DECRETONE COSIDDETTO di “RILANCIO”

Articolo del Prof. Michele Poerio e Dott. Carlo Sizia

Il 13/05 il Consiglio dei Ministri, dopo molti contrasti tra le forze di maggioranza, ha finalmente approvato il decreto legge cosiddetto di “rilancio” del Paese dopo l’emergenza sanitaria del corona-virus e la conseguente crisi economico-finanziaria e sociale in atto.

Al momento dell’approvazione anzidetta mancavano tuttavia numerosi dettagli essenziali, per cui la pubblicazione in G.U. é stata posticipata di alcuni giorni (d.l. n. 34, in G.U. dal 19/05/2020).

Il decreto in esame integra o supera i precedenti decreti “cura Italia” n. 18/2020 del 17/03 e “liquidità” n. 23/2020 dell’8/04 u.s.

Bisognerà ora vedere le modifiche che il decreto “rilancio” subirà in sede di conversione in legge e quante delle promesse del provvedimento troveranno effettiva e sollecita attuazione. Le esperienze precedenti non consentono facile ottimismo.

Il contenuto del “decretone” vale circa 55 mld. di €, tutti in deficit grazie all’allentamento dei vincoli europei stabiliti dai patti di stabilità, anche da noi sottoscritti e momentaneamente sospesi.

I 266 articoli del provvedimento destinano: …continua a leggere… Decretone cosiddetto di Rilancio

PIA, NINO, ADA, GINO…..PIANINO, ADAGINO

di Stefano Biasioli – martedì 19 maggio 2020

“Pia, Nino, Ada, Gino….andavano in giardino….Quanti erano e come si chiamavano ?”

            Ricordate la filastrocca, che cantavamo da piccolini? Secondo me si adatta bene alla situazione attuale.

            SANITÀ ITALIANA

            Regole generali e finanziamento centrale, vincolato da decenni dal problema deficit/PIL, con ovvii tagli ai finanziamenti.

            Gestione regionale, con estreme differenze in tema di organizzazione e di organici. Differenze non solo tra Nord e Sud, con i migranti sanitari dal basso all’alto del paese. Ma anche tra le regioni confinanti del Nord. Un esempio su tutti. L’andamento del COVID-19, ben diverso tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli V.G.

            Strutture centrali: CONSIP, ISS, AGENAS, Ministero Salute….tutti largamente inadeguati all’emergenza. Tutti bypassati da una “ Task force” scelta da Conte e Speranza. Domanda: e il Consiglio Superiore di Sanità, che fine ha fatto?

            Gestione regionale: ha funzionato dove la filiera gestionale dell’emergenza è stata molto corta. In Veneto: Zaia, 2 assessori (sanità e protezione civile), 2 tecnici: Dottoressa Russo e Prof. Crisanti. Filiera corta, con il Governatore  che si è fidato dei suoi tecnici. Noterella. La Dottoressa Russo aveva già scritto il piano emergenziale all’inizio di Gennaio 2020.

MORALE:

chi potrà, domani o dopodomani, dire che è doveroso tornare alla gestione  centralizzata del SSN?

….. Art_Stefano Biasioli_PIA-NINO-ADA-GINO_19.5.20

NON FINISCE QUI

di Stefano Biasioli – lunedì 18 maggio 2020

pubblicato su Startmag.it

Come ogni giorno, domenica,  alle ore 12.30, ci siamo sorbiti la conferenza stampa di Zaia, dalla sala della Protezione Civile di Mestre.

I NUMERI

Ha snocciolato i soliti numeri che testimoniano, per grazia ricevuta, il calo della virosi in Veneto.

A differenza dei 500 esperti nazionali, il “gruppo di lavoro veneto” non ha sbagliato le previsioni sull’andamento del virus. Dal 3 maggio u.s., i letti occupati in T.I. (terapia intensiva) sono calati da 99 a 50 e il numero dei ricoverati è sceso da 1.056 a 601. Ma, dato ancor più significativo, al 17/05 il numero dei pazienti – ancora positivi- ricoverati in Veneto è pari al 50% di tutti i pazienti attualmente ricoverati per virosi  (322 in tutto).

Battaglia vinta? No, risultato importante ma non ancora definitivo. L’esito finale dipenderà da tante cose, dal lato virus (suo imborghesimento, effetto  del caldo sul virus) ma soprattutto dal comportamento di ogni cittadino veneto: tutela personale, ossia mascherine, distanza, buon senso civico.

IL RETROSCENA

Numeri positivi, notizia importante. Ma, ancor più “succoso” è stato il retroscena romano, raccontato. L’iniziale DPCM prevedeva che la nuova fase della virosi guidata dalle LINEE GUIDA INAIL, ossia da quelle che prevedevano rigidamente ampi spazi perché potessero essere riaperte le attività commerciali, i bar, i ristoranti, le spiagge. Venerdì, dopo un lungo incontro telematico tra Governo e Regioni, si era convenuto che le linee guida da rispettare non fossero quelle INAIL ma quelle unitariamente proposte dai Governatori.

Tutto a posto? Neppure per sogno! Nonostante i racconti di Conte a telecamere riunite, la bozza successiva del DPCM “sfumava l’accordo di venerdì notte”, costringendo i Governatori a chiedere un nuovo incontro notturno (ore 1-3 della notte di domenica 17) in cui alla fine, Conte accettava di includere nel testo finale del DPCM le linee guida regionali, sia come parte integrante del testo che come allegato allo stesso.

Perché Conte ha accettato questo cambio di passo? Perché pensa di aver gettato sulle spalle dei Governatori l’eventuale ripresa della virosi. Il Nostro, dopo mesi in cui ha cercato vanamente di “fare il Duce ovvero il Churchill” – ovviamente incartandosi sempre di più e caricandosi di errori di cui un giorno risponderà-, adesso cerca di scaricare i possibili ri-contagi sui  responsabili regionali. Dicendolo anzi esplicitamente  a Zaia, Bonaccini, Toti e C.

ZAIA e C. non si sono tirati indietro ed hanno accettato la sfida, con grande senso di responsabilità. Perché l’hanno fatto? Perché contano sul grande senso civico e di autotutela del 95% dei loro cittadini, ormai istruiti sul pericolo del contagio.

Però… però nelle stesse ore il viceministro Sileri, evidentemente fuori tempo e fuori luogo, sparava dichiarazioni a raffica, attribuendo alle Regioni ogni nefandezza relativa al Covid-19 e sparlando a favore di una modifica del titolo V° della Costituzione, ossia del ritorno dell’intera gestione sanitaria (ordinaria e emergenziale) a carico dello Stato.

Quello Stato e quei “corpi statali” che sono stati colpevolmente carenti, come tempi e come scelte.

E, invece…

L’AUTONOMIA REGIONALE

I fatti hanno ampiamente dimostrato che, nell’80% dei casi, le Regioni hanno affrontato in modo adeguato la pandemia, usando armi e munizioni da loro autonomamente procurate, visto che quelle ripetutamente promesse dal Governo avevano-hanno fatto la fine del promesso denaro pubblico: sono arrivate in ritardo, con il contagocce, in quantità insufficiente .

E che dire delle LINEE GUIDA COMPORTAMENTALI/STRATEGICHE?

Quelle nazionali, confuse e anch’esse in ritardo, sono state emanate dopo le drastiche ma adeguate scelte di Zaia: blindare VO’ EUGANEO, tamponare infettati / parenti / contatti / sanitari, creare in ospedale percorsi COVID e non COVID, potenziare le pneumologie – le malattie infettive – le T.I., usare tutto l’armamentario medico e strumentale possibile e immaginabile.

Scelte terapeutiche responsabili (basate sull’esperienza), in assenza di LINEE GUIDA FARMACOLOGICHE SICURE, nazionali, europee, statunitensi o cinesi.

Perché tanti morti tra i medici e i sanitari? Perché questi Colleghi sono stati mandati a combattere a “mani nude”, ossia con carenza di guanti, mascherine, camici, disinfettanti. Soprattutto nel critico periodo dal 12 febbraio al 23 marzo, in Veneto. Tempi un po’ diversi, altrove, ad esempio in Lombardia e Piemonte.

LE REGIONI SONO STATE ALL’ALTEZZA. E, nei fatti, hanno dimostrato che l’AUTONOMIA REGIONALE È UN VALORE, anche in sanità. Hanno dimostrato che AUTONOMIA E’ RESPONSABILITÀ, da parte di chi governa e da parte di chi è governato.

CONTE NON HA AVUTO FIDUCIA negli ITALIANI e LI HA TRATTATI da SUDDITI, da Febbraio ad oggi. E vuole trattarli da sudditi fino al 31 Dicembre 2020, perché questa è la data prevista per la FINE dell’EMERGENZA , nel Decreto Legge che va  in G.U. lunedì 18.

Capite? Conte vuole bloccare ancora la democrazia italiana, rinviando ancora le elezioni regionali, bloccando l’attività scolastica, bloccando le attività ludiche di gruppo, chiudendo le Chiese.

Anche di questo dovrà rispondere. Non solo del fallimento strategico nella virosi, non  solo del fallimento economico (da regole tardive e pasticciate e da mancata erogazione di sussidi “veri” ai settori fondamentali della nostra economia) ma anche  dell’aver incattivito gli italiani, dimenticando il motto romano “panem et circenses”.Non avendo né il companatico né lo svago, dopo 75 giorni  di clausura coatta, gli italiani si incazzeranno di brutto. Presumo. Si incazzeranno, se non vogliono fare la stessa fine dei migranti irregolari: vivere di miseri sussidi di stato, concessi dal “signore” di turno. Questo è il vero cattocomunismo, che va bene al PD, ai 5S, a Mattarella, a chi occupa- purtroppo- il soglio pontificio.

Neppur degno di baciare i piedi ai 2 Papi che l’hanno preceduto. Già, qualche volta lo Spirito Santo non entra neppure nel Conclave. Purtroppo.

Ad maiora!

Stefano Biasioli
Primario ospedaliero in pensione

(LINK per scaricare il testo in PDF)

PENSIERI in LIBERTÀ da “vecchio” Medico…

di Stefano Biasioli – venerdì 15 maggio 2020

Da vecchi medici Noi sappiamo per esperienza che “la scienza o presunta tale” cozza contro la medicina pratica e con la prassi.

C’era una malattia da affrontare, un virus su cui si sa poco, tranne che è partito dalla Cina, forse in Ottobre (giochi militari) e su cui c’è stato per almeno 2 mesi un silenzio cinese, con la OMS che ha dimostrato la sua inutilità dicendo tutto e il contrario di tutto. Idem in Italia, dove tutti i membri governativi + ISS + AIFA + AGENAS  hanno colpevolmente taciuto e si sono fatti trovare impreparati. Pensate alle partite a Milano, Spezia, Torino.

Il SSN è fragorosamente crollato e, per fortuna, varie sanità regionali hanno avuto gente capace. Più nel Triveneto, che in Piemonte e Lombardia.

Adesso il virus sta scemando e “questi noti” vorrebbero farci continuare ad essere “sudditi con la mascherina fino a Natale”, sospendendo i diritti civili e distruggendo l’economia. Pensa al turismo, ai ristoranti, al piccolo commercio.

Per i farmaci, idem. Avrebbero voluto che “i nostri” combattessero a mani nude in attesa di “studi controllati e di linee guida futuribili”. Per fortuna “i nostri” hanno capito alcune cose essenziali: in ospedale, zone Covid e non Covid, potenziamento delle malattie infettive e delle pneumologie, uso “molto attento” della rianimazione (dopo la botta iniziale)”.

E “i nostri” hanno fatto uso dei farmaci “off label”, alla faccia della task force romana. Plaquenil, antinfiammatori, miscele varie, eparina a basso peso molecolare (data la scoperta della CID), plasma, plasmafiltrazione, cartucce chelanti la IL6. Molti si sono dimenticati del complemento e hanno puntato tutto sui linfociti B.

Sono morte 32.000 persone “DI COVID o CON COVID”. Ho rispetto per i morti, ma 32.000 su 60 milioni…. e, nel frattempo, è raddoppiato il numero dei morti di infarto e sono stati trascurati gli oncologici.

Adesso, giustamente, la gente vorrebbe sapere se è sana, se è portatrice sana, se ha avuto la virosi. Ma fare i tamponi e i test venosi è difficilissimo.

Perché ?

Perché ? Dobbiamo tutti restare nel dubbio, odiare i vicini, visitare i malati senza toccarli o guardarli in faccia. Mi fa paura la FIMMG che (Casarà, 3 gg fa a Venezia) pensa di risolvere i problemi sanitari italiani con i 320 milioni stanziati l’anno scorso (con la finanziaria) per comperare supporti di telemedicina. Da mettere a casa…di quanti vecchietti o malati vari?

Come sarà pagato questo loro tempo e quante volte ricorreranno- in seconda battuta-  agli specialisti (cardiologi, internisti etc), che lavoreranno gratis o no?

Prima dei presìdi (ECG; Holter a domicilio) va fatto il cip anamnestico da inserire sulla carta sanitaria;

prima dei presìdi va fatta la diagnostica automatizzata dei referti (ci sto lavorando, con il mio caro amico R. S.,  da 15 anni e siamo a buon punto…) …occorre tornare alla semeiotica di base e alla maieutica col paziente.

Ma, di tutto ciò, la FNOMCEO non parla, come non ha fatto nulla di serio/significativo per i Colleghi andati al macello a mani nude e per gli orfani e le vedove. Sono stati più vivaci gli infermieri.

Un abbraccio a Tutti,

Stefano Biasioli
Primario ospedaliero in pensione

DECRETONE

Articolo di Giuseppe Pennisi

Dopo settimane di complesse trattative, il “Decreto Marzo” rinominato “Decreto Rilancio, 400 pagine di articolato e quasi altrettante di relazione tecnica, è stato varato dal Consiglio dei Ministri e si può leggere in Gazzetta Ufficiale, non in una delle molteplici bozze che solerti portavoce di Palazzo Chigi consegnano a giornalisti amici e finiscono bene o male sul web.

C’è da nutrire dubbi sulla costituzionalità del provvedimento che contiene numerose norme “particolaristiche” che non quelle caratteristiche di urgenza che dovrebbe caratterizzare i decreti legge – alcuni articoli, tra i tanti esempi, riguardano il comune di Campione d’Italia (meno di 2000 abitanti), altri i concorsi alla Scuola Nazionale d’Amministrazione, altri il fascicolo sanitario elettronico, altri ancora la nuova nazionalizzazione di Alitalia, altri la sanatoria (più o meno mascherata) di immigrati clandestini e così via. Sono forse di provvedimenti che hanno singolarmente una loro giustificazione ma che sarebbero meglio collocati in disegni di legge oppure, se urgenti, in decreti legge settoriali o ordinamentali. Ciò permetterebbe anche un più ponderato esame da parte del Parlamento, sede in cui si potrebbero anche adottare miglioramenti delle singole misure. In tal modo, sarà impossibile entrare nel merito. Soprattutto, se per la conversione in legge si finirà con un maxi-emendamento approvato a colpi di voti di fiducia si porrà un problema di lesione dei diritti costituzionali non solo dell’opposizione ma soprattutto dei cittadini.

In analisi finanziaria, un euro equivale ad un euro sia che serva per comprare una liquirizia sia per fare elemosina alla porta della Chiesa. Quindi, 55 miliardi sono 55 miliardi sia che servano a dare supporto ad alcuni comparti e ad alcune categorie sia che vengano utilizzati per saldare debiti contratti su un lungo, od anche breve, periodo di tempo. E’ noto che in economia del benessere, alla luce di chiari obiettivi di politica pubblica, e se la macchina tributaria non funziona, un euro può valere più o meno di un euro a seconda della destinazione. Ma tali raffinatezze – a cui mi sono dedicato per decenni – non credo che entrino nelle discussioni del Consiglio dei ministri e dei vertici dei capi delegazione. Inoltre, anche nella manualistica, non si applicano ad un Paese come l’Italia, ad economia aperta e con vasto welfare supportato da una finanza pubblica che non può essere paragonata a quella del Ruanda.

Viene, quindi, a proposito una domanda di fondo: perché tante angosce (ritardi, riunioni notturne, tensioni, rischi della rottura tra componenti della simpatica brigata al governo del Paese, spread che sale e che scende, incertezza di individui, famiglie ed imprese) e tanti costi per tutti, per mettere a punto un decreto legge con l’obiettivo di iniettare 55 miliardi nel sistema economico? Non sarebbe stato più semplice, più facile e meno costoso saldare i 55 miliardi di debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese e, se del caso, fare alcuni provvedimenti mirati per alcuni comparti economici ed alcune categorie di cittadini?

In lavoce.info, Dario Immordino analizza il maledetto imbroglio del paradosso in base al quale il governo stanzia ingenti risorse per fornire liquidità alle imprese attraverso le banche, mentre le pubbliche amministrazioni non pagano i propri debiti dato che somme già stanziate in bilancio non si trasformano in pagamenti effettivi. È un’analisi giuridica (Immordino insegna all’Università di Palermo ed esercita la professione di avvocato) a cui si rimanda. Contiene anche suggerimenti per uscire dall’incaglio. L’ipotetico buon padre di famiglia che governa il Paese dovrebbe, con raziocinio, prima saldare i propri debiti e poi prendere nuovi impegni di spesa (accertandosi che sarà in grado di onorarli con puntualità, efficienza ed efficacia).

Sotto il profilo finanziario, i 55 miliardi del decreto comportano alti costi di transazione che gravano su tutta la collettività: i tempi e le ambasce per la preparazione del provvedimento, la sua approvazione e l’erogazione effettiva degli stanziamenti. Si può argomentare che il decreto riguarda imprese differenti da quelle che non riescono a riscuotere i propri crediti con la Pubblica amministrazione, nonché alcune categorie di cittadini e famiglie. È un argomento debole dato che l’esperienza degli ultimi mesi è che gli stanziamenti di decreti precedenti non arrivano a destinazione con la puntualità, efficienza ed efficacia dovute. Chi assicura che i nuovi impegni con imprese, cittadini e famiglie, vengano onorati più celermente e meglio?

Da quarant’anni, la “teoria economica dell’informazione” ci ha insegnato che l’incertezza (e la confusione) sono i peggiori nemici della crescita economica e, quindi, anche del “rilancio”. Imprese e famiglie pospongono scelte e decisioni in attesa di poterle prendere con chiara cognizione di fatto. Nella marea di tanti mini provvedimenti e di bonus (che – come è noto, a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca – sembrano mance elettorali destinate a permanere per sempre), è difficile sia per le imprese sia per le famiglie, cogliere il senso dell’indirizzo di marcia. Anzi nel decreto affiora, ad una lettura veloce, un sapore anti-imprese, frutto di una tradizione culturale che –come ha ben sottolineato Angelo Panebianco sul Corriere della Sera da un lato esprime la decrescita felice (una bandiera del Movimento Cinque Stelle) e dall’altro all’anticapitalismo ed anti-mercato degli ex-post-neo- comunisti e della così detta “sinistra cattolica”. Con una cultura anti-imprese non si fa crescita e tanto meno rilancio.

Come verrà letto dalle istituzioni europee e dagli altri Stati dell’Unione europea? La loro preoccupazione riguarda principalmente la sostenibilità del debito dell’Italia. Essa necessita crescita, che richiede investimenti pubblici e privati. Il decreto non fa nulla o quasi in queste materie.

Ed i mercati? Anche loro chiedono crescita, soprattutto dopo la preoccupante sentenza della Corte Costituzionale tedesca.

Sarebbe stato più efficace su quattro misure, decretabili in due paginette: sgravi fiscali, supporto ai redditi ed ai consumi, sostegno ai comparti in maggiore difficoltà, snellimenti procedurali (per fare arrivare tempestivamente i finanziamenti ai beneficiari e per fare partire gli investimenti pubblici rimasti al palo).

Nota Isril n. 19-2020 IL CORONAVIRUS, il POPOLO e lo STATO

di Giuseppe Bianchi

Il termine “popolo” viene qui usato per rappresentare una comunità (la nostra) depressa e resa indistinta nel comune assoggettamento alla paura della pandemia. Il confinamento nelle case e la chiusura delle attività produttive, con la conseguente perdita di reddito per molte categorie sociali, sono state limitazioni di libertà accettate per la tutela della salute pubblica. L’individualismo indisciplinato degli italiani si è ricomposto nel rispetto delle regole collettive perché è apparso, fin da subito, evidente che il distanziamento sociale e i comportamenti elementari di igiene personale fossero le soluzioni più efficaci per contenere il contagio. Anzi va apprezzata la tenuta nel tempo di questa capacità di autoregolazione del popolo nonostante l’irritante pedagogia dei mezzi di comunicazione di massa con la loro riproposizione ossessiva del rispetto delle regole e il sovrapporsi di voci discordanti dei molteplici esperti e scienziati più interessati a duellare tra loro che informare i cittadini in ansia. C’era però un convincimento nel popolo: che la quarantena avesse un limite temporale nel corso della quale lo Stato predisponeva le misure necessarie per una seconda fase di ripresa delle attività e di allentamento delle limitazioni delle libertà personali. La prospettiva era quella di convivere con il virus riprendendo le attività in sicurezza e sapendo che nel caso di un nuovo contagio esistevano le strutture sanitarie predisposte alla cura… CONTINUA A LEGGERE QUI → Nota Isril n.19-2020_Il coronavirus, il popolo e lo Stato_12.5.20

POLITICI, POLITICANTI, SCIENZIATI, MAGHI e PERSONE NORMALI

di Stefano Biasioli – mercoledì 10 maggio 2020

Come al solito, in premessa scriviamo che chi mette nero su bianco questi pensieri ha una tara originaria.

Quello di essere stato un medico ospedaliero, con un ruolo attivo nella principale specialità esercitata (Nefrologia-Emodialisi), nel sindacalismo medico autonomo (CIMO, come Presidente nazionale dal 1999 al 2009 e come Segretario Regionale Veneto dal 1984 al 2009) e della dirigenza pubblica (CONFEDIR, come Segretario Nazionale dal 2008 al 2016). Dal 2010 è Consigliere del CNEL, di quel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, da molti – a torto – considerato “la tomba degli elefanti”.

Posso quindi tranquillamente essere considerato uomo di parte. Ma nessuno mi potrà negare di essere “uno del mestiere” in grado di osservare con competenza quello che succede, in medicina e in politica. Sono sempre stato un uomo libero: non ho fatto carriera per meriti politici ma solo per meriti professionali; non sono né mai sarò “servo del potere”. Tanto meno lo potrei essere in futuro, perché – oggi come ieri –  sono libero di idee e di azioni e non devo fare carriera. Sto bene come sto. Con me stesso e con i miei pensieri, liberi.

Sono un Capricorno testardo, cui non sono mai piaciute le “cose storte” e che ha sempre detto e scritto quello in cui credeva, anche se non gli conveniva.

Ciò premesso, ecco il mio pensiero su quello che è accaduto e sta accadendo in questi mesi.

INCROCI di RESPONSABILITÀ e IRRESPONSABILITÀ

Il COVID-19 ha dimostrato l’inadeguatezza del sistema politico italiano. Ha dimostrato che, in caso di emergenza, la struttura attuale del governo del Paese ( centrale e regionale) è talmente “incasinata” da essere corresponsabile di un aumento della mortalità causata da questa virosi,  per un caos imponente tra  governance nazionale e governance  regionale, se non addirittura comunale. Dovremmo mettere sul banco degli imputati tutti coloro che hanno modificato nel 2001 il titolo V° della Costituzione, creando questo incrocio “impotente” di norme e contro norme. Chi fa chi, a chi compete cosa: regole poco chiare e competenze dubbie. Province fantasma e regioni/province a statuto speciale. Solo alcune, altre – che pur hanno chiesto maggiore autonomia con specifici referendum – tenute a bagnomaria, se non dileggiate.

SANITÀ

La gestione della sanità compete alle Regioni, ma il finanziamento della salute è frutto di scelte centrali, essendo legato al bilancio annuale dello Stato. Conseguenza?

In nome della perenne emergenza economica,si sono sottratte risorse al FSN (35-37 miliardi in 10 anni, secondo studi ormai asseverati), costringendo le Regioni a fare “le nozze con i fichi secchi”, ossia tagliando i posti letto ospedalieri, riducendo la sostituzione delle apparecchiature obsolete, non sostituendo i medici e i sanitari pensionati. Soprattutto i medici.

Ma, colpa ancora più grave, non si è provveduto(a Roma –Governo, inteso come Sanità e Istruzione) a modernizzare la sanità pubblica, intuendo che le patologie stavano cambiando e che occorreva finalizzare meglio le risorse utilizzandole come risposta alle acuzie insidiose (virosi varie) e all’esplosione delle  patologie croniche (invecchiamento e sue complicanze), con mezzi (diagnostici e strumentali) e personale adeguati. L’Università – nonostante gli allarmi dei sindacalisti medici – non ha modificato il suo schema formativo e non ha aumentato il numero degli specialisti in alcuni settori essenziali: anestesia-rianimazione; malattie infettive; geriatria-riabilitazione; cardiologia; nefrologia-emodialisi; immunoematologia; virologia-microbiologia, laboratorio.

Ossia, non si sono fatte scelte tecniche, MODIFICANDO DRASTICAMENTE il SSN, nato nel 1978.Non lo si è fatto, creando ingiustizie sanitarie, testimoniate storicamente (dati ISTAT) dalla “fuga dei malati” dal Sud al Nord.

Non si è voluto provvedere in modo adeguato. Si è invece scelto, per colpa soprattutto delle 7 Regioni “sanitariamente sprecone” al Centro-Sud, di trasformare la sanità italiana in una “azienda bocconiana”, creando sovrastrutture di gestione della spesa affidate a economisti o a igienisti. Distruggendo l’assetto organizzativo di Ospedali e Reparti e stravolgendo la carriera medica, partendo dal presupposto comunistoide che “ un medico vale come un altro” e “un tecnico sanitario vale come un altro”, dovendo essere valutati – entrambi- solo per la capacità gestionale e non per la valenza clinica.

Non più un asse gerarchico medico(Primario-Aiuto-Assistente, come da percorso professionale) ma “tutti dirigenti”, con i vertici (“Responsabili”) scelti in modo ancora più opaco che nei decenni precedenti. Una terna (senza graduatoria), con nomine – da parte del Direttore Generale (D.G)-  basate su “intuitu personae” e non  sul rispetto di una graduatoria professionale, frutto delle scelte di una vera commissione tecnica.  Invece, scelte politiche, opache, con il “nominato” perennemente in posizione “supina” rispetto al potere. Nomine a tempo, quindi a rischio. Ciò ha provocato un abbassamento del livello clinico, non favorendo l’emersione dei migliori.

Il COVID-19 ha dimostrato l’inadeguatezza del sistema politico italiano. Ha dimostrato che, in caso di emergenza, la struttura attuale del governo del Paese ( centrale e regionale) è talmente “incasinata” da essere corresponsabile di un aumento della mortalità causata da questa

A SCANSO di EQUIVOCI

In Italia, ancor oggi, esiste una medicina di eccellenza, esistono medici ammirati in tutto il mondo, esistono clinico-scienziati che hanno fatto progredire la medicina, nel mondo. Ma – lo scrivo con estremo sconforto – la media dei DIRETTORI di UNITA’ OPERATIVE COMPLESSE (così si chiamano oggi i Primari Ospedalieri) è BASSA. Bassa non tanto per carenza di nozioni ma per incapacità di reagire ai tagli sanitari, per paura di firmare decisioni clinico-organizzative pericolose per la carriera, per paura di delegare.

Per paura del D.G. e della magistratura, sempre in agguato e sempre in cerca di colpevoli.Come se la morte di qualcuno non fosse un evento normale, ma fosse sempre frutto colposo  di inadeguatezza medica e di atti criminosi.

I.S.S., AGENAS, AIFA, CONSIP, TASK-FORCE governativa

A livello centrale il COVID è stato affrontato con la nomina di ben 2  Capi-Commissari (Borrelli e Arcuri), che si sono avvalsi di qualche centinaio di “esperti”, spesso privi di competenze specifiche, sanitarie o emergenziali. Il Governo, cioè, non si è fidato dei tecnici di I.S.S., AGENAS, AIFA, CONSIP ma ha cercato di ripararsi  dietro questa task-force, rimasta nell’ombra (tranne che per alcune figure, sempre quelle), ammantata di mistero. Task force invocata, quando serviva, per giustificare decisioni caotiche, in contrasto tra loro, talvolta contrarie al buon senso.

È inutile soffermarsi, oggi, sulla decina di provvedimenti governativi e ministeriali assunti da Conte e C., dalla fine di febbraio in poi. Per fare chiarezza sulle responsabilità politiche di questi mesi, sono già pronte decine di esposti e di denunce, a una delle quali abbiamo collaborato nei giorni scorsi.

Per ora ci limitiamo a dire che, per decidere il SEQUESTRO DOMICILIARE dei CITTADINI, l’USO delle MASCHERINE e la DISTANZA tra le PERSONE, non era necessario ricorrere al parere di centinaia di esperti o presunti-tale.

Bastava aver studiato la storia (dalla peste “ manzoniana” in poi) e bastava emanare poche e chiare norme di “prevenzione e tutela personale”. Cosa non fatta.

Ancora. CONSIP e C. avrebbero dovuto avere a disposizione una quantità adeguata di “presìdi sanitari” di tutela, almeno per gli operatori sanitari:guanti, mascherine, camici, disinfettanti/igienizzanti. In modo da coprire adeguatamente la fase dell’emergenza. Avrebbero dovuto averli in deposito, con gare di approvvigionamento già espletate, in modo da far consegnare direttamente questi materiali dalle ditte produttrici alle singole ASL. Ciò non è stato fatto. Nonostante la virosi cinese fosse nota fin dall’inizio di Gennaio 2020.

Ancora peggio, CONSIP e Governo non hanno semplificato le procedure per l’acquistodi questo fondamentale e basilare materiale, compromettendo così la vita di decine di operatori sanitari, mandati allo sbaraglio senza adeguati mezzi di protezione personale.

La vicenda delle mascherine è esemplificativa della colpevole superficialitàcon cui i nostri governanti centrali hanno affrontato la virosi, negandone prima la validità dell’uso, poi rendendola obbligatoria, poi ancora pretendendo che anche il cittadino comune usasse “mascherine con  bollo CE o con idoneità sanitaria”, poi ancora imponendo un prezzo fasullo (0,50 euro + IVA 22%), che le rendeva ancor più introvabili. Infine (pochi gg fa) accettando il dato di fatto: “ gli italiani avevano risolto il problema mascherine con il classico –italico fai-da-te”. Cioè fabbricandosele.

GOVERNO e REGIONI

Il governo Conte, invece di emanare poche e chiare regole e AFFIDARE POI la GESTIONE della VIROSI TOTALMENTE alle REGIONI, ha invece ostacolato le iniziative regionali.

Valga per tutto l’esempio veneto. Se Zaia, di testa sua, non avesse BLINDATO VO’ EUGANEO, in Veneto la virosi avrebbe fatto piuù danni di quanto avvenuto in Piemonte, in cui il blocco è stato dato in ritardo.

Il GOVERNO / TASK FORCE non ha capito che, da subito, andava attuato un percorso sanitario specifico per gli infetti (ne abbiamo già scritto in un altro articolo) e che dovevano essere lasciati liberi  i clinici ad utilizzare tutte le terapie possibili (anche ad uso compassionevole) senza minacciarli a destra e a sinistra, dicendo loro che dovevano attenersi a inesistenti linee guida e ai risultati ( che arriveranno tra mesi !) di decine di studi clinici sui possibili/presunti farmaci antivirali, variamente associati tra loro.

Per fortuna, i medici hanno usato la loro testa e non quella della task-force.

Il virus è stato combattuto con tutti i farmaci esistenti sul mercato e anche – e giustamente- con il PLASMA dei GUARITI, nonostante diffide e minacce di invio di NAS e ispettori (Mantova docet!). Con il plasma, già largamente usato, dagli anni ottanta, per molteplici malattie autoimmuni, con buoni risultati. Il plasma, farmaco sicuro e molto meno costoso dei farmaci sintetici…

QUANDO AVREMO IL “LIBERI TUTTI”?

           Il Governo non ha avuto fiducia dei cittadini e, per mesi, li ha trattati da irresponsabili, chiudendoli in casa e impedendo anche relazioni “sicure”. Li ha chiusi in casa, mettendo in crisi l’economia, di interi settori.

            Il Governo Conte ha ritenuto gli italiani indegni di capire la gravità della virosi e di rispettare le regole dell’autotutela. Ha fatto financo chiudere le chiese e annullare i riti religiosi, mantenendo aperte le tabaccherie. Ha chiuso, giustamente, le scuole e le attività sportive, ma non si è posto il problema dei bambini, alla ripresa dell’attività lavorativa.

             NON HA VOLUTO UNA RIAPERTURA DIFFERENZIATA nelle diverse  REGIONI, sulla base dell’andamento della pandemia, ma ha tenuto tutti su un’unica barca…..”destinata ad affondare l’economia”.

             Ha promesso soldi a destra e a manca ma, ad oggi 10/05/20, sono arrivate solo delle mancette, a pochi soggetti. Ad oggi, solo 1/6 delle domande di CIG ha avuto una risposta concreta (Libero, 10/05,pag.2). Un giornalismo serio pubblicherebbe quotidianamente queste cifre, articolate per settore produttivo, raffrontandole alle promesse, che Conte ci fa dalla metà di Febbraio. E no, non è colpa della Europa cattiva.

             In alcune Regioni, tra le quali il Veneto, dal 10 APRILE TUTTI gli INDICI sul COVID hanno un TREND IN CALO. Si riducono i contagi, aumentano i guariti, calano i ricoveri ospedalieri. Eppure, anche in questi casi, il Governo non consente una riapertura totale della vita e delle attività economico-produttive.

              Perché? Perché non si vuole anticipare la svolta definitiva, senza aspettare il 1° Giugno?. Perché non si revoca lo “stato emergenziale”, codificato nel primo decreto legge fino al 30 Giugno?

              Perché, ancora una volta, non si ha fiducia nel comportamento responsabile del 95% dei cittadini?

              SE i GOVERNATORI (richiesta dell’11/05/20) resteranno INASCOLTATI, dovremmo trarre una conclusione.

              Cioè, che QUALCUNO cerca di lucrare politicamente il più possibile sulla “sospensione dei diritti costituzionali dei cittadini e del parlamento”, perché teme ciò che succederà a breve.

Non il giudizio di Dio, ma il giudizio dei cittadini. Che dovranno pur essere fatti votare, nelle Regioni in cui i Consigli regionali sono scaduti da mesi, e che si accorgeranno sulla loro pelle quanto ampia sia la crisi economica, quanta matrigna sia l’Europa e quanto non si sia stato fatto.

Perché una cosa è certa. Con questo virus dovremo convivere. Con altre virosi dovremo combattere. Ci auguriamo, combattere con altri mezzi e con un governo più snello e più preparato, ossia con un minor numero di “incompetenti”, diretti ed indiretti.

FREMANT OMNES, DICAM QUOD SENTIO !

Stefano Biasioli
Primario ospedaliero in pensione

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