Perché i bilanci INPS sono inestricabili – 19.11.17

Ci chiediamo come mai il presidente dell’Inps Tito Boeri non si occupi degli “incasinati” bilanci del suo istituto invece di continuare ad attaccare i “pensionati d’oro a 2- 3.000 euro lordi mensili” dichiarando che (ultima sua esternazione) “… in Italia bisogna pensare di più ai bambini ed alle famiglie con bambini piuttosto che agli over 65 che sono stati meno colpiti dalla crisi …”.

Noi, molto sommessamente, gli ricordiamo che gli over 65, secondo uno studio del Censis, rappresentano attualmente il più importante ammortizzatore sociale nei confronti di quella torma di figli e nipoti disoccupati o sottoccupati con una spesa di oltre 6 miliardi annui.

Ma ritorniamo al tema del nostro intervento di cui il bocconiano dovrebbe sommamente occuparsi.

Oggi il debito netto dell’Inps nei confronti del bilancio dello Stato, cioè la differenza tra partite debitorie e creditorie, supera i 100 miliardi di euro. Da cosa deriva questa grossolana anomalia?

Dal fatto che sono disattese le regole che soprassiedono alla correttezza formale dei bilanci e della contabilità amministrativa. Infatti la normativa vigente (legge 88/1989) stabilisce che, in ragione del principio dell’equilibrio delle gestioni previdenziali dell’Inps, il bilancio dello Stato non possa coprire, con trasferimenti a carico della fiscalità generale, la differenza tra uscite per prestazioni della previdenza ed entrate contributive.

Al contrario, trasferimenti a titolo definitivo dal bilancio dello Stato sono possibili al fine di ripianare i disavanzi della gestione assistenziale Inps.

Secondo il vecchio adagio “fatta la legge, trovato l’inganno”, i responsabili-irresponsabili della nostra “cosa pubblica” sono subito ricorsi alla finzione contabile secondo cui le anticipazioni della Tesoreria statale (cioè il contributo della fiscalità generale) nei confronti dell’Inps per garantire il pagamento delle prestazioni erogate debbano essere intesi come “trasferimenti definitivi a titolo di finanziamento delle prestazioni assistenziali”, in ragione del criterio convenzionale (ed ingannevole) adottato, secondo cui viene definita “assistenza” una quota parte di ciascuna mensilità di pensione erogata.

La quota parte anzidetta, definita forfettariamente in 16.504 miliardi di lire nel 1988, mediante rivalutazione annuale e dopo la confluenza dell’Inpdap nell’Inps, veleggia oggi verso i 40 miliardi di euro/anno.

Anche la istituzione, nel 1989, della Gias (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), già nell’ambiguità della titolazione, non ha chiarito il perverso intreccio tra assistenza e previdenza che c’è ancor oggi nell’Inps perché, accanto ad alcune prestazioni proprie incluse nella Gias (pensioni sociali, prepensionamenti, integrazioni al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, oneri derivanti da agevolazioni contributive, sostegno alle disabilità, alla cassa integrazione, alla mobilità, ecc.), ce ne sono alcune che hanno invece chiara natura previdenziale, volte cioè a puntellare gestioni previdenziali carenti di adeguate contribuzioni, tanto passate quanto recenti.

E così nelle gestioni previdenziali Inps c’è (convenzionalmente, ma impropriamente) una parte di assistenza, mentre nelle gestioni assistenziali c’è una parte di previdenza, in modo da realizzare un perfetto “circolo vizioso”.

Oggi, purtroppo, c’è una maggioranza di gestioni previdenziali in disavanzo, ma se si interviene a coprire lo sbilancio tramite trasferimenti a titolo di anticipazione (anziché con trasferimenti a fondo perduto), l’Inps deve iscrivere tali risorse (di fatto: prestiti) in bilancio come debiti da restituire in futuro.

E tuttavia l’Inps può rimborsare solo le anticipazioni finalizzate a colmare semplici disallineamenti temporali tra entrate ed uscite, a loro volta causati da tardiva o mancata riscossione di contributi o trasferimenti.

Peraltro che i debiti cumulati dall’Inps non siano rimborsabili è dimostrato anche dalla mancata iscrizione, nel conto del patrimonio dello Stato, di un credito verso l’Inps, che di fatto risulterebbe inesigibile.

Ecco quindi la necessità periodica dello Stato di ripianare i debiti Inps susseguenti ad anticipazioni della Tesoreria: è già avvenuto per il periodo antecedente al 31/12/1995 con 121.630 miliardi di vecchie lire, ancora con circa 40mila miliardi di lire per il periodo 1996-1999, e poi ancora con 25,2 miliardi di euro a fine 2011 per ripianare le anticipazioni effettuate a vantaggio dell’Inpdap prima della confluenza nell’Inps, e certamente dovrà nuovamente intervenire per “mettere una pezza” rispetto ad una modalità di fare i bilanci che è francamente assurda.

Queste sono le principali conseguenze dei disordini e delle irregolarità prima evidenziate, peraltro chiaramente emersi nel Flash n. 6 del 3 agosto 2017 ad opera dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, da cui sono tratti dati e stime qui riportati, e cioè:

  • che i capitoli di spesa per gli interventi socio-assistenziali sono grossolanamente sotto dotati rispetto ai costi effettivi dei diritti soggettivi riconosciuti ai beneficiari;
  • che l’adeguamento, progressivo e crescente, del capitolo delle anticipazioni, formalmente destinate alle gestioni previdenziali, hanno finito in larga parte per finanziare lo sbilanciamento delle gestioni assistenziali;
  • che il “disavanzo previdenziale” dell’Inps (in realtà “disavanzo assistenziale”) è servito e serve da alibi (come dimostrato dai lavori e dai dati del professor Alberto Brambilla) per sottrarre diritti previdenziali (de-indicizzazione delle pensioni, contributi di solidarietà, ecc.) a chi ha correttamente lavorato ed adeguatamente contribuito;
  • che dirottare risorse dalla previdenza all’assistenza significa sottrarre ad alcuni soltanto, o comunque a pochi, diritti consolidati, mentre gli interventi assistenziali, o socio-assistenziali, vanno posti a carico di tutti attraverso la fiscalità generale e secondo i principi costituzionali della universalità e progressività del prelievo, metodi ineludibili quando si voglia di fatto operare una ridistribuzione dei redditi di ciascuno;
  • che i responsabili primi e veri dei disordini contabili dell’Inps sono gli esponenti delle forze politiche del nostro Paese, che perseguono l’attuale opacità nei bilanci per poter intervenire liberamente e con discrezionalità politica, al limite dell’abuso, a favore di categorie, clan, lobby, anche a costo di calpestare diritti di singoli individui o di intere categorie, sempre alla ricerca e nella speranza di poter “comprare voti” utilizzando risorse altrui, anziché meritare il consenso con la correttezza e la lungimiranza del loro agire politico.

Stupisce ed amareggia, tuttavia, vedere come in tanto disordine contabile tra previdenza ed assistenza, entrambe affidate ad un unico Ente gestore (Inps), l’Ufficio parlamentare di Bilancio, la Corte dei Conti, il ministro dell’Economia, il presidente del Consiglio dei ministri, la Tesoreria centrale dello Stato, lo stesso Cnel, si limitino a tenui rilievi.

Meglio non commentare il ruolo, oggi, della Consulta (che peraltro appare essa stessa confusa sui principi e valori della Costituzione vigente), ovvero i silenzi del presidente Inps, forse troppo impegnato nella veste impropria di “novello Robin Hood”, che vorrebbe togliere ai presunti ricchi per dare ai presunti poveri, peraltro con insindacabile autorità di giudizio.

Michele Poerio, Segretario Generale Confedir e Presidente Naz.le Federspev

Carlo Sizia, Comitato Direttivo Naz.le Federspev

Stefano Biasioli, Comitato Direttivo Naz.le Federspev e Past President Confedir

Pubblicato su: http://formiche.net/2017/11/19/perche-i-bilanci-inps-sono-inestricabili/  il 19.11.17

Le “BALLE di BOERI” – 19.11.17

Alcune settimane fa il solito BOERI, parlando a vanvera davanti ad una Commissione parlamentare, aveva sostenuto che – per salvare i conti dell’INPS – ci sarebbero voluti 140.000 immigrati all’anno.

Ovviamente, NOI LEONIDA e NOI PENSIONATI ESASPERATI, non gli abbiamo creduto. Era una balla. Ora che fosse una balla l’ha dimostrato una indagine di CONFESERCENTI che (La Verità del 18.11.17, pag.3) ha dimostrato che su 84.659 IMPRESE STRANIERE (relative al commercio ambulante) ben 70.421 (pari all’83,2%) NON VERSANO CONTRIBUTI all’INPS.

Ossia non solo non sostengono il welfare ma alimentano il mercato dell’abusivismo. Confesercenti scrive “esiste una chiara correlazione tra titolarità straniera e irregolarità delle imprese, soprattutto dal punto di vista contributivo”. Ma non finisce qui. Infatti, con la segnalazione dell’inizio di attività alle Camere di Commercio, gli stranieri possono chiedere un permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Credete forse, Voi pensionati, che Boeri smentirà questi dati? Noi No, non lo crediamo.

Il “bocconiano” non accetta discussioni che contaminino il suo “verbo” !

Boeri… e gli over 65 – 15.11.17

TGcom24 del 15.11.17 – ore 20:00

Anche oggi Boeri se l’è presa con i pensionati… dichiarando ad un convegno che… “…in Italia bisogna pensare di più ai bambini ed alle famiglie con bambini piuttosto che agli over 65 che sono stati meno colpiti dalla crisi…“.

Boeri continua così la sua personale guerra ai pensionati…  Non abbiamo nulla contro i bambini ma cominciamo a sospettare che il presidente INPS abbia in mente la “soluzione finale”.

I Leonida…

Pensionandi contro pensionati…

La Gazzetta del Mezzogiorno, pag. 16 – 15.11.2017

LETTERE ALLA GAZZETTA

Pensionandi contro pensionati una curiosa lotta per la vita

Come noto la L. 102/2009 stabilisce che i requisiti di età anagrafica per andare in pensione siano adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT, con riferimento al quinquennio precedente.

In questi giorni si è acceso il dibattito in ordine al contenuto del decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro il 31 dicembre 2017, con cui deve essere aggiornato il predetto requisito anagrafico.

Sulla base dei numeri forniti dall’ISTAT, che certifica un’aumentata aspettativa di vita nel 2016, la nuova soglia di età, dal 2009, salirebbe a 67 anni (ora è di 66,7 anni).

La pressoché esclusiva preoccupazione dei sindacati è stata quella delle conseguenze per il mercato del lavoro, caratterizzato, purtroppo, da un’elevata disoccupazione sia giovanile che over 50.

Questo tema è stato abilmente aggirato dall’ex Ministro Fornero che, in una recente intervista, l’ha considerato un falso problema che muoverebbe dal presupposto – errato, secondo lei – che ci sia una quantità fissa di posti di lavoro. Evidentemente l’ex Ministro non crede allo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”.

Invece, un altro tema che – a mio avviso – non ha avuto particolare risalto sui media è il punto di vista dei pensionati e dei pensionandi.

La maggiore speranza di vita porta paradossalmente a trovarci di fronte, quasi in una lotta virtuale di sopravvivenza, due categorie di lavoratori: da una parte i pensionati e dall’altra i pensionandi.

Infatti, i primi aspireranno ovviamente, dopo i tanti anni di lavoro, a godere serenamente la loro vita sperando così che il giorno del… giudizio accada il più tardi possibile; e, tuttavia, questo indurrà l’ISTAT a portare sempre più in là – per via dell’adeguamento di vita – il termine del pensionamento.

Per contro, invece, i lavoratori ancora in servizio si augureranno che la vita media non si allunghi, talché essi possano essere collocati in pensione il prima possibile.

In realtà, però, anch’essi desiderano vivere più a lungo… con la pensione già acquisita anche se le due cose, almeno al momento, appaiano inconciliabili; il cane si morde la coda!

Questa situazione psicologica contrastante, quasi un conflitto di interessi, appare incredibile e paradossale ma purtroppo verosimilmente veritiera. Senza dimenticare che, se è vero che la realizzazione di se stessi, come cittadini, si ha attraverso il lavoro (art. 1 Cost.) è anche vero che passare dal “lavorare per vivere” al “vivere per lavorare” finirebbe per rappresentare un ostacolo al pieno sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.)

Che dire allora: che vivano tutti, pensionati e pensionandi, guardando ai prossimi anni con la massima serenità sperando quanto meno che il maggior periodo lavorativo cui saranno sottoposte le generazioni attuali e future possa portare loro benefici per loro oltre che per la nazione intera sì da non rimpiangere i sacrifici fatti per giungere alla tanto agognata pensione: insomma, che possano vivere tutti felici e contenti!

Giovanni Lopez – Bari

 

Pensioni: le tre mosse del Governo – 13.11.2017

Di Giuseppe Pennisi 13 novembre 2017 su FORMICHE.NET

RIFORMA PENSIONI.

Si usava dire “di pensioni si muore” quando nel 1958 debuttava il primo lavoro teatrale di Giuseppe Patroni Griffi, per l’appunto intitolata “D’amore si muore”. Allora solo una metà degli italiani aveva titolo a fruire di previdenza, secondo un sistema categoriale che aveva dato vita a una cinquantina di “regimi” differenti. Tutto cambiò con la “grande riforma” del 1967-68, che – disse la Cgil – dava “agli italiani il sistema previdenziale più avanzato al mondo”, tale da assicurare all’età legale della pensione un trattamento (al netto di contributi e imposte) quasi analogo all’ultimo stipendio.

Il sistema era così “avanzato”; dopo circa due anni venne insediata una Commissione (la Commissione Castellino) per rivederlo a fondo. Da allora si succedettero proposte che portarono nel 1989 alla separazione tra “assistenza” e “previdenza” nel bilancio Inps. Solo dopo la crisi finanziaria del 1992 e la caduta del primo Governo di quella che veniva chiamata la “Seconda Repubblica” si arrivò a trasformare radicalmente il sistema.

In parallelo, Svezia e Italia, pur conservando un “sistema a ripartizione” (in base al quale i lavoratori attivi mantenevano e mantengono, tramite gli assegni previdenziali, i pensionati), sono passate da un meccanismo tramite il quale le pensioni erano calcolate sulle retribuzioni (sistema retributivo) a uno tramite il quale sono computate tramite i contributi versati, debitamente aggiornati (sistema contributivo). Il sistema, chiamato National Defined Contribution (Ndc), è ora adottato da una trentina di Paesi. Sarebbe dovuto essere “definitivo”.

Invece da allora a oggi è stato “riformato” circa una quindicina di volte, spesso provocando crisi di governo. Ora “di pensioni si muore” si applica a governi e forze politiche. Ho tenuto a sintetizzare come si è giunti a questa situazione perché altrimenti è difficile comprendere il dibattito sulle pensioni nelle attuali discussioni parlamentari sulla Legge di bilancio e le possibili soluzioni “definitive”.

Le ragioni principali sono due:

1) La separazione tra previdenza e assistenza, pur se risulta chiaramente dallo studio dei bilanci Inps, è raramente trattata nel dibattito giornalistico e politico. Senza la spesa per l’assistenza (politiche sociali degnissime), ma che sono a carico delle fiscalità generale e in cui l’Inps è solo un comodo “ufficiale di pagamento” per conto dello Stato, la spesa previdenziale sarebbe sul 14% del Pil e non oltre il 18%. Questi dati confermano quanto ripetutamente affermato da vari esperti (a partire da Alberto Brambilla), e cioè che mentre le spese previdenziali “vere” sono totalmente coperte da contributi, invece, le spese assistenziali sono largamente “in rosso” perché lo Stato non le finanzia correttamente e tempestivamente. Si tratta di spese che – talora – figurano come prestiti all’Inps e non come doverosi contributi assistenziali. Cazzola ha ricordato che, nel 1998, Ciampi ha azzerato il debito che lo Stato aveva verso l’Inps, pari a circa 80 miliardi di euro attuali: il patrimonio tornò allora in attivo. Lo stesso Presidente dell’Inps Boeri ha ripetutamente sottolineato: “Si tratta di una questione contabile, le prestazioni sono garantite dallo Stato e ciò che conta non è il bilancio Inps, ma quello statale!”.

2) La “riforma definitiva” contemplava un periodo di transizione di ben 18 anni , e non di tre come in Svezia (oppure di da zero a cinque come in altri Paesi). Il periodo così lungo, richiesto dalla dirigenza sindacale, ha creato distorsioni a più non posso (“pensioni d’oro”) che si è cercato di parare con successivi aggiustamenti che hanno reso il sistema previdenziale una veste di Arlecchino, piena di toppe. Se ne chiude una e se ne apre un’altra.

A questo punto cosa fare? In breve tornare ai principi di base Ndc quali applicati in numerosi Paesi:

a) separazione netta tra assistenza e previdenza, trovando se possibile un differente canale contabile ed erogatorio per l’assistenza (tra cui primeggiano assegni sociali, assegni di invalidità, integrazioni al minino) al fine di non ingenerare confusione.

b) portare a cinque-dieci anni (come altrove) il requisito per poter fruire di una pensione statale “contributiva”, anche al fine di ridurre il fenomeno tutto italiano dei “silenti” (coloro che hanno versato contributi sino a 19 anni e 11 mesi e mezzo e non hanno titolo a previdenza)

c) eliminare il concetto stesso di “pensioni di vecchiaia” (come dopo decenni è stato eliminato quello di pensioni di anzianità): si resta al lavoro tanto quanto si può e si vuole. E chi lavora più anni avrà un trattamento previdenziale statale più pingue, mentre chi ne lavora meno ne avrà uno più modesto.

Se non si torna a questi principi sarà difficile avere un sistema previdenziale moderno ed efficiente.

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INPS, BANCA d’ITALIA, CONSULTA, CASSA DEPOSITI e PRESTITI, PENSIONI e BILANCIO dello STATO – 08.11.2017

PREMESSA

Avendo fatto il medico per tutta la vita passata e presente, non sono un esperto di diritto amministrativo.  Quel poco che so è legato alle regole fondamentali della P.A., con tutte le implicazioni  contrattualistiche della pubblica amministrazione e della dirigenza sanitaria in particolare.

Nel mio piccolo, da sindacalista nazionale (prima per la dirigenza medica e poi per la Confederazione autonoma CONFEDIR) ho partecipato ai contratti pubblici dal 1992 fino al 2009. Non sono quindi uno sprovveduto e, da medico e dirigente pubblico, mi sono ripetutamente posto alcuni quesiti che, fino ad ora, non hanno avuto una risposta chiara.

Da mesi sentiamo il “ritornello pensionistico”:…” la riforma Fornero non va toccata, per evitare sfondamenti dei conti pensionistici e del bilancio statale”….” La riforma Fornero può essere ritoccata, consentendo un anticipo pensionistico (APE o simili) a categorie di lavoratori usurati…”. “L’APE va allargata a molti lavori usuranti includendo anche quelli oggi non valutati come tali…”

“ Vanno inclusi nell’APE anche gli infermieri, oggi esclusi (ed i medici, che passano anni della loro vita di guardia o di reperibilita’ ? NdR)”.

Insomma un balletto di posizioni “ballonzolato” da esperti-veri (Boeri, vertici della Banca d’Italia, sindacalisti confederali, Brambilla, Fornero) e da pseudo-esperti, tra cui – purtroppo- siamo costretti ad inserire Giuliano Cazzola, dopo la sua triste sceneggiata di ieri sera (Di Martedì, LA7).

I FATTI

Che il debito dello stato italiano superi i 2200 miliardi di euro,  è noto. Che esso cresca continuamente e che sia cresciuto di circa 170 miliardi con gli ultimi governi (tecnici e renziani) è altrettanto noto. Che il bilancio dell’INPS sia “in rosso” e che il suo patrimonio si stia depauperando è altrettanto noto. Meno noto è – tuttavia- il dato che il BILANCIO PREVIDENZIALE INPS sia in pareggio mentre quello ASSISTENZIALE sia negativo, per insufficiente finanziamento delle attività assistenziali INPS.

Da almeno 2 anni, il presidente INPS cerca di assumere/esercitare un ruolo politico, dedicandosi non tanto alla gestione dell’istituto previdenziale piu’ importante del mondo, ma a proposte politiche sulle “politiche sociali” (e non previdenziali) diffondendo così inquietudini tra i pensionati, per la sua idea (non esplicitata ma sottointesa) di una socializzazione comunistoide delle pensioni in essere. E’ sufficiente leggere le dichiarazioni del bocconiano, negli ultimi 24 mesi, per darmi ragione.

Infine sul tema si sono pronunciate anche le altre istituzioni-  Banca d’Italia e dintorni, Consulta e dintorni, UE e dintorni – sproloquiando sulla sostenibilità dei costi previdenziali e sui loro effetti sul debito pubblico.

DOMANDE da IGNORANTE 

Una volta per tutte, gradiremmo allora avere  risposte motivate, chiare e definitive su alcuni quesiti oggi insoluti.

Poiché il bilancio dell’INPS è “esterno” al bilancio statale, qual’è  la natura giuridica dell’INPS  e qual è l’autonomia reale del bilancio INPS, rispetto alle mutevoli decisioni governative?

Forse che il bilancio INPS è “esterno” al bilancio dello Stato (come quello della Cassa depositi e prestiti…) e sfugge quindi alle rigide regole U.E. sul debito italico?

Quale ruolo “in vigilando” ha la Banca d’Italia sull’INPS?

Può la Corte Costituzionale (decisione del 25/10/17) legittimamente (non politicamente) negare ai pensionati in essere la certezza dei diritti previdenziali acquisiti, consentendo da un lato il persistere di pluriennali “tasse improprie” a carico di qualche milione di pensionati e creando le premesse giuridche per un futuro previdenziale legato alla situazione annuale delle finanze pubbliche ?

Quale ORGANO COSTITUZIONALE può controllare che le innumerevoli spese assistenziali non vengano (come è ora) messe a carico dell’INPS, senza adeguato finanziamento dello Stato, come sta avvenendo almeno dal 2014 ?

La domanda non è oziosa, perchè anche il recente bilancio INPS non separa nettamente le numerose voci/spese assistenziali da quelle previdenziali e perchè lo stesso Boeri ha dichiarato al Parlamento che, oggi, le voci assistenziali INPS sono almeno il doppio di quelle previdenziali INPS. Chiedendo poi – il bocconiano-  al Governo di cambiare la dizione dell’INPS da Istituto della Previdenza Sociale ad Istituto della Protezione Sociale !

Noi, che curiosi siamo, abbiamo dato l’incarico ad un magistrato amministrativo di studiare l’intera questione. Vi informeremo…

Nel frattempo, chiediamo agli ESPERTI di dare una prima risposta ai nostri quesiti. Per ISCRITTO e non con le solite “ciacole violente” a Di Martedì !

Stefano Biasioli

Past President CONFEDIR – uno dei Leonida e dei “Pensionati Esasperati”

pubblicato su formiche.net : http://formiche.net/2017/11/08/inps-boeri-previdenza/