Verso il CONVEGNO PENSIONISTICO a ROMA (07 febbraio, ore 10:00 – 13:00)

Tutte le organizzazioni aderenti al Forum Pensionati (si tratta di circa 15 soggetti, che rappresentano almeno un milione di pensionati INPS estranei alla logica della Triplice) contribuiscono all’organizzazione del Congresso citato (vedere in questo sito, nella sezione “Convegni“).

Interverranno al Convegno esperti pensionistici, economisti e legali.

Ovviamente sono stati contattati tutti i partiti politici, ma non è ad oggi noto quanti di questi invieranno un loro rappresentante.

Si parlerà di Passato – Presente – Futuro delle pensioni, avendo anche ben presente il problema intergenerazionale.

Infine, dal Convegno scaturiranno importanti idee per le prossime battaglie legali a tutela delle nostre pensioni, sia a livello nazionale che europeo. 

Chiaramente, siete Tutti invitati presso:

Casa dell’Aviatore, Viale del Policlinico, 20 – 00161 ROMA

dalle ore 10:00 alle ore 13:00

I NUMERI CHIAVE delle PENSIONI

Articolo su Formiche.net, sez. Spred, di Giuseppe Pennisi

Prima di mettere mano a un sistema previdenziale molto complesso e molto delicato, occorre basarsi su dati chiari. L’analisi dell’economista Giuseppe Pennisi

Le pensioni sono uno degli elementi principali di questa campagna elettorale e, a prescindere dagli esiti delle elezioni del 4 marzo, lo saranno nella prima parte della prossima legislatura.

Quali che siano le riforme da adottare, occorre basarsi su dati chiari prima di mettere mano ad un sistema previdenziale molto complesso e molto delicato. Altrimenti, non lo si renderà più efficiente e più equo, ma si rischia di aumentare inefficienze ed iniquità. In queste note, si è già visto come il collegamento dell’età legale minima della pensione all’aspettativa di vita rende il sistema fortemente regressivo perché le fasce ad alto reddito, una volta superato, il capo dei 65 anni di età hanno un’aspettativa di vita più lunga, ed in migliori condizioni, delle fasce a basso reddito. Ove a ragione di una lunga emergenza economica e finanziaria, il sistema previdenziale NDC (attualmente in vigore in Italia) non fornisse un pilota automatico tale da segnalare agli individui quando andare in pensione, sarebbe più equo (e più efficiente) un nesso tra requisiti minimi per il pensionamento e il numero di anni in cui si è contribuito al sistema.

Tuttavia, il nodo centrale è se il sistema previdenziale è o non è al collasso e sta o non sta portando al collasso la finanza pubblica italiana. I dati chiave scaturiscono non tanto dalle aggregazioni Istat (ripetute dall’Ocse , dal Fondo monetario e dalla Commissione Europea poiché l’Istat è l’unica fonte da loro utilizzata) ma dall’analisi certosina dei bilanci INPS fatta dal centro studi Orizzonti Previdenziali, guidato dall’ex sottosegretario Alberto Brambilla.

Il primo dato errato riguarda il rapporto tra spesa previdenziale e PIL: non il 18% rispetto ad una media europea inferiore al 15%. Il rapporto è molto più basso se – come sarebbe appropriato – si deducono le spese assistenziali dal totale e le imposte pagate dai pensionati sulle loro annualità (in molti Paesi che adottano il sistema contributivo NDC o le pensioni sono esenti da imposte o vengono pagate sulla parte dell’annualità previdenziale che eccede i contributi versati, per evitare doppia imposizione sulle stesse poste contabili). Nei consuntivi per il 2016 (quelli per il 2017 saranno disponibili solo tra quattro-cinque mesi), la spesa ‘previdenziale’ vera e propria diminuisce da 218 miliardi di euro a 150 miliardi di euro, quindi a meno del 12% del Pil, una delle più basse, in termini di incidenza, dei Paesi industrializzati ad economia di mercato. Nel 2016, i contributi dei ‘futuri pensionati’ sono stati 197 miliardi, ossia con un saldo attivo netto significativo, 47 miliardi.

Inoltre, su 16,1 milioni di pensionati oltre il 51% sono totalmente o parzialmente assistiti dalla fiscalità generale, cioè da tutti i contribuenti. Inoltre ben 8,2 milioni sono assistiti totalmente (oltre 4 milioni) o parzialmente (altri 4) tramite pensioni sociali, assegni sociali, invalidità, accompagnamento, pensioni di guerra (1,5 miliardi dopo oltre 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale), maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, 14esima mensilità, social card e dal prossimo anno anche con il reddito di inserimento (Rei). Coloro che pagano 50 miliardi di imposte sono quelli che, da lavoratori attivi, più hanno contribuito alle entrate dello Stato e delle autonomie locali. Quindi, le vere e proprie campagne contro “i pensionati d’oro o d’argento” non solo non hanno base ma ove avessero successo procurerebbero un danno all’erario.

Cosa concludere? Quella che sta esplodendo non è la spesa previdenziale in senso stretto ma una parte grandissima della spesa sociale impropriamente classificata come previdenziale a circa trent’anni dalla normativa che separò assistenza da previdenza. La spesa assistenziale di 110 miliardi ed è netta, perché su queste prestazioni non ci sono imposte.

Questi dati meritano di essere sviscerati e dibattuti su Formiche.net. Al fine di agevolare il compito di chi dovrà mettere mano all’assistenza sociale e se del caso alle pensioni.

RIFORMA PENSIONI. Poletti: legge Fornero si può modificare (ultime notizie)

Premessa:

Ormai   è  cosa  certa  : la legge Fornero sarà  MODIFICATA ! In questo articolo , di oggi 15 gennaio , alcune proposte  inserite nei programmi elettorali delle forze politiche per la  consultazione del prossimo 04 marzo. Buona lettura

Riforma pensioni, ultimissime. Poletti: legge Fornero si può modificare. Tutte le novità e le news sui principali temi previdenziali di oggi 15 gennaio 2018.

A cura di: Lorenzo Torrisi

POLETTI: LEGGE FORNERO SI PUÒ MODIFICARE

Anche Giuliano Poletti difende la Legge Fornero, spiegando che gli italiani l’hanno vissuta come un’ingiustizia, “ma penso che abolirla non sia ragionevolmente possibile, perché si metterebbero a rischio i conti del nostro Paese”. Ai microfoni di Sky Tg24 il ministro del Lavoro ha comunque detto di ritenere che la Legge Fornero vada modificata, visti i difetti che ha mostrato di avere, e in questo senso ha ricordato il lavoro fatto di concerto con i sindacati si questo fronte. “Abbiamo fatto una scelta di equità, perché abbiamo deciso che non tutti i lavori sono uguali e si può trattare diversamente chi fa lavori usuranti o pesanti. Questa strada di una modifica, che risponda a criteri di equità, è una cosa che si può e si deve fare. È un tema di discussione che va preso in maniera seria e rigorosa”, ha detto Poletti secondo quanto riportato da Askanews.

BERLUSCONI CONFERMA IL PIANO-MINIME A 1000 EURO

Silvio Berlusconi in diretta a Domenica Live ha confermato una volta di più la sua personale proposta sulle pensioni per il possibile governo del centrodestra dopo il 4 marzo: nonostante le parole di Salvini sulla Legge Fornero, negli studi “di casa” a Mediaset Silvio “glissa” su questo e punta dritto sul discorso delle “pensioni minime”. «Aumenteremo tutte le minime a 1000 euro al mese. Un’altro aiuto alle famiglie e ai pensionati e in particolar modo alle donne che sono quelle che più di tutti lavorano nella vita visto che badano anche alla casa e ai figli ogni giorno e ogni sera». Una ricetta rilanciata che dunque al momento non pone altre novità rispetto al mantenimento parziale o esclusione totale della legge Fornero già modificato dall’ultimo governo di centrosinistra. Un Berlusconi “in forma” che rilancia anche sul taglio delle tasse con la proposta della flat tax, questa condivisa appieno da tutto il fronte della coalizione di centrodestra. (agg. di Niccolò Magnani)

DATI ISTAT: MENO PENSIONI MA PIU SPESA

I dati Istat mostrano con chiarezza come nel 2016 la “cura” messa in programma dal Governo sulle pensioni ha avuto qualche frutto sperato anche se ha innalzato le spese oltre ogni previsione e dunque con relativi problemi annessi: «nel 2016 i pensionati sono scesi a quota 16,1 milioni, contro i 16,8 milioni del 2008. In termini assoluti si tratta di 715.047 persone in meno, che corrisponde a una riduzione del 4,3%. Nello stesso periodo, però, la spesa per gli assegni è aumentata di 41,2 miliardi, passando da 241,2 miliardi a 282,4 miliardi (+22,3%)», si legge nelle tabelle dell’Istat pubblicate ed elaborate da Adnkronos. Non solo, la crescita della spesa è andata ancora oltre con la “sospensione” della riforma Fornero: «si stima che in questi anni siano stati ‘risparmiati’ 15-16 miliardi l’anno, a cui però bisogna aggiungere i costi dei diversi interventi compensativi (dalle salvaguardie degli esodati all’ape). Il sistema pensionistico costa sempre di più a causa dell’incremento degli assegni, che in media sono aumentati del 22,3%, passando da 14.373 euro del 2008 a 17.580 euro del 2016 (+3.207 euro)».

MIUR, “35MILA PENSIONI”: 100MILA POSTI VACANTI

Le pensioni agitano ancora il mondo scolastico: in piena discussione sul rinnovo dei contratti statali per ogni dipendente del comparto Scuola, il Miur annuncia che sono stati presentate 35mila domande di assegni pensionistici tra docenti e personale Ata (amministrativi, i tecnici, i collaboratori scolastici e i Dsga). Se si tiene conto delle tante altre domane di accesso all’Ape Social già presentate negli scorsi mesi, i vari riposti d’ufficio e le pensioni ordinarie, la cifra che “travolge” la scuola dal prossimo 1 settembre è di circa 100mila posti vacanti da riempire con urgenza. Critiche feroci dai sindacati, specie Anief-Cisal e altri minori, che contestano i dati ancora presenti nella riforma pensioni: «È assurdo che dal quota 41. Quota 100 vuol dire che la somma dell’età anagrafica e contributiva è uguale a 100 e quindi si può accedere ai benefici previdenziali. Quota 41 non fa riferimento all’età anagrafica ma esclusivamente ai 41 anni contributivi previsti per prendere benefici previdenziali”.

Cosa succederà alle pensioni nel 2018 ? Fatti e prospettive

Intervento di Michele Poerio, Segretario Generale Confedir e Presidente Nazionale Federspev, e Carlo Sizia, Comitato Direttivo Nazionale Federspev

Pubblicato su Formiche.net il 6 gennaio 2018.

Dopo il biennio 2016-2017 di pensioni “tutte bloccate” – in ragione del fatto che l’Istat ha certificato per due anni consecutivi un indice di svalutazione provvisoria (poi risultata definitiva) pari allo 0% o addirittura di poco negativa – dal 2018 le pensioni riprenderanno a crescere leggermente.

Infatti il decreto 20/11/2017 (in G.U. dal 30/11 scorso) del ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito (art. 2) che, sulla base dei dati accertati fino a settembre 2017, “la percentuale di variazione per il calcolo della perequazione delle pensioni per l’anno 2017 è determinata in misura pari a + 1,1% dal 1° gennaio 2018, salvo conguaglio da effettuarsi in sede di perequazione per l’anno successivo”.

Il conguaglio anzidetto sarà positivo qualora la svalutazione definitiva del 2017 sul 2016 risultasse superiore a quella previsionale dell’1,1%, ma sarà negativo qualora la svalutazione definitiva risultasse inferiore a quella prevista in via provvisoria.

Non si darà comunque luogo a conguaglio alcuno quando svalutazione previsionale e definitiva risultassero coincidenti, come accaduto ad esempio negli anni 2016-17.

Tuttavia un piccolo conguaglio negativo (- 0,1%), di poche decine di euro, ci sarà nel 2018 per recuperare lo 0,1% di differenziale tra inflazione previsionale (+ 0,3%) e definitiva (+ 0,2%) registrato nel 2015. Tale recupero avrebbe dovuto intervenire nel 2016, ovvero nel 2017, ma in entrambi i casi sono state approvate norme di salvaguardia (nelle leggi 208/2015 e 244/2016) secondo il principio che, anche in caso di inflazione negativa, le pensioni in pagamento non possano essere decurtate rispetto all’importo nominale in essere.

Qui di seguito vengono riportati gli indici di svalutazione (provvisori e definitivi) e di rivalutazione dell’ultima dozzina

Per effetto dell’anzidetto d. m. Economia, nel 2018: il trattamento minimo Inps passa da 501,89 €/mese a 507,41 €/mese; il valore dell’assegno sociale da 448,07 a 452,99 €/mese; la pensione sociale passa da 369,26 a 373,32 €/mese.

Tuttavia, secondo il meccanismo introdotto dalla legge Letta (L. 147/2013, a valere per il triennio 2014-2016, poi prorogato per un ulteriore biennio, fino a tutto il 2018, dalla legge 208/2015), il criterio di rivalutazione degli assegni al costo della vita (+ 1,1 % anzidetto) opera nel seguente modo:

  1. pensioni lorde fino a 3 volte il minimo INPS: rivalutazione piena al 100% = + 1,1%;
  2. pensioni lorde tra 3 e 4 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 95% = + 1,045%;
  3. pensioni lorde tra 4 e 5 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 75% = + 0,825%;
  4. pensioni lorde tra 5 e 6 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 50% = + 0,55%;
  5. pensioni lorde oltre 6 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 45% = + 0,495%.

Il criterio di perequazione introdotto dalla legge Letta è nettamente peggiorativo rispetto al meccanismo precedente (legge 388/2000), infatti:

a) porta da 3 a 5 le fasce economiche di importo pensionistico prese a riferimento per la rivalutazionee

b) l’incremento (in percentuale progressivamente decrescente) opera sull’intero importo della pensione goduta, anziché in misura distinta sulle diverse fasce di importo,cioè in misura del 100% per gli importi fino a 3 volte il minimo Inps, del 90% per gli importi successivi tra 3 volte e 5 volte il minimo Inps e del 75% per gli ulteriori importi oltre le 5 volte il minimo Inps (come avveniva in precedenza per i vari segmenti di una singola pensione).

Si passa quindi per le pensioni medio-alte (diciamo quelle oltre le 6 volte il minimo Inps) da un recupero complessivo tra l’80 – 85%, rispetto all’inflazione accertata, a meno del 50%.

Anche la legge Fornero (L. 114/2011), pur non modificando i criteri della legge 388/2000, aveva pesantemente alterato la perequazione previgente, escludendo per il biennio 2012 e 2013 dalla rivalutazione tutte le pensioni di importo oltre le 3 volte il minimo INPS. In aggiunta, il decreto legge 65/2015 (convertito nella legge 109/2015), intervenuto dopo le censure della sentenza 70/2015 della Corte costituzionale, non ha sanato le malefatte dei nostri legislatori sprovveduti, ristorando in modo parziale e decrescente i percettori di pensioni di importo oltre le 3 volte il minimo Inps e fino alle 6 volte, lasciando ancora totalmente senza rivalutazione le pensioni di importo oltre le 6 volte il minimo.

Gli unici pensionati sempre tutelati dall’inflazione sono stati pertanto, anche negli anni difficili della congiuntura economica, esclusivamente i titolari di assegni fino a 3 volte il minimo INPS.

Prendendo a riferimento gli ultimi 11 anni (dal 2008 al 2018 compresi), si può dire con sicurezza che gli interventi peggiorativi sulla perequazione delle pensioni oltre le 6 volte (e ancor più oltre le 8 volte il minimo Inps), intervenuti per il 72,72% del periodo anzidetto in deroga ai criteri della legge 388/2000, hanno determinato una perdita permanente del potere d’acquisto delle pensioni in questione di non meno del 10-15%, in concreto da 500 € netti mensili circa a più di 1000 € mensili, anche senza tener conto dell’appesantimento fiscale delle addizionali comunali e regionali intervenute dai primi anni duemila e del taglieggiamento crescente del cosiddetto “contributo di solidarietà”, intervenuto da ultimo nel triennio 2014-2016 sulle pensioni di importo oltre le 14 volte il minimo Inps.

Anche senza gli interventi sgraziati anzidetti, c’è da dire che la perequazione automatica delle pensioni non raggiunge mai pienamente il pieno ristoro dall’inflazione per almeno i seguenti principali motivi: 1) perché il recupero interviene in tempi successivi rispetto al momento dell’insulto inflattivo; 2) perché il “paniere” che pesa l’incremento del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati non è specifico per le persone anziane, anche se rappresenta la base per la rivalutazione riconosciuta delle pensioni; 3) perché, anche in via ordinaria, la percentuale di rivalutazione è riconosciuta in misura progressivamente decrescente al crescere dell’importo della pensione goduta.

Contro la cattiva legislazione previdenziale evidenziata, oggi non rappresenta più un argine neppure la Corte Costituzionale, soprattutto in ragione dei criteri di nomina dei relativi componenti, basati su valutazioni politico-partitiche, anziché su solide motivazioni di competenza, valore, imparzialità.

Assistiamo quindi spesso a sentenze della Corte che rivelano un imbarazzante ossequio rispetto agli input che provengono dal Palazzo, anche a costo di sconfessare lettera e spirito di principi e valori della Costituzione vigente (su tutti quelli di cui agli artt. 3, 36, 38 e 53) e decine di precedenti sentenze della Corte stessa su analoga materia (da ultimo, la sentenza 250/2017, che ribalta la precedente sentenza 70/2015).

Non rimane che esclamare: “Povera Italia, poveri pensionati, poveri giovani d’oggi, sfortunati pensionati di domani!”.

Buone notizie dal fronte pensioni….

Commento di Biasioli agli articoli di “Famiglia Cristiana” allegati:

Non condividiamo assolutamente l’ottimismo di Boeri.

Il Bocconiano continua a confondere tra prestazioni previdenziali e prestazioni assistenziali INPS, continuando a privilegiare queste ultime, non coperte da adeguati contributi e molto spesso legate ai denari sottratti ai pensionati Inps over 1500 euro/lordi/mese.

Boeri continua a credere che, per volontà divina, l’Inps si sia trasformato da “Istituto Nazionale Previdenza Sociale” a “Istituto Nazionale della Protezione Sociale”, alla barba dello Statuto INPS e della volontà dei cittadini attuali.

Afferma con orgoglio che: “…delle 440 prestazioni erogate, solo 150 sono di natura previdenziale e che la protezione sociale è la missione scelta consapevolmente da ogni dipendente dell’Inps….”

UNA BELLA FACCIA TOSTA per un tizio che non è sembrato in grado di fornire un significativo cambiamento gestionale dell’Inps e soprattutto una netta separazione tra voci e costi assistenziali e voci e costi previdenziali, all’interno dei bilanci Inps 2014-2015-2016-2017-2018.

È proprio vero….la stigmata bocconiana è indelebile e fa rincitrullire, si tratti di Monti, Boeri, Giavazzi, Alesina e Company. A parte mettiamo il “buon” Cazzola !

FAMIGLIA CRISTIANA 07.01.2018

Pensioni a gogo…

Premessa di Stefano Biasioli:

Chissà perché, ma a fine anno, improvvisamente, i giornali si riempiono di notizie pensionistiche, le più varie.

Ve ne faremo un estratto, ma i testi integrali sono nella sezione DOCUMENTI di questo sito.

20/12/2017: Taglio alle pensioni d’oro: ecco perché non si può parlare di ingiustizia (IlFattoQuotidiano, pag.16)

Si tratta di un articolo (scritto da Ugo ARRIGO) che le pensioni di anzianità in corso sono tutte sovrastimate rispetto ai contributi versati. L’articolo è basato sui dati ISTAT 2014 (23,2 milioni di pensioni, 16,3 milioni di pensionati; importo pensionistico medio= 12.000 euro lordi/anno).

  • Pensioni over 3.000 euro lordi/mese= 745.000 in tutto, con spesa totale=29,4 miliardi.

In dettaglio:

  • Pensioni tra 3 e 5.000 euro lordi/mese= numero 560.000
  • Pensioni da 5 a 10.000 euro lordi/mese= numero 176.000
  • Pensioni >10.000 = numero 9.000

Si tratta di numeri “noti” a molti tranne che a Di Maio, il quale pretenderebbe di recuperare da questi soggetti circa 12 miliardi di euro, con tagli pensionistici pari al 40% ! (Nota di Pensionati Esasperati)

Ancora, se – invece di basarsi sul numero delle pensioni si fa riferimento ai singoli pensionati (16,3 milioni; ovvero 1,42 pensioni/pensionato) allora si arriva ad una spesa previdenziale di 52 miliardi per la fascia pensionistica > 3.000 euro, con reddito medio di 52.000 euro/lordi/anno.

A questo punto, Ugo Arrigo cita il solito articolo dei fratelli Patriarca (lavoro.info, 2013) che hanno calcolato – per le pensioni erogate dal 2008 al 2012- l’eccesso % di importo rispetto ai contributi effettivamente versati .

Nota di PENSIONATI ESASPERATI: è il famoso lavoro che è alla base delle “sparate” di Boeri. i Patriarca non ci hanno mai spiegato come siano riusciti ad ottenere i dati INPS e come abbiano calcolato queste discrepanze…Sono dati reali INPS o si tratta di dati ipotetici, estratti dal cilindro di un mago “economista” e da un algoritmo teorico?

Comunque sia, secondo i Patriarca, TUTTI I PENSIONATI ATTUALI avrebbero pensioni superiori ai contributi versati, secondo queste %:

a) <1.000 euro/lordi/mese = + 19% ;

b) da 1.001 a 1.499 euro/lordi/mese = +29%;

c) da 1.500 a 1.999 euro/lordi/mese = +36%;

d) da 2.000 a 2.499 euro/lordi/mese = +40%;

e) da 2.500 a 2.999 euro/lordi/mese = +44%;

f) >3.000 euro/lordi/mese = +52%.

La conclusione di Arrigo è che, applicando un criterio “corretto”, si potrebbero “risparmiare” circa 17,4 miliardi di euro/anno, invece degli ipotizzati 12. Secondo Lui… “non si può continuare così…” (!!). 

Nota di PENSIONATI ESASPERATI: il +19% delle pensioni <1.000 euro ha a che fare con l’ASSISTENZA e non con la PREVIDENZA. Pertanto i costi relativi vanno messi a carico dello Stato e di chi ha fatto esplodere la spesa assistenziale ! Per quanto riguarda il resto, i conteggi dovrebbero essere fatti sui NUMERI REALI (=buste paghe di una vita lavorativa). Se il sistema è passato da retributivo a contributivo dal 31/12/15…..si è trattato di una scelta politica, tardiva rispetto alle regalie pensionistiche dal 1960 fino al 1995….!

Ed allora, vorreste cambiare le regole, ora, sulle pensioni in essere ? Non bastano i tagli degli ultimi 20 anni e/o di quelli dal 2008 in poi?

22/12/2017 : Sempre meno pensionati ed il reddito è in aumento (L’ARENA, 22/12/17, pag. 7, dati ISTAT).

Il numero dei pensionati 2016 è calato a 16,1 milioni:  sono 115.000 in meno rispetto al 2015; e 715.000 in meno rispetto al 2008, quando erano 16,8 milioni. Il loro reddito medio è di 17.850 euro lordi annui (+257 euro rispetto al 2015) pari a 1.487 euro/mese per 12 mensilità o 1.373 euro/mese x 13 mensilità. Le donne rappresentano il 52,7% del totale dei pensionati. 436.000 pensionati continuano a lavorare.

29/12/2017: REDDITI UNIVERSALI, promesse elettorali con molti buchi (IlFattoQuotidiano, pag. 10; articolo di Stefano Feltri).

“Niente tasse sotto i 1.000 euro ” (S. Berlusconi); ” Con il reddito di cittadinanza una famiglia di 2 pensionati avrà più di 1.150 euro/mese” (L. Di Maio); “Proponiamo il reddito di inclusione” (M. Renzi).

Promesse, promesse, promesse… E le coperture ? (NdR).

29/12/17: L’UFFICIO RELAZIONI INPS reagisce all’articolo di L. Stevanato (L’Arena 27/12 e  L’Arena, 29/12/17, pag.25)

Evidentemente (NdR) l’articolo di Stevanato ha “dato fastidio” in “casa Boeri”. Era quello che Noi LEONIDA ESASPERATI volevamo. Dare fastidio e stuzzicare la politica e il Prof. Boeri, per costringerli a dire la verità sui loro “progetti” a danno di Noi pensionati. E così, con questa lettera all’Arena, l’INPS reagisce all’articolo del “nostro” Lorenzo Stevanato scrivendo: “… che non è vero che Boeri proponga di colpire le pensioni over 2.000 euro lordi/mese….la sua idea è quella di colpire le pensioni over 5.000 euro/lordi/mese ed i vitalizi…”.

Nostro commento: il documento di Boeri (Non per cassa ma per equità) ripropone le sue vecchie idee e quelle dei 2 fratelli Patriarca, basate sul lavoro citato nella nostra nota del 20/12/17. Se i pensionati INPS superiori a 5.000 euro lordi/mese sono circa 185.000, quanti denari possono essere “tagliati a costoro” ed “a che scopo” ?. Solo tagli sui  grossi numeri (esempio quelli degli over 3.000 euro lordi/mese in su) potrebbero portare a consistenti “cifre di risparmio” !

Pane al pane e vino al vino ! Non subiremo passivamente queste idee, questi progetti, queste tendenze !

Quindi le idee del gruppo Boeri-Patriarca sono senza dubbio PERICOLOSE e DA COMBATTERE, perché costoro – da almeno 10 anni – attentano alle “pensioni medio-alte”, quelle frutto di contributi versati e non di regalie, come quelle assistenziali di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.

03/01/2018: LA VERITA’ MALCELATA sulle NOSTRE PENSIONI ( Corsera, pag. 26, articolo di A. Alesina e F. Giavazzi).

Scrivono costoro (riassunto) ” …solo tagliando del 40-60% circa tutte le pensioni superiori a 2.370 euro netti/mese (670.000 pensionati, con un costo di 41 miliardi/anno) si potrebbe azzerare la legge Fornero….Atto incostituzionale….Quindi occorre risolvere il problema allungando la vita lavorativa e utilizzando gli immigrati, come dice Boeri ( …”8 miliardi di contributi versati, con 3 di spesa sociale ed un attivo per l’INPS di 5 miliardi/anno….” !?!?!…..).

Nostro commento: agli illustri economisti consigliamo di:

a) controllare i numeri delle fasce pensionistiche;

b) contattare l’UFFICIO RELAZIONI INPS e BOERI per chiarirsi le idee sui numeri e sulle cifre, legate ai possibili (ma incostituzionali) tagli.

Domande scabrose ai partiti politici prima del voto del 4 marzo 2018

Qui di seguito troverete una serie di domande che noi Leonida vorremmo sottoporre a tutti i partiti dell’arco costituzionale, in modo da ottenere risposte concrete entro la metà di febbraio, quindi ben prima della data delle elezioni.

Ve le sottoponiamo in sequenza e Vi chiediamo di esprimere la Vostra opinione, compilando le zone apposite dell’allegato documento inviandolo poi all’indirizzo e-mail: pensioniarischio@gmail.com .

Metodo di compilazione (del documento in PDF):

1 – Aprire il PDF

2 – Andare sulla parte in alto a destra “Compila e firma”

3 – Scegliere, ad ogni domanda, il segno “Aggiungi segno di spunta” e trascinarlo nel riquadro relativo alla Vostra risposta.

4 – Salvare il Documento prima di chiuderlo.

5 – Inviare per e-mail.

5 quesiti ai politici

 

Resoconto breve del Convegno di Padova (21.12.2017)

Buona l’affluenza dei Pensionati Veneti, oggi pomeriggio.

Con una quarantina di slides Biasioli (vedi nella sezione “documenti” del sito, con il titolo “Slides Padova 21.12.17”) ha riassunto la situazione pensionistica attuale, commentando criticamente e dettagliatamente la Sentenza 250/17 della Consulta che, con una decisione “politica e non tecnica” ha rigettato le migliaia di ricorsi contro la legge 109/2015.

L’assemblea ha discusso animatamente dei problemi e degli effetti della suddetta Sentenza, concordando sulla violazione dell’art. 38 della Costituzione. L’Avv. Carruba ha ulteriormente chiarito le varie possibilità di impugnare la Sentenza 250/17, in diverse sedi istituzionali, comprese quelle europee.

Tutti i presenti si sono compiaciuti della manifestazione pensionistica programmata per il 7 febbraio 2018 dal Forum Pensionati, che racchiude una quindicina di organizzazioni pensionistiche di varia estrazione tra cui: Leonida, FEDERSPeV, CONFEDIR, DIRSTAT, CISAL …..

In massa i presenti hanno sottoscritto il modulo di pre-adesione alla nuova azione legale 2018 presso la CEDU di Strasburgo.

Ad oggi, così, le adesioni superano largamente il centinaio.

Vi forniremo ulteriori notizie a breve, dopo le festività.

Cogliamo l’occasione per porgere a Tutti i frequentatori del nostro sito i migliori Auguri per il nuovo anno. Ne abbiamo bisogno Tutti !

 

RECENSIONE del libro “PENSIONI: LA RIDUZIONE DEL DANNO”

Vi giro questa mail con la quale io e il mio amico Piero Pistolesi abbiamo recensito il libro di Cesare Damiano e Maria Luisa Gnecchi “Pensioni: La Riduzione del danno”. Poiché seguite la materia previdenziale credo che sia bene conoscere ciò che bolle in pentola al Ministero del Lavoro al quale darà manforte il Movimento 5 Stelle che tramite il suo più insignificante esponente e cioè Di Maio ha già avuto modo ieri sera di esprimersi dalla Gruber sulle pensioni.     (Michele Caponi)

Cari amici, io insieme a Piero Pistolesi voglio segnalarvi questo libro che è un libro pieno di inesattezze, omissioni e di basso valore tecnico, ma di alto valore politico. Perché dico questo? Semplice: perché questi due autori sono da anni nella Commissione Lavoro della Camera e si occupano di previdenza a stretto contatto con il Ministero del Lavoro. Ora ricordo che i politici possono cambiare, ma i dirigenti del Ministero del Lavoro no. Da quando poi la Fornero ha avocato al Ministero del Lavoro quello che era il compito del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, leggere il pensiero di questi due esponenti del PD significa capire quale potrebbe essere lo scenario futuro delle riforme previdenziali o almeno il tentativo che le multinazionali dell’alta finanza hanno in animo di fare tramite i loro servi sparsi nel mondo politico e dei media.

Nell’appunto allegato sono elencati gli aspetti del libro che più ci hanno colpito. Purtroppo prenderne visione personalmente, come sarebbe giusto fare, comporterà una spesa (13 euro) che andrà a favore di due mediocri cultori della materia che meriterebbero piuttosto di essere ignorati.

Michele

Libro di Cesare Damiano e Maria Luisa Gnecchi “PENSIONI: la RIDUZIONE del DANNO”. 

Recensione critica di Michele Caponi e Piero Pistolesi.

ALCUNE CONSIDERAZIONI:

  • Sono stati ignorati e volutamente sminuiti alcuni effetti importanti delle riforme Amato e Dini perché non si pensasse che il sistema fosse stato definitivamente messo in equilibrio. Basta ricordare che Dini affermò che con tale riforma si sarebbe messo in sicurezza il sistema fino al 2050.
  • Della riforma Dini non si parla della revisione del meccanismo della pensione di reversibilità che in presenza di redditi del coniuge superstite può arrivare fino al 50% di riduzione (quindi il 50% del 60%).
  • Sull’introduzione del sistema contributivo con la riforma Dini, la conservazione del sistema retributivo per i lavoratore che al 31 dicembre del 1995 avessero maturato 18 anni di contributi, viene presentata come il mantenimento di un privilegio e non come la scelta del legislatore di adottare un criterio di gradualità, anche in relazione alla disponibilità di un arco temporale sufficiente alla costruzione del “secondo pilastro”. Non viene riferito che tra l’alternativa contributivo/retributivo la riforma Dini prevedeva anche la possibilità di un regime misto, cosa che ne avrebbe sottolineato ancora una volta la scelta di un criterio graduale (noi peraltro rimaniamo dell’idea del mantenimento del sistema a ripartizione contro la proposta di un sistema a capitalizzazione con la reintroduzione per tutti del calcolo della pensione con un sistema retributivo legato alle retribuzioni dell’ultimo periodo lavorativo, seppur ampio).
  • Sulla riforma Amato del 1992 viene ignorato il fatto che il rendimento del 2% della media retributiva scende rapidamente fin sotto l’1% sopra la prima fascia di retribuzione pensionabile (oggi 46000 euro l’anno) per cui si ottiene non solo una riduzione drastica delle pensioni alte, ma si introduce un significativo criterio solidaristico e redistributivo di ricchezza. Dal considerare gli ultimi 5 anni di retribuzione si passa ai 10 anni. Viene modificato il meccanismo di perequazione automatica delle pensioni al costo della vita sganciandole dalla variazione dei salari dei lavoratori dell’Industria (che è tuttora invece presente in Germania). L’adeguamento al costo della vita da semestrale diventa annuale.
  • Ci sono delle gravi inesattezze come quella di attribuire le finestre (definite nel libro un’aberrazione) ad un governo di destra (si fa riferimento alla cosiddetta finestra mobile di 12/18 mesi) mentre le finestre sono nate con la riforma Dini, che ne istituiva quattro per le pensioni di anzianità; successivamente Maroni le ridusse a due mentre Prodi ne ampliava la platea, estendendole anche alle pensioni di vecchiaia.
  • Non si è sottolineato il fatto che lo “scalone” di Maroni in realtà era stato preavvisato con 4 anni di anticipo, ma che, una volta caduto il Governo di centro-destra, si sono dovuti fare i salti mortali per far finta di demolire quello “scalone”. Né si fa riferimento al cosiddetto “superbonus” previsto sempre dalla riforma Maroni. La riforma in questione prevedeva, per chi avesse maturato il diritto alla pensione di anzianità e decidesse di rimanere al lavoro, il congelamento della pensione maturata ed il riconoscimento nella busta paga dei contributi a suo carico e a carico del datore di lavoro, come retribuzione esente. Gli aspetti positivi di questa misura sono nell’incentivare la permanenza in servizio, anziché disincentivare il pensionamento, nell’affermare – senza ombra di dubbio e nei fatti – la natura retributiva dei contributi previdenziali e nel certificare l’entità della pensione maturata, che difficilmente sarebbe stato possibile modificare in futuro.
  • Non è stato dato risalto alla mancanza di un criterio solidaristico all’interno del calcolo contributivo della pensione, presente invece nel calcolo retributivo.
  • Non si è fatto alcun cenno alle varie sospensioni della perequazione della pensione e alle parziali rivalutazioni e all’aumento della loro tassazione sopra un certo importo (non certo d’oro) che hanno determinato una perdita del potere d’acquisto delle pensioni del 10% negli ultimi 10 anni, del 30% negli ultimi 20 (complice anche il passaggio all’euro) ed oltre il 30% per gli assegni più vecchi.
  • Che il blocco della rivalutazione della riforma Monti-Fornero, dapprima dichiarato incostituzionale dalla Suprema Corte e poi costituzionale da una successiva sentenza di una Corte Costituzionale i cui nuovi membri erano stati accuratamente selezionati, non salvava neppure i pensionati più vecchi che avevano già subìto precedenti blocchi
  • Si è dato un gran risalto alle 8 salvaguardie degli esodati come fosse una conquista e non il semplice rispetto del patto cittadino-Stato peraltro per un numero di circa 150.000 pensionandi su 16 mln di pensionati e per un tempo limitato di anni. Non si è detto che gli “esodati” facevano parte, in maggioranza, del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti che era sempre stato in attivo.
  • Non si è parlato di Inpdap e della sostituzione di Mastrapasqua, che aveva osato dichiararsi preoccupato per i bilanci dell’INPS, al quale l’allora presidente della Commissione Lavoro della Camera Maurizio Sacconi aveva replicato dicendo che non c’era alcun problema di sostenibilità del sistema pensionistico nel breve, nel medio e nel lungo periodo.
  • Il progetto di riforma Damiano-Gnecchi, pur senza metterlo in discussione, prende atto che il sistema contributivo a capitalizzazione virtuale (definito in passato dal Professor Mario Alberto Coppini –luminare di statura mondiale della materia- un ritorno alla preistoria della previdenza pubblica) non è in grado di assicurare pensioni dignitose e prevede una sorta di ripristino dell’integrazione al trattamento minimo a carico della fiscalità generale. Tutto questo a fronte di una riduzione strutturale delle aliquote contributive, data per inevitabile! Praticamente si andrebbe verso la trasformazione in un sistema assistenziale del sistema previdenziale italiano, al pari di quello inglese o danese con perdita dell’aggancio al tenore sociale raggiunto alla fine dell’attività lavorativa. La nuova forma di importo minimo garantito, infine, potrebbe incentivare l’evasione fiscale e contributiva, come già avveniva con l’integrazione al minimo.
  • Si vuole per il motivo di cui sopra che il mantenimento del tenore sociale raggiunto a fine vita lavorativa si possa ottenere solo con la previdenza complementare, cosa che comporterebbe il raggiungimento di questo obbiettivo solo per i dipendenti di grandi aziende in buona salute e per figure gerarchiche alte che farebbero confluire le riduzioni contestuali della contribuzione obbligatoria sulla previdenza integrativa e sempre in dispregio del criterio solidaristico eliminato dalla riforma Dini. Questo naturalmente se gli investimenti dei contributi accantonati daranno i loro frutti, il che è del tutto aleatorio. Trasformare quello che chiamavamo secondo pilastro nel primo va a vantaggio solo dei gestori di risparmio.
  • Si sono dedicate solo due pagine ai sistemi pensionistici degli altri Paesi limitandosi solo a Francia, Regno Unito e Germania. Personalmente non conosco quello francese, ma quello tedesco per quanto ne so riconosce il 60% dello stipendio goduto nell’ultimo anno di lavoro (con 40 anni di contribuzione) e le pensioni sono defiscalizzate e agganciate all’aumento delle retribuzioni dei lavoratori dell’Industria (come era da noi prima della riforma Amato). Della pensione inglese poi si tace che il sistema pensionistico inglese è improntato a ben altri criteri e la contribuzione obbligatoria pagata dai lavoratori è un terzo di quella italiana
  • Resta positiva e più che condivisibile la chiara ed inequivocabile critica alla riforma Fornero che “ha creato più danni di quanti ne abbia risolti”.
  • Gli autori soffiano sul fuoco del “conflitto generazionale” quando si riferiscono ai cosiddetti Baby boomers, i nati tra il 1946 e il 1964: una generazione che ha beneficiato di un prolungato periodo di sviluppo economico. Ciò ha permesso di sostenere dei sistemi pensionistici robusti, basati sul criterio retributivo (a prestazione definita). La pensione è correlata alle retribuzione degli ultimi anni di lavoro.   Il boom delle natalità nell’arco di tempo indicato è un fenomeno che si è verificato negli Stati Uniti ed è li che il termine è nato. In Italia non c’è stato boom demografico e se vogliamo dare al termine il significato di “figli del boom economico” allora dobbiamo riconoscere che di un prolungato periodo di sviluppo economico hanno beneficiato anche i genitori dei cosiddetti baby boomers. Così il robusto sistema pensionistico è toccato in sorte prima ai genitori dei baby boomers (cosa della quale siamo assolutamente contenti e non abbiamo rivendicazioni da fare nei confronti di chi non c’è neanche più). Il sistema pensionistico a “ripartizione” e i contributi degli attivi (baby boomers) hanno consentito il pagamento delle pensioni dei loro nonni e genitori. Tali pensioni erano calcolate sulla base delle ultime retribuzioni. Perfino le ferie non usufruite nel corso degli anni di lavoro venivano liquidate con l’ultima retribuzione prima della cessazione, maggiorate del 20%, ed entravano a far parte del calcolo della pensione. Nulla di illegale, va detto. L’età per la pensione di vecchiaia era di 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. La possibilità di andare in pensione di anzianità si maturava generalmente a 57 anni.   Ma certo ora fa comodo riferire il “prolungato periodo di sviluppo economico” e il “robusto sistema pensionistico” solo ai cosiddetti baby boomers (gli altri non ci sono più), per alimentare odiose fratture tra padri e figli, giustificare proposte di ulteriori tagli anche retroattivi, calpestando i diritti acquisiti.

 

Nel saggio Damiano-Gnecchi Il mercato del lavoro sembra assumere le sue configurazioni in modo quasi naturale, a prescindere dall’intervento umano.

In questa prospettiva viene ad essere ignorata l’inevitabile dialettica capitale-lavoro e consegnata alla storia passata l’organizzazione di forze politiche e sindacali in grado di influire sui processi economici e produttivi.

Viene ignorata inoltre una copiosa attività legislativa diretta ad andare incontro alle sole esigenze del capitale e acriticamente rispondente alla, quando non compartecipe creatrice della, “configurazione assunta dal mercato del lavoro”.

Pur riconoscendo che “l’affermarsi dell’ideologia neoliberista e gli interessi del capitalismo finanziario hanno dominato la politica economica e la politica sociale, determinando la precarizzazione delle forme di impiego a partire dagli anni novanta”, si pone l’accento soprattutto sul problema demografico per concludere che ben prima della crisi iniziata nel 2007, “la configurazione pensionistica aveva mostrato la corda per ragioni demografiche”.

La ricetta finisce per riassumersi in una riduzione del ruolo della previdenza pubblica, fino ad una sua trasformazione in assistenza (ricordiamo la proposta di Tito Boeri di definire l’INPS “Istituto della protezione sociale”) e nella sua sostituzione con la previdenza privata.

Roma 7 dicembre 2017

Michele Caponi e Piero Pistolesi