Comunismo previdenziale
Noi “Pensionati Esasperati” siamo convinti che esista una ampia “fetta” di personaggi che puntano ad introdurre il COMUNISMO PREVIDENZIALE.
Il riferimento è a tutti coloro (da Gutgeld, a Maziotti e C., al Presidente dei Giovani Confindustriali….fino alla prassi dei Governi Monti-Letta Renzi-Gentiloni) che vorrebbero si arrivasse a PENSIONI UGUALI PER TUTTI.
Ad un esproprio previdenziale come quello russo del 1917
Per tutti costoro (politicanti e giornalisti) le “vecchie regole pensionistiche non valgono più…il bilancio dell’INPS è dissestato…il debito pubblico è in continua ascesa…quindi….vanno tagliate le pensioni dai 2000 euro lordi in su…”.
Non siamo pessimisti ma i personaggi citati continuano a prendersela solo con i pensionati, non con gli evasori fiscali o con i mancati tagli dei vitalizi…
C’è una sola spending review: quella che taglia le pensioni INPS alla faccia dei soldi da Noi “obbligatoriamente” versati per oltre 40 anni, soldi mai realmente rivalutati.
Insomma, TUTTI COSTORO VORREBBERO ROMPERE IL PATTO PREVIDENZIALE che lo Stato HA FATTO con ciascuno di NOI, oltre 40 anni fa.
Se così fosse, NON STAREMO FERMI e ZITTI !
SPENDING REVIEW
PER NON DIMENTICARE: diceva Gutgeld il 20/06/17….
Nel settore “Documenti” del sito troverete copia dell’intervista di Yoram Gutgeld, Commissario alla Spending Review, rilasciata al Corriere della sera il 20 giugno u.s.
In più di quattro anni di esternazioni – di Boeri, presidente INPS, di politici di vari partiti, di sindacalisti, di giornalisti, di conduttori di talk show – sulla necessità di tagliare le cosidette ” pensioni d’oro “nessuno si era, in precedenza, sbilanciato con dei numeri, preferendo tutti costoro rimanere nel vago.
Ringraziamo Gutgeld che, unico tra i molti che per anni hanno “starnazzato “sul tema, ci ha finalmente permesso di capire cosa intendono questi signori per “pensioni d’oro”.
In sintesi Gutgeld ha dichiarato che…” ..per avere un impatto significativo sulla spesa pensionistica bisognerebbe arrivare a toccare anche i diritti acquisiti delle pensioni medie da 2000-2500 euro lordi/mese, quando non sono sostenute da contributi adeguati. Li ci sono limiti oggettivi: mancano i dati sui contributi e siamo vincolati dalla Corte Costituzionale…”.
In definitiva, Gutgeld ha chiarito che, per sistemare i conti INPS, bisognerebbe agire su una ampia fetta di pensionati, partendo dalle pensioni da 2000 euro lordi/mese, ovvero da quelle con 1370 euro netti/mese !
Noi, che cattivi siamo, abbiamo capito che questa era – fin dall’inizio – la volontà del PD di Renzi: considerare “ricche” e quindi aggredibili le pensioni dai 2000 euro lordi in su. Purtroppo, dice Gutgeld, c’è qualche difficoltà a realizzare questo loro “obiettivo nascosto”…
La mancanza di documentazione in casa INPS…e la Consulta….
Adesso, anche chi non credeva al “nostro pessimismo cosmico” è servito….(Lenin!).L’articolo citato non è più reperibile sulla rete… per questo ne teniamo copia…a memoria imperitura…. (Orsini e Biasioli)
«Rivediamo il Fiscal Compact
L’Italia non riduca il deficit»
Il commissario Yoram Gutgeld: «Non c’è più molto da aggredire, non possiamo trovare altri trenta miliardi da tagliare ma possiamo limitare la dinamica della spesa pubblica contenendo l’aumento dei costi»
di Federico Fubini, Corriere della Sera/Economia, 17 giugno 2017
Revisione non fa sempre rima con (forte) riduzione della spesa, ma con aumento degli spazi per ciò che il governo deve o vuole fare. Yoram Gutgeld, commissario alla spending review, deputato del Pd, ex consigliere economico di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, ha presentato ieri il primo rapporto annuale sul suo lavoro. Lui per primo sa che ora la parte tecnica deve lasciar posto alle scelte politiche. Quanto a queste, Gutgeld ne indica due fra le sue preferenze «personali»: rinegoziare il Fiscal compact europeo per fermare il cammino verso il pareggio di bilancio, e mantenere il deficit agli attuali livelli in proporzione al prodotto lordo. Non ridurlo. Dunque per il commissario alla spending review la prossima Legge di bilancio non dovrebbe contenere la nuova stretta, per quanto limitata, che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha prefigurato in una lettera alla Commissione europea.
Commissario, includete nella revisione oltre 300 miliardi di spese ma ne escludete 500, fra cui le pensioni. Perché?
«Il governo di Mario Monti ha messo in sicurezza la dinamica della spesa pensionistica, ma la spesa rimane alta. Detto questo, mi sembra complicato intervenire ancora. Per avere un impatto, bisognerebbe arrivare a toccare i diritti acquisti delle pensioni medie da 2.000-2.500 euro lordi al mese quando non sono sostenute da contributi adeguati. Lì ci sono limiti oggettivi: mancano i dati sui contributi più antichi e siamo vincolati dalla Corte costituzionale».
Vanno coperte sempre nuove spese automatiche, come le pensioni e la sanità, o inevitabili come quelle sui migranti. Resta spazio per nuovi tagli altrove?
«Di taglio facile non è rimasto molto ma il lavoro sull’efficienza degli acquisti continuerà. Non possiamo trovare altri trenta miliardi, ma possiamo fare molto perché ci sono margini importanti. In futuro sarà fondamentale limitare la dinamica della spesa pubblica, contenendo l’aumento dei costi e vigilando sull’efficienza».
L’Italia può limitarsi a contenere la spesa e allo stesso tempo portare il bilancio verso il pareggio?
«L’obiettivo del pareggio è iscritto del Fiscal compact europeo, ma trovo che su di esso occorra una riflessione. Quell’accordo fu pensato in un momento di grande emergenza, nel 2011-2012, e non si è rivelato un successo».
Da allora in area euro si sono tagliate spese per due punti di Pil e mezzo punto di tasse. Perché non è un successo?
«Intanto perché tutti i Paesi faticano a raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio, ad eccezione della Germania che ha un enorme surplus esterno. Ma soprattutto, un Paese non è un’azienda. Non può essere gestito come se lo fosse: lo Stato non deve generare “profitti” per remunerare il capitale. Dunque non c’è nulla di magico in un pareggio o in un surplus di bilancio pubblico».
Dunque lei ritiene che l’Italia dovrebbe rinegoziare il Fiscal compact?
«Il vero problema è la crescita e come ottenerla. Dobbiamo andare avanti con interventi strutturali sulla giustizia, la burocrazia sulla legge fallimentare. Ma si dovrà anche valutare la leva fiscale per stimolare la ripresa, come hanno fatto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dopo la crisi».
Dove interverrebbe?
«Guarderei per esempio i crediti d’imposta su ricerca e sviluppo. Oggi il valore aggiunto dei prodotti italiani è in media più basso di quello francese o tedesco, in parte perché non si investe abbastanza in quest’area. Allargherei il credito d’imposta. Oggi le aziende farmaceutiche vanno in Francia a fare ricerca, perché lì gli sgravi sono più alti. Anche l’ambito degli incentivi di Industria 4.0, che stanno funzionando, è ancora limitato, riguarda solo le macchine digitali: andrebbe allargato».
Sembra che lei pensi più a sgravi per le imprese che all’imposta sul reddito delle persone fisiche.
«Anche sull’Irpef si dovrebbe fare qualcosa. Serve una fiscalità orientata alla famiglia, proprio perché abbiamo un problema demografico e occorre incoraggiare la natalità. Il problema è europeo eccezion fatta per la Francia che ha una fiscalità molto più favorevole per famiglie».
Difficile fare ciò che lei dice riducendo il deficit, e presto l’Italia dovrebbe dare disco verde alla piena integrazione del Fiscal compact nel diritto europeo. Che ne pensa?
«Il governo si dovrà esprimere. Personalmente non credo sia una buona idea, perché trovo che quell’accordo sia da rivedere per avere uno spazio fiscale più ampio».
Anche con un disavanzo sopra al 3% del prodotto lordo?
«No, perché in Italia resta un problema di debito. Con un deficit sopra al 3% inizieremmo a faticare nello stabilizzare la dinamica del debito e questa per noi resta una questione fondamentale. Il problema del Fiscal compact è che si concentra solo sul deficit».
Lei invece a cosa guarderebbe?
«A deficit, crescita e inflazione. Con la regola del due. Con un due per cento di aumento del Pil in termini reali, di deficit pubblico e di aumento dei prezzi al consumo, metteremmo il debito su una traiettoria rapidamente discendente. E pian piano ci stiamo avvicinando a questi obiettivi, ma serve una spinta in più».
Il deficit nel 2017 è già diretto attorno al 2%. Significa che la prossima Legge di stabilità non dovrà stringere ancora? Padoan pensa a un aggiustamento da 5-6 miliardi…
«Più o meno siamo come dovremmo essere in questa fase. La macchina della gestione della spesa ora funziona e siamo in grado di gestire aumenti contenuti delle uscite. Il tema che richiede una valutazione politica è quello della leva fiscale. Si potrebbero ridiscutere gli obiettivi per l’anno prossimo, ma non isolatamente. Dobbiamo andare avanti anche con le altre riforme strutturali: vanno rassicurati i mercati, perché capiscano che l’Italia crescerà».
In Francia il presidente Emmanuel Macron prepara una riforma del lavoro più radicale di quella di Renzi, perché include la contrattazione in azienda. Addolcita da un balzo del deficit dal 3% al 4% nel 2018. Che ne pensa?
«I numeri francesi sono diversi, resto convinto che per noi un deficit al 3% complica la gestione del debito. Ma prendersi un po’ di spazio fiscale, come sembra farà Macron, ha senso».
L’Italia dovrebbe seguire Parigi sulla riforma del lavoro?
«Sono questioni che riguardano la contrattazione, dunque i rapporti fra datori e sindacati. Sicuramente è l’approccio giusto, in Germania c’è da tempo. Ma temo che il governo possa favorirlo solo fino a un certo punto».
Graffio di Pensionato Esasperato (2)
Continua l’attacco di Floris & C. alle pensioni superiori a 1.515,00 euro lordi/mese.
Nuovo ATTACCO alle PENSIONI
Floris (di martedì 17.10) non demorde e continua il pluriennale attacco alle pensioni “medio-alte” .
Emiliano (Gov. Puglia) ha affermato che occorre modificare l’art. 38 della Costituzione per “giustificare” i nuovi tagli pensionistici.
Andiamo verso il “Soviet” della previdenza?
Pensionati: SVEGLIA!
Il “Palazzo” non demorde.
Ci aspettiamo che “qualche manina del PD e dintorni” inserisca nella legge di bilancio un comma che proroga (2018-2019-2020…) i TAGLI alle pensioni in essere (le Nostre, non quelle dei Parlamentari).
Il “Palazzo” non fa nulla contro l’evasione fiscale ma punta al “Soviet” della previdenza
Graffio di PENSIONATO ESASPERATO
Letterina ai pensionati “Esasperati” (nella speranza che non siano disattenti).
In questi giorni i giornali sono pieni di “Rosatellum” e di “Notizie virtuali” relative alla Legge di Bilancio (ex Stabilità) che nessuno ha letto perché manca ancora un testo ufficiale e che è stata fino ad ora annunciata in modo “sdolcinato” dal Premier pro-tempore Gentiloni.
Noi da “Pensionati Esasperati” ci limitiamo a ricordarVi questi fatti:
- la Legge di Stabilità non contiene risorse per la rivalutazione delle pensioni nel 2018; il DEF non ha previsto – per questo – alcuna risorsa per l’intero triennio 2018-2019-2020;
- la pressione fiscale è aumentata del 2,6% in otto mesi mentre la crescita è ferma al 1,5% (la Verità, 18.10.2017 – pag. 3);
- ci fanno pagare le bollette per 13 mesi anziché 12 (la fattura a 28 gg e non mensile assicura incassi superiori del 8% alle compagnie);
- il taglio dei vitalizi parlamentari resta in Commissione (…) (Il Fatto Quotidiano, 18.10.17 – pag.5);
- sta arrivando una Tassa Europea sui terreni delle case (è un’idea di Macron);
- la Germania restituisce i migranti alla Svizzera, che poi li girerà a l’Italia;
- nel 2016 sono fuggiti all’estero 124.000 giovani: non si tratta di cervelli in fuga ma di persone normali che vanno all’estero anche per lavori modesti;
- ai richiedenti asilo in Alto Adige verranno offerti villini in classe A (La Verità, 08.09.17 e 18.10.17 – pag. 5).
Mancano 6 giorni alla decisione della Corte Costituzionale sulle migliaia dei ricorsi presentati contro “LA MANCATA RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI” . Cosa farà la Corte? Ipotesi possibili:
a) rinvio della decisione dopo le politiche del 2018
b) decisione salomonica: “chi ha avuto avuto, chi ha dato ha dato…” ovvero…“siamo consapevoli che i pensionati over 1.513 euro lordi/mese sono stati penalizzati più dei cittadini che ancora lavorano ma la cassa dello Stato è talmente in “rosso” che i Governi sono stati costretti a fare così”.
c) “statevene buoni”… i tagli finiscono al 31 dicembre 2018…” ;
d) “i tagli passati, presenti e futuri sono giustificati dal “buco” finanziario dell’INPS… quindi i Governi sono “autorizzati” a chiedere i contributi a tutte le pensioni medio-alte…”.
Domanda finale: se la risposta sarà una di queste, come reagiranno i “Pensionati Esasperati”?
Lenin
BOERI DATO IN USCITA DALL’INPS
PER “LETTERA 43” BOERI HA LE ORE CONTATE
IN ARRIVO MARE’, DALLA PADELLA ALLA BRACE
Il giornale on line “Lettera 43” sabato 7 ottobre ha pubblicato un articolo di Francesco Pacifico dal titolo “Inps, il piano del PD per prepensionare Tito Boeri”.
Il presidente dell’INPS, che a detta del giornalista sarebbe inviso a Damiano e Sacconi, presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, avrebbe le ore contate perché sarebbe in dirittura d’arrivo la revisione della governance dell’Istituto, che diverrebbe così la scusa per dare il benservito a Boeri, con il ripristino di un Consiglio d’Amministrazione.
A sostituire Boeri alla guida dell’INPS, sempre secondo il giornalista di “Lettera 43”, arriverebbe Mauro Maré, consigliere di Pier Carlo Padoan e presidente di Mefop SpA, la società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione, di cui il Ministero dell’Economia è azionista di maggioranza.
Il rischio, quindi, è di cadere dalla padella nella brace. L’INPS passerebbe da un economista che spinge per il ricalcalo delle attuali pensioni con il sistema contributivo e per lo sviluppo della previdenza complementare ad un altro economista che attualmente è impegnato a far crescere l’adesione ai circa 90 fondi che aderiscono al Mefop. Ma un presidente innamorato del sistema previdenziale pubblico, no?
Da parte nostra continueremo ad ostacolare il disegno di Boeri, così come ostacoleremo quello di Maré, se arriverà all’INPS, o di chiunque altro cerchi di distruggere la previdenza sociale pubblica.
12 OTTOBRE TUTTI ALL’ARAN PER IL CONTRATTO
10 NOVEMBRE TUTTI IN SCIOPERO PER IL CONTRATTO E PER L’INPS
Roma, 9 ottobre 2017 (67/17) USB Pubblico Impiego INPS
7 ottobre 2017 – Francesco Pacifico – LETTERA 43 –
In teoria Tito Boeri ha un mandato da presidente dell’Inps che scade nel 2020. In pratica ampi fronti del governo e – soprattutto – amplissimi settori della maggioranza starebbero studiando come pensionarlo già prima delle elezioni 2018 o subito dopo l’insediamento del nuovo governo. Il tutto con la benedizione dei sindacati. Come? Reintroducendo nella governance dell’ente previdenziale quel consiglio di amministrazione eliminato da Antonio Mastrapasqua e che lo stesso Boeri non ha mai mostrato di sentirne la mancanza.
SCONTRO SULL’ETÀ PENSIONISTICA. Nelle ultime settimane l’economista bocconiano – mai tenero con l’esecutivo – ha finito per fare muro con la Ragioneria generale dello Stato contro il congelamento dell’età pensionistica. Parallelamente ha proposto di creare un incentivo ad hoc per assumere le madri che hanno da poco partorito. Posizioni che ben si scontrano contro chi in maggioranza – soprattutto Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, ex ministri del Welfare e oggi potentissimi presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato – invece proponeva di congelare almeno per un anno l’aumento del tetto di uscita o di allargare l’utilizzo dell’Ape social per le donne.
In parlamento e in larghi settori del governo si vorrebbe arrivare al redde rationem con Boeri, che in passato è stato tra i principali consiglieri di Matteo Renzi sulle tematiche del welfare e del lavoro. L’occasione sarebbe data dalla proposte di riforma della governance degli enti previdenziali firmata da Damiano e da altri, che giace da tempo alla Camera e che potrebbero subire un’accelerazione nei tempi di approvazione.
REINTRODUZIONE DEI CDA. Il testo prevede fondamentalmente due modifiche rispetto allo status quo: reintroduce il consiglio di amministrazione e, nella parte destinata al riordino degli organi collegiali territoriali di Inps e Inail, dà al cda di questi istituti il potere di presentare al governo un progetto di riforma dei comitati centrali e territoriali degli enti per rimodulare e integrare i diversi livelli di responsabilità.
“Boeri all’Inps ha scatenato le ire dei sindacati per la creazione della segreteria unica che affianca il presidente e l’istituzione di direzioni metropolitane che confliggono coi livelli regionali”
Va da sé che questi due passaggi finirebbero per ridurre al lumicino i poteri del presidente e, di conseguenza, tutte le riorganizzazioni fatte in questi anni da Boeri, che ha finito per scatenare le ire dei sindacati soprattutto per la creazione della segreteria unica che affianca il presidente e l’istituzione di direzioni metropolitane che – per esempio in Campania, Lazio e Lombardia – confliggono con i livelli regionali. Per non parlare del fatto che, con una governance e il ritorno del cda, sarebbe quasi naturale azzerare gli attuali vertici.
ACCUSATO DI «FARE TERRORISMO». Chi lo conosce sa bene che Boeri non si è mai fatto intimidire dalle critiche della politica. Ultimamente Damiano lo ha accusato sulle pensioni di «fare terrorismo». Però c’è chi nella maggioranza spera che questo attivismo spinga il bocconiano a fare un passo indietro. Anche perché ci sarebbe già un candidato per la successione: è Mauro Marè, economista e consigliere principe di Pier Carlo Padoan al Tesoro, che ben conosce la materia previdenziale guidando il Mefop (l’ente che si occupa dello sviluppo dei fondi pensioni) e avendo proposto tra i primi in Italia la creazione di una pensione di garanzia per i giovani.
Diapositive Convegno PADOVA 7 ottobre 2017
Scarica le Diapositive di PADOVA 07.10.2017
SINTESI del CONVEGNO PENSIONATI (PD, 07/10/17)
Un centinaio di pensionati veneti ha partecipato al nostro Convegno patavino, sabato 07/10/17 (Hotel 4 Points), seguendo con attenzione le articolate relazioni di Stefano Biasioli, Lorenzo Stevanato ed Ennio Orsini, dedicate alle criticità del momento pensionistico attuale.
Erano presenti anche Oriana Venturi (CONUP) ed esponenti delle sigle pensionistiche confederali, nonche’ rappresentanti dei pensionati friulani.
Dopo le relazioni ed una intensa discussione, l’Assemblea ha condiviso le proposte degli organizzatori, cosi’ riassumibili:
a) Prosecuzione dell’attività di propaganda e di raccordo con altre rappresentanze pensionistiche, per allargare la base informativa e partecipativa (prescindendo da aspetti ideologici);
b) Vigile attesa della Sentenza della C.Costituzionale del 24/10/17, in tema di mancata rivalutazione delle pensioni;
c) Prosecuzione della raccolta delle adesioni alla PETIZIONE per la SEPARAZIONE della ASSISTENZA dalla PREVIDENZA (ad oggi, abbiamo raccolto circa 500 adesioni nel Triveneto);
d) Organizzazione di un Convegno sulle CRITICITA’ PENSIONISTICHE (Gennaio 2018), con invito a Parlamentari ed Esperti;
e) Diffusione delle nostre idee utilizzando il web e (per quanto possibile) le TV (locali e non).
In tutti i presenti, una certezza: la tutela delle nostre pensioni sarà lunga e difficile, ma i pensionati -ora- hanno capito che un esito positivo potra’ essere ottenuto solo se saranno UNITI e se faranno pesare, al momento del voto, la loro ESASPERAZIONE per le continue angherie che questo Stato ha avuto nei loro confronti, da almeno venti anni.
(a cura di S. Biasioli).
News di Perelli (estratto)
Scarica l’allegato
PER QUALE PENSIONE STO CONTRIBUENDO?
Nel consueto silenzio di stampa e televisioni su un argomento ritenuto “minore” e poco consono al momento preelettorale, si susseguono, sulla rete, reazioni preoccupate alla notizia che è all’esame della prima Commissione della Camera (Affari Costituzionali) una proposta di legge a firma dell’onorevole Mazziotti di Celso ed altri (C3478) che punta alla modifica dell’articolo 38 della Costituzione. L’articolo 38 – va ricordato – proclama il diritto dei cittadini alla previdenza sociale, distinguendo i concetti di previdenza e di assistenza, la prima derivante dai contributi versati dai lavoratori, la seconda sostenuta da risorse provenienti dalla fiscalità generale.
Un editoriale dello stesso Mazziotti, per nulla convincente, sulla necessità di intervenire con la citata modifica costituzionale, comparso recentemente su “Formiche.net”, anziché placare gli animi ha finito per infiammare ancor più la polemica.
Al dibattito ritengo utile contribuire con alcune osservazioni dal punto di vista di chi, come me, non ancora pensionato ma prossimo al traguardo, si ritrova nella condizione di aver versato, per vincolo normativo, decenni di onerosi contributi all’INPS, di essersi poi visto dilatare dalla riforma Fornero il tempo di contribuzione necessario al pensionamento e di apprendere, ora, dell’esistenza di un disegno di modifica costituzionale che, in modo surrettizio, attribuisce all’INPS la potestà di ridurre gli assegni pensionistici attuali e futuri per ricavare le risorse necessarie ad integrare altre pensioni non coperte da adeguata contribuzione.
Leggendo, infatti, sia la proposta di modifica con relativa relazione di accompagnamento, che l’intervento dell’On. Mazziotti di Celso pubblicato da Formiche.net, appare evidente che la modifica costituzionale, con la finalità di non discriminare le generazioni, è intesa a rendere possibile il livellamento verso il basso delle pensioni, magari in modo graduale o proporzionale, .
Ad aumentare l’inquietudine generata dall’iniziativa si aggiunge l’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal commissario alla spending review, Yoram Gutgeld, comparsa il 20 giugno, il quale, rammaricandosi di non essere stato in grado di tagliare le pensioni medio-alte per i vincoli posti dalla Corte Costituzionale, indica l’importo di € 2000 lordi (1340 netti) come limite al di sopra del quale gli importi corrisposti sarebbero passibili di riduzione.
Per accendere il semaforo verde a quanto auspicato da Gutgeld, si pensa ora di modificare la Costituzione ed, in nome del principio di sostenibilità, rendere in pratica possibile il ricalcolo delle pensioni già liquidate, indipendentemente dai contributi versati, in qualsiasi momento, senza vincoli se non quelli derivanti dal bilancio dell’INPS e dalle necessità assistenziali via via emergenti e ritenute prioritarie dal Governo di turno.
Nessun pensionato o pensionando potrà, in tal modo, far più conto su risorse certe e costanti per il suo sostentamento, essendo potestà del Governo ridurre, anche annualmente, l’ammontare della pensione in base alle più disparate, e forse discutibili, necessità in favore di altri che non hanno egualmente contribuito.
Lo scenario appare fortemente penalizzante, oltre che per gli attuali pensionati, anche per chi, ancora attivo come lavoratore, sta versando contributi avvicinandosi all’età della pensione.
A che titolo, in quale misura e con quale diritto l’INPS potrebbe infatti continuare, una volta approvata la proposta Mazziotti, a prelevare da costoro contribuzioni che verrebbero domani dirottate per essere destinate a finanziare prestazioni di fatto assistenziali?
Una simile decurtazione, che riguarderebbe milioni di persone, sarebbe inaccettabile, venendo, di fatto, a costituire una ulteriore forma di tassazione odiosamente riservata ai soli iscritti alla previdenza obbligatoria INPS, ed impatterebbe sicuramente in termini negativi sul clima sociale, generando sentimenti di difesa e di chiusura, anziché di fiducia nella tenuta e nella ripresa dell’economia.
Ora, se è vero, come a più riprese sostenuto da autorevoli esperti, che la riforma Fornero aveva provveduto a riequilibrare le entrate e le uscite e, quindi, i conti del sistema previdenziale, è da chiedersi cosa sia nel frattempo intervenuto a modificare la situazione e quali siano, di conseguenza, le reali motivazioni della proposta Mazziotti.
E’ possibile ritenere che la risposta sia da ricercarsi nella crescita delle prestazioni assistenziali accordate in questi anni, sulla base di decisioni politiche, anche ispirate alla ricerca del consenso, che lo Stato stenta sempre più a ripianare creando così preoccupanti scoperture nel bilancio dell’INPS.
L’ordinamento attuale, infatti, stabilisce chiaramente che le erogazioni assistenziali debbano essere coperte da risorse provenienti dalla fiscalità generale, mentre quelle previdenziali debbano essere coperte dai contributi che ogni lavoratore e datore di lavoro versa, accantonati come retribuzione differita e percepiti al momento della pensione.
Entrambe le gestioni sono affidate all’INPS che, teoricamente, vi provvede con contabilità separata: la GIAS – gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali – istituita, presso l’INPS, dall’articolo 37 della L. 9 marzo 1989, n. 88 per la progressiva separazione tra previdenza e assistenza e la correlativa assunzione a carico dello Stato delle spese relative a quest’ultima, che tuttavia negli ultimi esercizi sono state solo parzialmente coperte.
In definitiva, la proposta Mazziotti si propone di liberare il bilancio dello Stato dall’onere di buona parte delle prestazioni assistenziali erogate dall’INPS, quelle cioè dovute ad insufficiente contribuzione, spostandolo a carico dei pensionati, ai quali verrebbe imposto di finanziarne il costo, rinunciando forzosamente a parte della loro pensione.
Piuttosto che aumentare le tasse o, più opportunamente, intervenire finalmente sul macroscopico problema dell’evasione e dell’erosione fiscale, rischiando così di perdere consenso, si ritiene più conveniente e semplice scaricare i costi dell’assistenza sui pensionati INPS, già oggi gravati dai livelli di tassazione più elevati d’Europa!
Risulta sempre più evidente che, a questo punto, è necessario ed inderogabile pensare al riordino dell’INPS, affinché i lavoratori siano tutelati e non espropriati dei contributi versati e perché chi ha effettivo bisogno sia assistito con criteri di tracciabilità e di trasparenza. E’ irrinunciabile a tal fine separare la previdenza dall’assistenza e vincolare la prima alla contribuzione e la seconda alla fiscalità generale, per rendere possibili azioni mirate a supporto delle necessità assistenziali senza ricorrere all’esproprio delle pensioni.
Su questi presupposti la proposta di modificare l’articolo 38 della Costituzione appare una pericolosa scorciatoia, finalizzabile a rendere difendibili, sul piano giudiziale, mere azioni di governance in materia previdenziale, che finisce per disconoscere che tutto ciò confligge con altri, più fondanti, principi della Costituzione repubblicana.
Più precisamente, l’attuazione dell’astratto ed inaudito principio di “non discriminazione” tra generazioni mediante l’esproprio dei trattamenti previdenziali medio-alti aprirebbe il varco ad un’altra, effettiva, discriminazione di diritti: quella tra pensionati INPS e non, e quella tra iscritti alla previdenza obbligatoria e non, per violazione dell’art. 3 e dell’art. 53 della Costituzione.
E non ci si venga a dire che le nostre sono solo delle “fobie”, perche’ – nei giorni scorsi- le anticipazioni uscite sul DEF fanno presupporre che, da adesso al 24 Ottobre, la politica farà pressione (ovviamente ufficiosa) sulla C. Costituzionale che, in quella data, dovra’ dare un autorevole parere sul problema della pluriennale mancata , totale, perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS, problema rinviato alla Corte da almeno 15 Corti dei Conti regionali e da parecchi tribunali.
Cosa deciderà la Corte? Confermerà o smentira’ sue precedenti sentenze?
Lo vedremo. Restiamo comunque del parere che le prospettive delle nuove generazioni non si tutelano con modifiche all’articolo 38, ma in altro modo ed essenzialmente con politiche di sostegno del lavoro!
Lorella CIAMPALINI