Articoli vari di ieri…

Verità_20.3.22_pag_1-14 : Tridico sa assumere solo manager. Ai call center «taglia» le telefonate… di C. Antonelli e A. Da Rold

Tempo_20.3.22_pag_1-9 : VERTICI DELLE AZIENDE PUBBLICHE – La mano di Giavazzi nel valzer dei nomi… di L. Bisignani

Messaggero_20.3.22_pag_8 : «INFLAZIONE verso il 6% e PIL in CALO dell’1,7%»… di M. Di Bra.

FattoQuotidiano_20.3.22_pag_4-5 : GUERRA in UCRAINA • I BUCHI DELL’OSPITALITÀ. Pochi posti letto e zero controlli: l’accoglienza profughi è nel caos… a cura della Redazione

Davvero l’Italia non può separare previdenza e assistenza?

di Alberto Brambilla su Itinerariprevidenziali.it

Nel 2019 (anno che ha preceduto la pandemia da COVID-19) la spesa per pensioni italiana è ammontata a 230,25 miliardi, il 12,88% del PIL: un valore in linea con la media europea ma distante da quello che viene effettivamente comunicato dalle nostre istituzioni a Bruxelles. Generando confusione ed esponendo il Paese al rischio di una nuova dura riforma.

In Italia separare la spesa assistenziale da quella pensionistica non si può: è questo il verdetto emesso dagli esperti della Commissione tecnica istituita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Esperti secondo i quali non sono scorporabili, almeno attualmente (?), le integrazioni al minimo degli assegni pensionistici, pensione e reddito di cittadinanza, assegni sociali, maggiorazioni sociali, quattordicesima mensilità e numerose altre forme assistenziali quali i prepensionamenti, le ristrutturazioni di Poste, Ferrovie, Alitalia e altre aziende di Stato che, per privatizzarsi, hanno scaricato sulle pensioni, un esercito di cassintegrati prima e pensionati poi (tutti con contributi rigorosamente figurativi a carico della fiscalità generale e sul “conto pensioni”). Senza contare i fondi speciali e i coltivatori diretti che ogni anno costano “una finanziaria”. No, devono rimanere collocati nella spesa pensionistica!

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Pensionati, 210 euro medi dalla riduzione dell’Irpef

Il tavolo riforma resta aperto

Duecentodiecieuro. È la stima media annua del vantaggio fiscale per i pensionati dalla rimodulazione dell’Irpef prevista dalla legge di Bilancio 2022. A precisarlo è la risposta del  ministero dell’Economia in commissione Finanze alla Camera a un question time del Pd (primo firmatario Gian Mario Fragomeli).

Dei 6.79 miliardi impegnati a regime nella riduzione delle imposte, circa un terza (2,17 miliardi) sono stati destinati ai contribuenti con reddito prevalente da pensione (10,3 milioni di soggetti): l’82% di questa cifra è attribuibile alla rimodulazione delle aliquote. Nella fascia di reddito 15-28 mila euro (la più numerosa con 4,9 milioni di contribuenti) il beneficio medio annuo  è stimato in 167 euro. Mentre il vantaggio più corposo è di 744 euro medi annui nella fascia 50-55 mila euro, dove però i contribuenti sono poco meno di 96 mila.

Il capitolo pensioni è stato al centro ieri di alcune dichiarazioni del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che ha precisato che il tavolo sulla riforma non è stato affatto accantonato, aggiungendo che però in questo momento nell’agenda del governo ci sono altre priorità «sul fronte dell’accoglienza e del contenimento degli effetti della guerra» in Ucraina «su alcune filiere in particolare».

In altre parole il confronto con i sindacati per individuare le soluzioni più idonee per rendere maggiormente flessibile la legge Fornero, che si è interrotto a metà febbraio, non può che restare congelato in attesa di ripartire nelle prossime settimane. Anche se a questo punto l’orizzonte non sembra essere quello del Def in arrivo a fine mese.

Articolo pubblicato su Sole24Ore_17.3.22_pag_14 di G. Par. e M. Rog.

Graffio di Lenin: “NON SIAMO IN GUERRA…”

Stefano Biasioli, 12 marzo 2022

“No siamo in guerra…non è un’economia di guerra… È prematuro parlare di un recovery di guerra…”, queste sono (in sintesi) alcune affermazioni fatte da Draghi prima e dopo l’inutile vertice UE di Versailles, che non ha preso alcuna decisione sui temi caldi del momento: guerra, riscaldamento globale, crisi energetica, approvvigionamenti, difesa europea, nuove sanzioni anti-Putin.

Più passano i mesi, più Draghi sembra aver perso quell’alone iniziale di santità-tecnicismo-decisionismo, per cui era stato chiamato da Mattarella al capezzale dell’Italia, stremata dal Covid e dalle marachelle dei 2 governi Conte. Un anno dopo, Draghi ci appare spento, gonfio in viso e con la pappagorgia. Anche in Europa lo stanno snobbando, in particolare l’asse franco-tedesco. Ha chiesto che il “debito lo faccia la UE”, senza alcun riscontro. In definitiva, la volontà UE è fare a meno del gas e del petrolio russo, in tempi ristretti, mantenendo la transazione energetica entro il 2050. Come? Senza un piano europeo comune, basato su tempi certi e su finanziamenti concreti….

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Si ritorna all’austerity sperimentata 50 anni fa

Di M. Belpietro da Verità del 12.3.2022

CI SIAMO, SPENGONO I TERMOSIFONI

Draghi: «Non è economia di guerra». Ma scatta il piano termosifoni spenti. Il premier minimizza: «Non siamo ancora a quel punto». Eppure il Campidoglio che abbassa il riscaldamento di due gradi ricorda l’austerity di 50 anni fa. Biden invece combatte Putin mettendo al bando vodka e caviale….

… continua ⇒ Verità_12.3.22_pag_1-3

Lo Stato continua a incassare – La guerra cambia tutto tranne le tasse

Di  A. Sallusti da Libero del 12.3.2022, pagina 1

Avrà sicuramente ragione Draghi che noi non siamo così fessi da accettare l’invito dell’Europa a indebitarci un po’ di più perché alla prima occasione i burocrati di Bruxelles ci farebbero pagare il conto con gli interessi.

E avrà pure ragione a dire che il piano di rilancio europeo è di una bellezza pazzesca perché ci proietta in un mondo più bello e pulito, che tra venti anni, grazie alla transizione ecologica, benzina e petrolio saranno rimasugli del passato eccetera eccetera.

Tutto vero, ma una domanda sorge spontanea: chi godrà tra dieci o vent’anni di queste meraviglie? …

… continua ⇒ Libero_12.3.22_pag_1