbe quello dei 218 miliardi di due anni fa. E, però, quello è un dato al lordo delle imposte versate dai pensionati e che al netto scenderebbe a 168,5 miliardi. Anche volendo scomputare la somma versata dalla PA per i contributi dovuti in favore dei dipendenti pubblici, l’Inps incasserebbe 172,2 miliardi, cioè 3,7 miliardi in più. In definitiva, lo stato italiano spenderebbe 25-26 miliardi ogni anno per coprire il “buco” che altrimenti l’Inps registrerebbe per via delle minori entrate, ma  allo stesso tempo dalle pensioni percepirebbe quasi 50 miliardi in forma di tassazione. Pertanto, al netto incasserebbe circa l’1,5% del pil, ovvero sui 25-26 miliardi. E se anche tenessimo in considerazione i contributi versati dalla PA, il saldo netto per lo stato resterebbe positivo per 4-5 miliardi all’anno, in quanto incasserebbe dalle pensioni oltre 49 miliardi di gettito fiscale, spendendo circa 44,5 miliardi in tutto.

Conti INPS in equilibrio, ma spese altissime

E allora sembra che i conti Inps siano piuttosto in equilibrio, analizzandoli insieme a quelli dello stato. Tuttavia, ragioni per essere preoccupati ve ne sarebbero. In primis, tali conti si reggono su una contribuzione nettamente più elevata della media OCSE. Da noi, su uno stipendio lordo si versa il 32,7% contro il 21%, percentuale che scende al 19,5% in Germania. La speranza di vita risulta, poi, in Italia mediamente di 2 anni più alta della media OCSE e al 2050 sarà cresciuta di ben 22 anni in appena un secolo. A fronte di ciò, il tasso di occupazione da noi si attesta appena al 58% contro la media europea del 66%, segnalando che a versare contributi siano meno lavoratori che altrove, pur dovendo sostenere una spesa pensionistica quasi doppia della media OCSE, alimentata anche da un tasso di sostituzione lordo (rapporto tra pensione e ultimo salario percepito) del 67,9% contro il 59%. 

In conclusione, i conti delle pensioni in Italia non sarebbero affatto squilibrati, nel senso che mettendo insieme quelli di Inps e stato, gli esborsi verrebbero più che coperti. Il problema è che questi risultano altissimi, obbligando lavoratori e imprese a versare una percentuale spropositata di contributi. Servirebbe alzare l’età pensionabile, ma partendo da quella effettiva, non agendo sempre e comunque sul requisito anagrafico, che in sé non assicura nemmeno un risparmio per le casse Inps, se nel frattempo viene consentito al lavoratore di trovare alternative per uscire prima dal lavoro, ricorrendo alla pensione anticipata. E per quanto sia impopolare dirlo, sarebbe opportuno accelerare sul taglio degli assegni, mantenendo i livelli minimi, così come bisognerebbe mettersi in testa, una volta per tutte, che senza un aumento considerevole del numero degli occupati, non c’è riforma che tenga. (Leggi anche: Sistema pensionistico in Italia fallito, cosa ci insegna il modello cileno) https://www.investireoggi.it/economia/pensioni-italia-sistema-salta-esiste-unalternativa/ 

Riappare “Cottarelli”

Dal quotidiano “La Stampa” apprendiamo che Carlo Cottarelli – ex Commissario per la revisione della spesa, licenziato da Renzi perché troppo bravo ed indipendente – è stato appena nominato Direttore del Nuovo Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano.
“La Stampa” del 17 u.s. ha pubblicato un suo articolo dal titolo “Conti pubblici. Basta rinviare il risanamento” che trae lo spunto da quanto ha detto al riguardo Katainen.

Sarà interessante seguire gli articoli futuri di Cottarelli per vedere quali misure verranno da Lui suggerite per il risanamento. Continuerà con le proposte fatte due anni fa e per le quali è stato ingiustamente cacciato?

http://www.lastampa.it/2017/11/17/cultura/opinioni/editoriali/conti-pubblici-basta-rinviare-il-risanamento-BRqaOtmhj7rjz86ip4gwGM/pagina.html

Nostro commento al “piano di Berlusconi” sulla sua pagina Facebook

Qui sotto troverete quanto abbiamo “commentato” sulla pagina Facebook di Berlusconi in merito alle sue recenti proposte per la terza età (Congresso di Senior Italia FederAnziani, Rimini, 19/20 novembre).

Come potete vedere, continuiamo a considerare una “PRIORITÀ” la chiarezza nei conti INPS, con conseguente separazione tra ASSISTENZA e PREVIDENZA.

Prendiamo atto che, fino ad ora, solo Berlusconi si rivolge ai pensionati attuali, essendosi evidentemente reso conto che essi rappresentano una forza elettorale consistente, come numero e come area di riferimento.

Ancora una volta ribadiamo che il problema pensionistico debba essere risolto una volta per tutte, non solo abolendo i privilegi ingiustificati ma modificando il modo di gestire l’INPS.

Per ora è tutto….

SB

Commento su facebook di Pensionati Uniti al piano Berlusconi per gli anziani

Perché i bilanci INPS sono inestricabili – 19.11.17

Ci chiediamo come mai il presidente dell’Inps Tito Boeri non si occupi degli “incasinati” bilanci del suo istituto invece di continuare ad attaccare i “pensionati d’oro a 2- 3.000 euro lordi mensili” dichiarando che (ultima sua esternazione) “… in Italia bisogna pensare di più ai bambini ed alle famiglie con bambini piuttosto che agli over 65 che sono stati meno colpiti dalla crisi …”.

Noi, molto sommessamente, gli ricordiamo che gli over 65, secondo uno studio del Censis, rappresentano attualmente il più importante ammortizzatore sociale nei confronti di quella torma di figli e nipoti disoccupati o sottoccupati con una spesa di oltre 6 miliardi annui.

Ma ritorniamo al tema del nostro intervento di cui il bocconiano dovrebbe sommamente occuparsi.

Oggi il debito netto dell’Inps nei confronti del bilancio dello Stato, cioè la differenza tra partite debitorie e creditorie, supera i 100 miliardi di euro. Da cosa deriva questa grossolana anomalia?

Dal fatto che sono disattese le regole che soprassiedono alla correttezza formale dei bilanci e della contabilità amministrativa. Infatti la normativa vigente (legge 88/1989) stabilisce che, in ragione del principio dell’equilibrio delle gestioni previdenziali dell’Inps, il bilancio dello Stato non possa coprire, con trasferimenti a carico della fiscalità generale, la differenza tra uscite per prestazioni della previdenza ed entrate contributive.

Al contrario, trasferimenti a titolo definitivo dal bilancio dello Stato sono possibili al fine di ripianare i disavanzi della gestione assistenziale Inps.

Secondo il vecchio adagio “fatta la legge, trovato l’inganno”, i responsabili-irresponsabili della nostra “cosa pubblica” sono subito ricorsi alla finzione contabile secondo cui le anticipazioni della Tesoreria statale (cioè il contributo della fiscalità generale) nei confronti dell’Inps per garantire il pagamento delle prestazioni erogate debbano essere intesi come “trasferimenti definitivi a titolo di finanziamento delle prestazioni assistenziali”, in ragione del criterio convenzionale (ed ingannevole) adottato, secondo cui viene definita “assistenza” una quota parte di ciascuna mensilità di pensione erogata.

La quota parte anzidetta, definita forfettariamente in 16.504 miliardi di lire nel 1988, mediante rivalutazione annuale e dopo la confluenza dell’Inpdap nell’Inps, veleggia oggi verso i 40 miliardi di euro/anno.

Anche la istituzione, nel 1989, della Gias (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), già nell’ambiguità della titolazione, non ha chiarito il perverso intreccio tra assistenza e previdenza che c’è ancor oggi nell’Inps perché, accanto ad alcune prestazioni proprie incluse nella Gias (pensioni sociali, prepensionamenti, integrazioni al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, oneri derivanti da agevolazioni contributive, sostegno alle disabilità, alla cassa integrazione, alla mobilità, ecc.), ce ne sono alcune che hanno invece chiara natura previdenziale, volte cioè a puntellare gestioni previdenziali carenti di adeguate contribuzioni, tanto passate quanto recenti.

E così nelle gestioni previdenziali Inps c’è (convenzionalmente, ma impropriamente) una parte di assistenza, mentre nelle gestioni assistenziali c’è una parte di previdenza, in modo da realizzare un perfetto “circolo vizioso”.

Oggi, purtroppo, c’è una maggioranza di gestioni previdenziali in disavanzo, ma se si interviene a coprire lo sbilancio tramite trasferimenti a titolo di anticipazione (anziché con trasferimenti a fondo perduto), l’Inps deve iscrivere tali risorse (di fatto: prestiti) in bilancio come debiti da restituire in futuro.

E tuttavia l’Inps può rimborsare solo le anticipazioni finalizzate a colmare semplici disallineamenti temporali tra entrate ed uscite, a loro volta causati da tardiva o mancata riscossione di contributi o trasferimenti.

Peraltro che i debiti cumulati dall’Inps non siano rimborsabili è dimostrato anche dalla mancata iscrizione, nel conto del patrimonio dello Stato, di un credito verso l’Inps, che di fatto risulterebbe inesigibile.

Ecco quindi la necessità periodica dello Stato di ripianare i debiti Inps susseguenti ad anticipazioni della Tesoreria: è già avvenuto per il periodo antecedente al 31/12/1995 con 121.630 miliardi di vecchie lire, ancora con circa 40mila miliardi di lire per il periodo 1996-1999, e poi ancora con 25,2 miliardi di euro a fine 2011 per ripianare le anticipazioni effettuate a vantaggio dell’Inpdap prima della confluenza nell’Inps, e certamente dovrà nuovamente intervenire per “mettere una pezza” rispetto ad una modalità di fare i bilanci che è francamente assurda.

Queste sono le principali conseguenze dei disordini e delle irregolarità prima evidenziate, peraltro chiaramente emersi nel Flash n. 6 del 3 agosto 2017 ad opera dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, da cui sono tratti dati e stime qui riportati, e cioè:

  • che i capitoli di spesa per gli interventi socio-assistenziali sono grossolanamente sotto dotati rispetto ai costi effettivi dei diritti soggettivi riconosciuti ai beneficiari;
  • che l’adeguamento, progressivo e crescente, del capitolo delle anticipazioni, formalmente destinate alle gestioni previdenziali, hanno finito in larga parte per finanziare lo sbilanciamento delle gestioni assistenziali;
  • che il “disavanzo previdenziale” dell’Inps (in realtà “disavanzo assistenziale”) è servito e serve da alibi (come dimostrato dai lavori e dai dati del professor Alberto Brambilla) per sottrarre diritti previdenziali (de-indicizzazione delle pensioni, contributi di solidarietà, ecc.) a chi ha correttamente lavorato ed adeguatamente contribuito;
  • che dirottare risorse dalla previdenza all’assistenza significa sottrarre ad alcuni soltanto, o comunque a pochi, diritti consolidati, mentre gli interventi assistenziali, o socio-assistenziali, vanno posti a carico di tutti attraverso la fiscalità generale e secondo i principi costituzionali della universalità e progressività del prelievo, metodi ineludibili quando si voglia di fatto operare una ridistribuzione dei redditi di ciascuno;
  • che i responsabili primi e veri dei disordini contabili dell’Inps sono gli esponenti delle forze politiche del nostro Paese, che perseguono l’attuale opacità nei bilanci per poter intervenire liberamente e con discrezionalità politica, al limite dell’abuso, a favore di categorie, clan, lobby, anche a costo di calpestare diritti di singoli individui o di intere categorie, sempre alla ricerca e nella speranza di poter “comprare voti” utilizzando risorse altrui, anziché meritare il consenso con la correttezza e la lungimiranza del loro agire politico.

Stupisce ed amareggia, tuttavia, vedere come in tanto disordine contabile tra previdenza ed assistenza, entrambe affidate ad un unico Ente gestore (Inps), l’Ufficio parlamentare di Bilancio, la Corte dei Conti, il ministro dell’Economia, il presidente del Consiglio dei ministri, la Tesoreria centrale dello Stato, lo stesso Cnel, si limitino a tenui rilievi.

Meglio non commentare il ruolo, oggi, della Consulta (che peraltro appare essa stessa confusa sui principi e valori della Costituzione vigente), ovvero i silenzi del presidente Inps, forse troppo impegnato nella veste impropria di “novello Robin Hood”, che vorrebbe togliere ai presunti ricchi per dare ai presunti poveri, peraltro con insindacabile autorità di giudizio.

Michele Poerio, Segretario Generale Confedir e Presidente Naz.le Federspev

Carlo Sizia, Comitato Direttivo Naz.le Federspev

Stefano Biasioli, Comitato Direttivo Naz.le Federspev e Past President Confedir

Pubblicato su: http://formiche.net/2017/11/19/perche-i-bilanci-inps-sono-inestricabili/  il 19.11.17

Le “BALLE di BOERI” – 19.11.17

Alcune settimane fa il solito BOERI, parlando a vanvera davanti ad una Commissione parlamentare, aveva sostenuto che – per salvare i conti dell’INPS – ci sarebbero voluti 140.000 immigrati all’anno.

Ovviamente, NOI LEONIDA e NOI PENSIONATI ESASPERATI, non gli abbiamo creduto. Era una balla. Ora che fosse una balla l’ha dimostrato una indagine di CONFESERCENTI che (La Verità del 18.11.17, pag.3) ha dimostrato che su 84.659 IMPRESE STRANIERE (relative al commercio ambulante) ben 70.421 (pari all’83,2%) NON VERSANO CONTRIBUTI all’INPS.

Ossia non solo non sostengono il welfare ma alimentano il mercato dell’abusivismo. Confesercenti scrive “esiste una chiara correlazione tra titolarità straniera e irregolarità delle imprese, soprattutto dal punto di vista contributivo”. Ma non finisce qui. Infatti, con la segnalazione dell’inizio di attività alle Camere di Commercio, gli stranieri possono chiedere un permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Credete forse, Voi pensionati, che Boeri smentirà questi dati? Noi No, non lo crediamo.

Il “bocconiano” non accetta discussioni che contaminino il suo “verbo” !

Boeri… e gli over 65 – 15.11.17

TGcom24 del 15.11.17 – ore 20:00

Anche oggi Boeri se l’è presa con i pensionati… dichiarando ad un convegno che… “…in Italia bisogna pensare di più ai bambini ed alle famiglie con bambini piuttosto che agli over 65 che sono stati meno colpiti dalla crisi…“.

Boeri continua così la sua personale guerra ai pensionati…  Non abbiamo nulla contro i bambini ma cominciamo a sospettare che il presidente INPS abbia in mente la “soluzione finale”.

I Leonida…

Pensionandi contro pensionati…

La Gazzetta del Mezzogiorno, pag. 16 – 15.11.2017

LETTERE ALLA GAZZETTA

Pensionandi contro pensionati una curiosa lotta per la vita

Come noto la L. 102/2009 stabilisce che i requisiti di età anagrafica per andare in pensione siano adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT, con riferimento al quinquennio precedente.

In questi giorni si è acceso il dibattito in ordine al contenuto del decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro il 31 dicembre 2017, con cui deve essere aggiornato il predetto requisito anagrafico.

Sulla base dei numeri forniti dall’ISTAT, che certifica un’aumentata aspettativa di vita nel 2016, la nuova soglia di età, dal 2009, salirebbe a 67 anni (ora è di 66,7 anni).

La pressoché esclusiva preoccupazione dei sindacati è stata quella delle conseguenze per il mercato del lavoro, caratterizzato, purtroppo, da un’elevata disoccupazione sia giovanile che over 50.

Questo tema è stato abilmente aggirato dall’ex Ministro Fornero che, in una recente intervista, l’ha considerato un falso problema che muoverebbe dal presupposto – errato, secondo lei – che ci sia una quantità fissa di posti di lavoro. Evidentemente l’ex Ministro non crede allo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”.

Invece, un altro tema che – a mio avviso – non ha avuto particolare risalto sui media è il punto di vista dei pensionati e dei pensionandi.

La maggiore speranza di vita porta paradossalmente a trovarci di fronte, quasi in una lotta virtuale di sopravvivenza, due categorie di lavoratori: da una parte i pensionati e dall’altra i pensionandi.

Infatti, i primi aspireranno ovviamente, dopo i tanti anni di lavoro, a godere serenamente la loro vita sperando così che il giorno del… giudizio accada il più tardi possibile; e, tuttavia, questo indurrà l’ISTAT a portare sempre più in là – per via dell’adeguamento di vita – il termine del pensionamento.

Per contro, invece, i lavoratori ancora in servizio si augureranno che la vita media non si allunghi, talché essi possano essere collocati in pensione il prima possibile.

In realtà, però, anch’essi desiderano vivere più a lungo… con la pensione già acquisita anche se le due cose, almeno al momento, appaiano inconciliabili; il cane si morde la coda!

Questa situazione psicologica contrastante, quasi un conflitto di interessi, appare incredibile e paradossale ma purtroppo verosimilmente veritiera. Senza dimenticare che, se è vero che la realizzazione di se stessi, come cittadini, si ha attraverso il lavoro (art. 1 Cost.) è anche vero che passare dal “lavorare per vivere” al “vivere per lavorare” finirebbe per rappresentare un ostacolo al pieno sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.)

Che dire allora: che vivano tutti, pensionati e pensionandi, guardando ai prossimi anni con la massima serenità sperando quanto meno che il maggior periodo lavorativo cui saranno sottoposte le generazioni attuali e future possa portare loro benefici per loro oltre che per la nazione intera sì da non rimpiangere i sacrifici fatti per giungere alla tanto agognata pensione: insomma, che possano vivere tutti felici e contenti!

Giovanni Lopez – Bari