Arriva il diktat della Bce: “Aumentate ancora l’età della pensione”

Antonio Signorini – 26.03.18 – 8:44

L’istituto di Francoforte pretende le riforme: un messaggio indiretto al prossimo governo.

Sembra ritagliato su misura per l’Italia l’ultimo richiamo della Banca centrale europea sulle pensioni.

Nel bollettino economico, l’istituto centrale di Francoforte chiede che i governi dell’area Euro non facciano passi indietro sulle riforme e si appella perché si intraprendano ulteriori interventi per innalzare, l’età evitando di frenare l’attuazione delle riforme già approvate.

Secondo la Bce l’invecchiamento demografico comporta «pressioni al rialzo sulla spesa pubblica per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine. Ciò renderà problematico per i paesi dell’area ridurre il consistente onere del loro debito e assicurare la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo».

Nell’anticipo del bollettino di qualche giorno fa, la Bce aveva corredato l’analisi sulla previdenza con le stime sulla crescita della percentuale di over 65 rispetto alla popolazione lavorativa. Da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa insieme a Germania, Grecia, Portogallo e Finlandia, nel 2070 sarà a oltre il 60%, una condizione che il paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67%.

La Bce ricorda che «hanno adottato riforme pensionistiche a seguito della crisi del debito sovrano». Peccato che ora «la rapidità di attuazione di tali riforme sia recentemente diminuita».

Il riferimento nemmeno troppo velato è all’Italia, anche se gli economisti di Francoforte specificano come non sia possibile «trarre conclusioni relative ai piani di riforma dei singoli paesi».

Il fatto è che, dopo la riforma Fornero, c’è già stato un intervento per attenuare gli effetti della riforma (l’Ape social, volontaria e Rita). Poi, nei palazzi delle istituzioni internazionali sono forti i timori che il nuovo esecutivo italiano, espresso da una maggioranza che ha tra i pochi punti in comune proprio quello di intervenire sulla previdenza, allenti ulteriormente i requisiti per la pensione.

La direzione da prendere è opposta: «l’implementazione di ulteriori riforme in questa area si rivela essenziale e non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica».

Un richiamo molto simile a quello recente del Fondo monetario internazionale. Ma la Bce aggiunge un ulteriore tassello, specificando che l’unico modo per rendere sostenibile il sistema previdenziale è proprio quello di agire sui requisiti, quindi sull’età pensionabile.

«L’aumento dell’età di pensionamento» può «ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell’invecchiamento». Abbassare l’importo delle pensioni, invece, può «contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici». Da respingere l’aumento di contributi che pagano datori e lavoratori, che rischia di esacerbare gli effetti negativi sui conti pubblici dell’invecchiamento della pensione.

Tra le righe, insomma, gli economisti della Bce bocciano interventi che puntino su una maggiore flessibilità in uscita in cambio di un calcolo meno favorevole dell’assegno previdenziale. Quindi anche l’Ape nelle varie versioni varato dai governi Renzi e Gentiloni. No all’aumento dei contributi, che poi è quello che propongono senza troppo clamore i sindacati.

Sì, invece, ad aumenti dell’età del ritiro. I richiami delle istituzioni internazionali riguardano spesso l’Italia, ma solo per ragioni di tenuta dei conti pubblici (nemmeno quelli strettamente previdenziali che sono in equilibrio). La nostra età del ritiro, per i pensionati del futurio, è già tra le più alte d’Europa.

Da: www.ilgiornale.it , 26 marzo 2018 

Pensioni alla prova del nuovo Parlamento. Ecco cosa potrebbe cambiare

Questi i temi  in materia previdenziale  che  saranno riproposti nella imminente XVIII Legislatura, che si aprirà dal 23 marzo con la elezione dei rispettivi  Presidenti della Camera dei Deputati  e del  Senato della Repubblica.

Da sito web www.pensionioggi.it  – scritto da Valerio Damiani, 22.03.2018

Tra i primi passi della prossima legislatura quasi certamente ci sarà la stabilizzazione dell’Ape sociale per le categorie deboli oltre il 2018. 

Il tema delle pensioni continuerà ad essere al centro dell’agenda del prossimo Parlamento. Non c’è alcun dubbio. Il problema è comprendere che tipo di intervento si potrà realizzare. Se cioè si proseguirà nel solco già tracciato con la legislatura uscente con una serie di strumenti che solo in parte hanno temperato le rigidità della Legge Fornero (generando però un’ampia disparità tra lavoratori) o se ci sarà la possibilità di un intervento di più ampio respiro, una controriforma come annunciata in campagna elettorale da M5S e Lega. 

Questa seconda ipotesi in realtà non ha molte probabilità di vedere la luce a meno che i Pentastellati e la Lega riescano a formare una maggioranza assieme. Difficile che tale disegno possa riuscire. Così come pure l’ipotesi di tornare nuovamente alle urne. E’ molto più verosimile che nella formazione del nuovo governo M5S da un lato e Lega dall’altro convergano, a seconda di come si formerà la maggioranza, verso le posizioni più moderate ed accettino di proseguire il cammino di revisione “temperata” della Riforma del 2011, trovando quel minimo comune denominatore con le forze del PD che dovranno, in qualche modo, appoggiare o un Governo a motrice Centrodestra o Cinquestelle. Se si accetta questa premessa è ragionevole ipotizzare che si continuerà ad operare nel solco tracciato con i sindacati nel verbale del settembre 2016, rimasto ancora in parte non realizzato. 

I temi della prossima legislatura 

La nuova legislatura potrebbe così precedere alla stabilizzazione dell’Ape sociale oltre il 2018 magari con un ampliamento ulteriore delle categorie beneficiarie (si parla soprattutto degli autonomi disoccupati, i grandi esclusi dall’attuale perimetro di tutela) e dell’anticipo pensionistico volontario oltre il 2019; la revisione dei lavori gravosi e dei lavori usuranti (categorie più volte oggetto di un intervento da parte del legislatore in questi ultimi due anni). M5S e Lega potrebbero anche spingere per l’approvazione di una nona salvaguardia pensionistica con riferimento alle ultime migliaia di lavoratori rimasti esclusi dai precedenti provvedimenti (briciole rispetto alle risorse avanzate e poi distratte per altri fini); ad una proroga dell’opzione donna oltre il 2015, altro tema più volte discusso in campagna elettorale assieme a quello di estendere il pensionamento con 41 anni di contributi. 

Quest’ultima ipotesi è molto costosa anche se potrebbe essere declinata in due modi a seconda se venisse riconosciuta solo a coloro che possono vantare almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età (quindi solo per i lavoratori precoci ma senza i tanti vincoli aggiuntivi previsti oggi) oppure a prescindere da tale ultimo requisito. Su questo punto si sono registrate alcune convergenze con la sinistra dem durante la campagna elettorale. In cambio Lega e M5S dovrebbero accantonare la reintroduzione della pensione di anzianita’ (cioè la quota 100) ed il blocco generalizzato degli adeguamenti alla speranza di vita. 

Una maggioranza potrebbe raggiungersi anche sull’introduzione dei bonus contributivi per i lavori di cura, sulla pensione di garanzia per i giovani, sulla rivalutazione dei trattamenti pensionistici, sulla separazione tra assistenza e previdenza temi indicati chiaramente nel verbale del settembre 2016 e rimasti ancora inattuati. C’è poi la questione dei vitalizi degli ex parlamentari, che sicuramente sarà rilanciata con vigore dal M5S. Come si era già anticipato su PensioniOggi lo scorso anno la strada del DDL Richetti non era costituzionalmente praticabile; meglio sarebbe un provvedimento degli Uffici di Presidenza di Camera e Senato. 

In ogni caso la riforma dei vitalizi è più simbolica che di sostanza. Il nuovo governo farebbe meglio a vigilare con forza sul rispetto delle leggi già approvate nell’ultimo anno e in parte disattese. C’è la questione del cumulo del contributi con le Casse Professionali, ancora in stallo; l’irrisolta questione dell’Enasarco; il ritardo da parte dei fondi di previdenza complementare nell’adeguarsi alla Rita, la rendita integrativa temporanea anticipata; gli enormi ritardi nell’evasione delle domande di ape sociale e precoci da parte dell’Inps nonchè dell’Ape volontario. Temi che interessano centinaia di migliaia di persone e che, per essere risolti, non serve trovare una maggioranza.

Pensioni, la battaglia dei 65 euro: scontro sul costo delle pratiche

 Dall’inizio del 2017 c’è il cumulo gratuito, la possibilità di sommare i contributi versati a enti diversi per lasciare il lavoro prima. Ma è tutto fermo perché Inps e casse dei previdenziali litigano sulle spese. Pronto un esposto per omissione d’atti d’ufficio 

di Lorenzo Salvia su www.corrieredellasera.it 

Ci sono 10 mila persone che non riescono ad andare in pensione per colpa di 65 euro. Un piccolo contributo per la gestione della pratica sul quale stanno litigando l’Inps e le casse previdenziali private, quelle che pagano la pensione a 2 milioni di professionisti, dagli avvocati agli architetti. Nelle ultime ore la lite si è trasformata in guerra di posizione. E c’è il rischio che il tutto finisca in tribunale. Perché le vittime di questa storia hanno già pronto un esposto da presentare alla Procura di Roma, sostenendo che le due trincee scavate sul fronte configurino il reato di omissione o ritardo degli atti d’ufficio. 

La storia riguarda il cumulo gratuito, cioè la possibilità di sommare i contributi versati a enti diversi, l’Inps e le casse previdenziali private, per avvicinare il momento della pensione. Una misura pensata per le carriere «spezzate», quelle di chi ha lavorato come avvocato, ad esempio, ma anche come dipendente e quindi si è costruito due pensioni diverse. Il cumulo è sempre stato possibile ma finora era a pagamento. E il conto era così salato, in alcuni casi i contributi già versati andavano pagati di nuovo, da rendere di fatto la strada impraticabile. 

Dall’inizio del 2017 il cumulo è gratuito. Nel primo anno erano previste 10 mila domande anche se finora, visto lo stallo, ne sono arrivate meno di un migliaio. Il guaio è che quella possibilità è rimasta sulla carta, perché l’Inps e le casse dei professionisti non si sono messe d’accordo sulle procedure concrete da adottare. Fino al caso di queste ore. Il cumulo è gratuito ma la pratica ha comunque un costo, 65 euro di oneri di gestione. 

Secondo l’Inps, la somma va messa in conto «agli enti coinvolti nella liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di pensione erogate». Un po’ per uno. Secondo l’Adepp, l’Associazione fra le casse dei professionisti, invece i 65 euro dovrebbero essere a carico dell’Inps perché lo «Stato ha riconosciuto proprio all’Inps un maggior finanziamento che, a regime, raggiungerà l’importo di 89 milioni di euro all’anno». L’Inps ribatte che quel finanziamento non serve a gestire le pratiche ma a coprire i «maggiori oneri di spesa previdenziale», cioè le pensioni in più da pagare. Le casse rispondono dicendo no a quella che chiamano «tassa Boeri». E via così in un crescendo di accuse incrociate che ha fatto perdere di vista il motivo del contendere, allontanando la soluzione. 

Per questo il comitato creato da alcuni professionisti interessati al cumulo ha preparato un esposto alla Procura di Roma in cui si parla di omissione o ritardo negli atti d’ufficio. Se non ci saranno novità, lo depositeranno domani. 

In campagna elettorale si è parlato tanto di modifiche alla legge Fornero, ogni partito ha lanciato la sua proposta anche in modo creativo. Per mandare in pensione quelle 10 mila persone non serve una riforma. Bastano 65 euro. E un po’ di buon senso.

Pensioni, Draghi contro Salvini: la legge Fornero non si tocca

E oltre alla Bce anche il Fmi ha già alzato il cartellino rosso contro una revisione dell’attuale normativa 

di Filippo Caleri da: il Tempo, 21.03.18

La Banca Centrale Europea ha deciso: la Fornero non si tocca. O meglio se si tocca saranno dolori (finanziari) nel lungo termine. A Matteo Salvini, che sulla sua rottamazione ha costruito una parte del successo elettorale, saranno fischiate le orecchie. E la sfida che, in un ipotetico governo con la Lega dentro, si trova davanti è molto difficile. Considerato che anche altri organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale hanno già alzato il cartellino rosso contro una revisione dell’attuale legge pensionistica.

In un recente studio tre economisti del Fmi Michal Andrle, Shafik Hebous, Alvar Kangur e Mehdi Raissi intitolato “Italy: Toward a Growth-Friendly Fiscal Reform” hanno spiegato che al momento la nostra spesa pensionistica, nonostante la criticata e dura riforma Fornero, con il 16% del Pil è la seconda più alta, superata solo dalla Grecia. Una considerazione che di fatto stoppa le velleità rottamatrici di Salvini. Al Fmi si è aggiunto anche Draghi ha fatto subito presente il suo pensiero sulla materia: “Molti paesi hanno già applicato delle riforme dei sistemi pensionistici dopo la crisi del debito sovrano, sebbene il passo delle riforme abbia fatto registrare un rallentamento di recente. Ulteriori riforme in questo settore sono essenziali e non devono essere ritardate, anche alla luce di considerazioni di politica economica”.

Questo l’estratto del bollettino economico della Banca Centrale Europea che sarà pubblicato domani mattina. Citando le statistiche Eurostat, la Bce ha ricordato che gli over 65enni rispetto al totale di chi lavora è prevista in crescita da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa, gli over 65enni nel 2070 saranno oltre il 60%, un livello che il mostro Paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67%. L’invecchiamento della popolazione avrà importanti implicazioni macro-economiche e fiscali per l’eurozona. In particolare l’invecchiamento della popolazione porterà a un declino nella disponibilità della forza lavoro ed “è probabile che avrà un effetto negativo sulla produttività mentre le implicazioni in termini di risparmi e di investimenti varieranno nel tempo, a seconda di come avverrà l’ingresso fra le file dei pensionati delle varie classi di età, a partire dalla generazione del baby-boom”.

Insomma per chi pensava che con un semplice tratto di penna si potesse cancellare una delle leggi più odiate dagli italiani dovrà attendere le soluzioni, a questo punto da inventare di sana pianta visto che le risorse non sembrano esserci, del prossimo esecutivo. Certo è che lo scontro di punti di vista riporta all’eterno conflitto tra la supremazia dell’economia (e dunque del rispetto dell’equilibrio economico) e quella della politica. Il destino dei pensionandi è appeso a chi vincerà il duello. Inutile scervellarsi per capire da quale parte stanno oggi gli italiani.

Parla Draghi, ancora sulle pensioni!

Ma il voto degli italiani non conta nulla !!! Rivedere l’Europa ed i suoi trattati ormai è condizione INELUDIBILE…

Martedì 20 marzo 2018: da: http://www.affaritaliani.it 

Secondo la Bce, ” il passo delle riforme dei sistemi pensionistici ha registrato un rallentamento di recente. Ulteriori riforma non devono essere ritardate”.

Un doppio altolà sulle pensioni a M5S e Lega. Dopo che ieri il Fondo Monetario Internazionale ha fatto sapere che in Italia nonostante le varie riforme varate a partire dagli anni ’90, legge Fornero compresa, la spesa pensionistica italiana resta elevata (“nel 2045 raggiungerà il 20,3% del Pil”, stima più alta del 16% previsto dal Tesoro), anche la Banca Centrale Europea manda un messaggio in forma indiretta alle forze elettorali premiate dalla tornata elettorale del 4 marzo che puntano alla cancellazione-superamento della riforma Fornero. 

“Molti Paesi hanno già implementato riforme dei sistemi pensionistici dopo la crisi del debito sovrano sebbene il passo delle riforme abbia fatto registrare un rallentamento di recente. Ulteriori riforme in questa area sono essenziali e non devono essere ritardate, anche alla luce di considerazioni di politica economica“, scrive il bollettino della Bce che sarà diffuso in forma integrale giovedì mattina.

Citando statistiche Eurostat, la Bce ricorda come la percentuale di persone di età superiore ai 65 anni rispetto al totale delle persone in età da lavoro (cioè dai 15 ai 64 anni) è attesa crescere da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. 

In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa insieme a Germania, Grecia, Portogallo e Finlandia, nel 2070 sarà a oltre il 60%, una condizione che il Paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67% (l’Irlanda d’altro canto avrà l’incidenza più bassa). L’invecchiamento della popolazione avrà importanti implicazioni macro-economiche e fiscali per l’eurozona.

“In particolare l’invecchiamento porterà a un declino nella disponibilità di forza lavoro ed è probabile che avrà un effetto negativo sulla produttività mentre le implicazioni in termini di risparmi e investimenti varieranno nel tempo, a seconda di come avverrà l’ingresso fra le file dei pensionati delle varie classi di età, a partire dalla baby-boom generation“.

L’invecchiamento della popolazione, osserva poi la Bce, avrà conseguenze anche sull’andamento dei prezzi delle diverse categorie di prodotto.

E’ probabile che caleranno gli acquisti di beni di consumo mentre aumenterà la domanda di servizi sanitari che nella maggior parte dei paesi hanno una tassazione inferiore rispetto alle altre categorie per cui la raccolta di Iva sarà inferiore e questo renderà più difficile per i paesi ridurre il loro debito pubblico e assicurare la sostenibilità nel lungo periodo.

Riguardo alle misure specifiche delle riforme pensionistiche, gli esperti Bce osservano come mentre alzare l’età pensionistica contribuire a ridurre gli effetti macro-economici negativi dell’invecchiamento della popolazione, al contrario ridurre i benefit potrebbe anzi ottenere l’effetto opposto. I lavoratori già in pensione con ogni probabilità reagirebbero ai tagli alle pensioni con minori spese per i consumi mentre le persone ancora attive nella forza lavoro potrebbero a loro volta ridurre le spese a aumentare i risparmi proprio tenendo in conto il più basso livello di pensioni che li attende alla fine della loro vita lavorativa. La Bce osserva inoltre come il costo politico delle riforme pensionistiche tenda ad aumentare con il passare del tempo. “Con il progressivo invecchiamento dell’elettore mediano – conclude il documento – il costo politico da sopportare per adottare riforme pensionistiche è destinato ad aumentare”. Insomma, anche se l’Eurotower non accenna ai programmi delle forze politiche vincitrici delle elezioni, il messaggio che si può trarre è esplicito: sarebbe bene non mettere mano alla legge Fornero (come propongono Lega e M5S) che, anzi, già non basta a rendere pienamente sostenibile il sistema.

“Ridurre le pensioni, la Fornero non basta”

Il Fmi pubblica un report di economisti che chiedono tagli per gli assegni retributivi e misti.

Gian Maria De Francesco – Mar, 20/03/2018 – 11:31 su il: http://www.ilgiornale.it

Altro che abolizione della riforma Fornero. Il sistema previdenziale italiano necessita di ulteriori miglioramenti per garantirgli una sostenibilità di lungo termine.

È quanto sostiene il Fondo monetario internazionale in un working paper (un’analisi che contiene proposte di lavoro) intitolato «Italia: verso una riforma fiscale improntata alla crescita». Come si evince dal titolo, l’oggetto della disamina è costituito dalle politiche di sviluppo, ma per gli economisti di Washington (il team che si occupa dell’Italia è guidato dall’ex commissario alla spending review Cottarelli) nessuna misura espansiva è possibile senza una riduzione della spesa per le pensioni. Tutto questo perché l’Fmi ritiene tutto sommato giusto lo «scongelamento» dopo 9 anni di blocco delle retribuzioni dei dipendenti pubblici con i nuovi contratti, mentre considera sbagliato un ulteriore taglio agli investimenti in conto capitale e al sistema del welfare.

Ecco perché la ricetta del Fondo prevede nell’ordine: eliminazione totale della quattordicesima (per i redditi bassi) e parziale della tredicesima per i pensionati col sistema retributivo e con il sistema misto retributivo-contributivo, fissazione di un limite di età per i coniugi e di forti restrizioni per gli eredi per le pensioni di reversibilità, ricalcolo su base contributiva delle pensioni retributive e aggiornamento rapido dei coefficienti di trasformazione e delle rivalutazioni. Allo stesso modo, si propone di rivedere il sistema dei contributi previdenziali avvicinando le aliquote (ora al 33% per i dipendenti e al 24% per gli autonomi).

I rimedi in ambito fiscale, invece, sono già noti al grande pubblico sia perché già evidenziati dall’Ocse e dalla Commissione Ue, sia perché il programma di +Europa di Emma Bonino in campagna elettorale li aveva fatti propri. Si tratta di: istituzione di una property tax sugli immobili (cioè più Imu per tutti), ampliamento della lotta all’evasione Iva «sguinzagliando» l’Agenzia delle Entrate, aumento delle imposte su dividendi e capital gain (anche esteri) e taglio dei bonus fiscali. In particolare, sostituendo le detrazioni per lavoro dipendente (soprattutto quella delle donne lavoratrici) con un credito d’imposta. Solo in questo modo, secondo l’Fmi, è possibile abbassare Irpef, Ires e Irap.

Il dato di partenza dell’analisi è già stato vagliato dall’Ocse e dalla nostra Ragioneria generale dello Stato. La spesa pensionistica in Italia è la più alta in Europa dopo quella della Grecia e si attesta al 16% del Pil. Le riforme che si sono succedute dalla legge Dini del 1995 alla Fornero del 2011 hanno progressivamente abbassato i costi, ma nel 2025 è atteso il picco di spesa. Le stime italiane sono considerate ottimistiche perché si fondano su un incremento del tasso di occupazione dal 56 al 66,5% nel 2070 e su una crescita media annua del Pil pro capite dell’1,75 per cento. Considerata la scarsa produttività del lavoro, concludono gli esperti, non si pongono molte altre alternative in caso di choc.

La pubblicazione di questo report durante le trattative per la formazione di un governo a guida «populista» (M5S o Lega) dichiaratamente anti-Fornero rappresenta un severo monito. L’Fmi, assieme a Commissione Ue e Bce, è infatti uno dei componenti della troika. Se ne deduce che il commissariamento dell’Italia è più di un’ipotesi di scuola.

 

Franco Abruzzo sulla Sentenza 12/2018 della Corte Costituzionale

Il parere di Franco Abruzzo sulla Sentenza nr.12/2018 della Corte Costituzionale (30.01.18)

LA CORTE COSTITUZIONALE ADESSO SMENTISCE LA SUA SENTENZA SUL BLOCCO DELLA PEREQUAZIONE

Pochi giorni fa, con la sentenza n. 12 del 30 gennaio 2018 (si veda nella Sezione “Documenti” di questo sito in data 22.02.18).

la Corte Costituzionale è di nuovo tornata sui suoi passi, questa volta dichiarando INCOSTITUZIONALE una legge retroattiva di interpretazione autentica che voleva far vincere all’INPS una causa che aveva già perso. La Corte questa volta ha detto che, secondo la Corte di Strasburgo, questo viola l’art. 6 della CEDU. Ma perché questa volta la Corte ha dato torto all’INPS? Perché stavolta costava poco. Infatti, si legge in questa sentenza che “È però da rilevare che i costi del contenzioso […], pari a circa 45 milioni di euro […] non risultano tali da incidere in modo significativo sulla sostenibilità del sistema previdenziale e sugli equilibri della finanza pubblica”. CAPITO? Se da un lato questa vittoria è motivo di soddisfazione, resta la rabbia per questi ondeggiamenti della Corte che nulla hanno a che fare con il diritto, ma solo con la ragion di stato. Confidiamo a maggior ragione nella Corte di Strasburgo.

Il Governo può annullare con una legge una sentenza della Corte Costituzionale già emessa?

Nella divisione fra i poteri dello Stato spetta solo ai Giudici emanare le sentenze ed il Governo può interferire su di esse?

PENSIONI e MANCATA PEREQUAZIONE 2012/2013.

Depositata la sconcertante ed iniqua sentenza 250/2017 con la quale la Corte costituzionale spiega perché il “bonus Poletti” è bello: il legislatore ha destinato “le limitate risorse finanziarie disponibili in via prioritaria alle categorie di pensionati con i trattamenti pensionistici più bassi”, “limitando il blocco a quelli medio-alti (che hanno margini di resistenza maggiori contro gli effetti dell’inflazione)”. Dalla Consulta parte un messaggio devastante verso i giovani e l’intera comunità nazionale: è meglio non impegnarsi, tanto chi ha studiato, fatto carriera e assunto responsabilità ora e sempre da anziano viene e verrà punito. Tra i pensionati poveri, che incassano la rivalutazione dell’assegno, ci sono anche quelli che hanno lavorato poco, magari in nero, o che hanno evaso le tasse e i contributi all’Inps. La Consulta sorvola: i “ricchi” devono piangere in nome della “ragionevolezza” (una parola magica che giustifica tutto e il contrario di tutto).

PUBBLICHIAMO (IN ALLEGATO) IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA perché i cittadini capiscano che lo Stato di diritto in Italia va verso il tracollo, cedendo il passo alla ragion di Stato (l’articolo 81 Cost., con il pareggio di bilancio imposto dalla Ue, prevale sui diritti fondamentali delle persone).

TESTO IN https://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=24121 

La Legge Fornero (che aveva congelato l’aggiornamento delle pensioni negli anni 2012 e 2013), era stata dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 70/15 della Corte, che aveva affermato che ai pensionati spettava la perequazione automatica). Subito dopo però il Governo aveva bloccato l’efficacia della sentenza emanando il Decreto Legge n. 65 del 2015, che aveva escluso in tutto od in parte gli aumenti già riconosciuti dalla Corte Costituzionale.

Numerosi Giudici avevano però affermato che il governo Renzi non poteva interferire sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015, che aveva dichiarato illegittima la Legge Fornero.

Senonché la Corte Costituzionale (sent. 250 del 2017), ha purtroppo convalidato l’operato del Governo, giustificandosi con la situazione dei conti pubblici italiani.

«Allarme welfare, esplode la spesa assistenziale»

Pubblicata su: Assinews.it 22 febbraio 2018 – Fonte: Corriere della Sera –

di Enrico Marro

Brambilla: necessario separare i bilanci per pensioni e prestazioni. «Le uscite pari al 57,3% delle entrate»

ROMA La spesa per le pensioni, dopo tutte le riforme, è sotto controllo e, contrariamente a quanto si creda, è sostanzialmente in linea con la media Ue. Ciò che invece appare fuori controllo è la spesa per l’assistenza sociale, a totale carico della fiscalità generale. Si tratta di circa 33 miliardi di euro nel 2016 tra pensioni d’invalidità, indennità di accompagnamento, pensioni sociali, integrazioni al minimo e altro ancora. Di qui la necessità di separare il bilancio della spesa per le pensioni da quello per l’assistenza. Questo, in sintesi, il messaggio del quinto Rapporto sul sistema previdenziale italiano messo a punto da Itinerari previdenziali e presentato ieri alla Camera. «Abbiamo imbullonato il sistema delle pensioni e si è scaricato tutto sulle prestazioni assistenziali», spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali ed ex capo del Nucleo di valutazione della spesa presso il ministero del Lavoro, che fino al 2012 ha prodotto un rapporto simile. Mentre nel 2003 le prestazioni previdenziali rappresentavano il 62,4% di tutti gli assegni liquidati quell’anno contro il 37,6% di quelle assistenziali nel 2016 il rapporto si è capovolto: le nuove prestazioni assistenziali sono state il 53,2% del totale, quelle previdenziali il 46,8%. Passando allo stock, su 16 milioni di pensioni in pagamento, quelle totalmente o parzialmente assistite sono 8,2 milioni, il 51%.

Quest’anno il volume preparato da un gruppo di studiosi del welfare vuole offrire un punto di vista diverso, che ha suscitato un vivace dibattito già durante la presentazione fra lo stesso Brambilla e il consigliere economico della presidenza del Consiglio, Marco Leonardi. Quest’ultimo, infatti, ha criticato l’impostazione del rapporto, osservando che una eventuale separazione del bilancio della previdenza da quello dell’assistenza non risolverebbe i problemi, tanto più se lo scopo fosse quello di spendere di più per le pensioni, perché a causa dell’invecchiamento della popolazione «non c’è affatto da stare tranquilli» sul futuro. Un punto quest’ultimo condiviso anche dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando. Del resto, lo stesso Brambilla ha sottolineato che per tutto il welfare, cioè «sanità, pensioni e assistenza spendiamo il 57,3% delle entrate, più della Svezia». Il presidente di Itinerari previdenziali ha però tenuto il punto, dicendo che la separazione della previdenza dall’assistenza è necessaria sia per non dare informazioni sbagliate alla Commissione europea che poi chiede nuovi tagli alle pensioni sia per «evitare ulteriori travasi» si spesa a svantaggio di chi lavora. Promettere, per esempio, come sta avvenendo in campagna elettorale, di portare le pensioni minime a mille euro significa fare assistenza a favore di chi non ha versato contributi, mentre altri propongono di tagliare le cosiddette pensioni d’oro che però spesso hanno alle spalle molti versamenti. Polemiche a parte, vale la pena di ricordare che di separazione tra previdenza e assistenza si parla da una ventina d’anni e che la legge di Bilancio prevede che se ne occupi una commissione di esperti. Sarà la volta buona?

Per il resto il rapporto è ricco di spunti. C’è per esempio un focus sulle pensioni e vitalizi degli organi costituzionali: Camera, Senato, presidenza della Repubblica, Corte costituzionale. Si va dai 199 mila euro lordi in media per i vitalizi in pagamento a 22 ex giudici della Consulta ai 73 mila euro medi per i vitalizi a 1.464 ex deputati ai 67 mila euro per quelli di 810 ex senatori fino a circa 56 mila euro per il personale di Camera e Senato in pensione (53 mila euro per quelli del Quirinale e della Corte costituzionale) . Infine, i vitalizi in pagamento per gli ex consiglieri regionali sono 2.580 e ammontano in media a 47 mila euro lordi all’anno.

https://www.assinews.it/02/2018/allarme-welfare-esplode-la-spesa-assistenziale/660049489/

 

 

Basta bufale e dati errati sulle pensioni

di Giuseppe Pennisi, pubblicato su Formiche.net 08.02.18

I temi di un covegno sul dibattito previdenziale, durante il quale è emersa una certa superficialità su alcune riforme del settore, raccontati dall’economista Giuseppe Pennisi.

Il 7 febbraio, un numero significativo di associazioni di pensionati dirigenziali, e del pubblico impiego e del settore privato, si sono dati appuntamento a Roma, alla Casa dell’Aviatore, per discutere alcuni temi caldi del dibattito previdenziale, ed elettorale. Le sigle sono eloquenti:  Anpan, Anrra, Anua,  Anupsa, Confedir, Federspev, Unpit,  Unuci. Acronimi che forse a numerosi lettori significano poco o nulla, ma che hanno ottocentomila iscritti e rappresentano almeno due milioni di voti, tali, in una fase di frammentazione politica come l’attuale, da poter essere decisivi nella tornata elettorale del 4 marzo.

Si tratta, in gran misura, di dirigenti del settore sanitario, delle forze armate, delle medie imprese e via discorrendo. Persone che hanno lavorato con impegno (spesso servendo lo Stato con lealtà e passione) per diversi decenni e i cui assegni previdenziali sono mediamente sui due-tremila euro lordi al mese, falcidiati negli ultimi anni dal blocco della perequazione automatica all’aumento del costo della vita.

In aggiunta, sempre negli ultimi anni, sono corse voci insistenti su “manutenzioni” della normativa riguardante le pensioni di reversibilità a favore di coniuge e figli a carico.

Voci particolarmente preoccupanti perché tanto i militari quanto i dirigenti sanitari quanto, infine, un’elevata proporzione di coloro che nel settore privato hanno avuto carriere con frequenti cambiamenti di posto di lavoro, un severo impedimento, se non all’occupazione del coniuge, quanto meno al perseguimento di un’effettiva progressione professionale.

Una platea affollata e – ho avuto modo di dire a uno degli stretti consiglieri economici del Segretario del Partito Democratico (Pd) – “inviperita”. Matteo Renzi figurava tra gli invitati al convegno, ma non è andato. A mio avviso, nell’interesse del Pd, avrebbe fatto bene a partecipare e a rispondere in prima persona alle preoccupazioni di un importante bacino elettorale. Il convegno – occorre sottolineare – si è svolto in uno dei circoli del ministero della Difesa. Quindi, la politica politicante (ed elettorale) è stata tenuta fuori della porta. Tuttavia, il clima generale non era favorevole a chi ha avuto responsabilità di governo dalla fine del 2012 ad oggi.

“Vogliamo risposte – ha sottolineato il presidente del comitato organizzativo dell’evento, Michele Poerio –  sui quattro punti che riteniamo imprescindibili che intendiamo evidenziare al mondo istituzionale, sociale e a tutte le rappresentanze politiche: mancata perequazione automatica delle pensioni, separazione assistenza e previdenza, pensione di reversibilità, politiche pensionistiche innovative a favore dei giovani”. Basta con le fake news sulle pensioni e basta con dati errati, è stato il motivo conduttore  del convegno.

Sui quattro temi del convegno, nelle ultime settimane Formiche.net ha presentato analisi non molto differenti da quelle esposte alla Casa dell’Aviatore. È arduo pensare che retroattivamente venga sanato il costo della mancata perequazione per i pensionati e le loro famiglie. In materia di separazione tra assistenza e previdenza, comunque, la normativa del 1989 parla chiaro. E i dati ricavati dai bilanci Inps dal gruppo di ricerca “Itinerari Previdenziali” sono eloquenti. Verosimilmente, la Commissione istituita dal governo per esaminare ancora una volta i conti giungerà a conclusioni analoghe. Data la forza politica e contrattuale delle sigle rappresentate – nonché per semplice buon senso – è difficile pensare che, nella prossima legislatura, si verifichino tentativi per ridurre ulteriormente la copertura delle pensioni di reversibilità. Nei programmi elettorali, mancano proposte innovative per le pensioni dei giovani e quel che più conta indicazioni di come incoraggiare la crescita dell’economia (ancora molto più contenuta di quella in atto nel resto d’Europa) e dell’occupazione – chiave di volta della sostenibilità previdenziale.

Un quinto tema si è aggiunto a quelli annunciati: quanti sono i silenti nei conti Inps e come vengono utilizzati i loro versamenti? È argomento di cui si parla poco ma che, dopo il convegno, sarà difficile ignorare. I silenti sono coloro che non maturano i requisiti pensionistici e che quindi al termine della loro vita lavorativa non percepiscono la benché minima pensione. Ben sette-otto milioni di italiani rischiano di rimanere senza pensione a causa dell’incremento da 15 a 20 anni dei contributi minimi da maturare per collocarsi a riposo varato nel 1993. Silenti, quindi, innocenti perché l’aumento dei requisiti, effettuato, per decreto legge, in un momento di grave crisi sarebbe dovuto essere temporaneo e invece è diventato permanente.

L’Italia ha i requisiti più alti al mondo (in termini di anni di versamenti di contributi per poter fruire di una pensione: rispetto ai nostri vent’anni, negli Usa e in gran parte d’Europa si richiedono non più di dieci anni.  Si parla di una falla da ben 10 miliardi di euro, a tanto ammontano quei contributi, che se l’Inps fosse costretta a restituire ai lavoratori rischierebbe il default. Un bel guaio per l’Inps, ma anche e soprattutto per coloro che hanno avuto carriere brevi o che emigrano all’estero e “lasciano” i versamenti in Italia o, peggio ancora, che muoiono prima di avere adempito ai requisiti, abbandonando i familiari senza alcuna tutela.

I silenti sono  soprattutto donne, ex lavoratori autonomi, stagionali, professionisti con una vita lavorativa irregolare, categorie destinate a crescere con l’aumento del precariato e dei contratti a termine. Questi dati fanno emerge tutta la superficialità con cui sono state redatte le riforme previdenziali. Il convegno ha lanciato un sasso in uno stagno che per anni è stato volutamente ignorato. Si annunciano azioni giudiziarie. E legislative.

Resoconto Convegno del 7.02.18 a Roma “La Verità sulle Pensioni”

È stato un successo il Convegno romano di ieri (07/02/18), organizzato dal FORUM  PENSIONATI ITALIANI ” e dedicato alla “VERITA’ sulle PENSIONI” .

220 pensionati hanno riempito la sala Baracca della Casa dell’Aviatore (Viale del Policlinico 20, Roma) ed hanno seguito con estrema attenzione la magistrale relazione del Prof. Michele Poerio, Presidente Federspev e Segretario Generale della Confedir.

Poerio ha innanzitutto ricordato che il Forum Pensionistico racchiude 11 Associazioni pensionistiche “autonome”, che rappresentano oltre 800.000 pensionati. Poi ha brillantemente dettagliato le spiacevoli “tagliole” che hanno colpito i pensionati (soprattutto quelli INPS) nel corso degli ultimi venti anni. Ha quantificato sia il danno economico “subìto” da ciascun pensionato dal 2012 ad oggi ed ha analizzato tutte le recenti FAKE NEWS (bufale) pensionistiche diffuse in questi anni dalla politica e dai mass media.

Interessante la relazione successiva dell’economista Prof. Giuseppe Pennisi che, con lucidità, ha riassunto le criticità del sistema pensionistico italiano:

a) le continue modifiche legislative e regolamentari;

b) il tentativo di modificare l’articolo 38 della Costituzione;

c) la voluta confusione tra assistenza e previdenza;

d) il ruolo politico della Consulta (anche alla luce della sentenza 250/17);

e) l’oscuro destino dei “contributi perduti” (ossia dei contributi pensionistici versati da soggetti che, per varie ragioni non maturano il diritto alla pensione”.

Numerosi gli interventi successivi, tra cui quello di Sangaletti (responsabile dei Seniores di Forza Italia) e della Cantone (responsabile della CGIL pensionati e di una Associazione pensionistica europea). In sala (sia tra gli intervenuti che tra gli ascoltatori) prevaleva un pensiero comune, esplicitato chiaramente dal Carlo Sizia (Direttivo Federspev): “Pensionati….non fidateVi dei politici quando parlano di pensioni…..a parole sono dalla nostra parte ma, nei fatti, razzolano male…..Al momento del voto…ricordateVi di chi ci ha fatto del male, di chi ha promesso le nuvole….di chi continua a privilegiare l’assistenza (da finanziare invece con tasse a carico di tutti) rispetto alla previdenza (che va garantita perché legata ai contributi versati).” Un applauso scrosciante ha accompagnato queste parole e chiuso il Convegno. Tutti i presenti sono usciti dalla Sala con alcune certezze:

  • la necessità di rinforzare la sinergia tra tutte le associazioni pensionistiche autonome;
  • l’indispensabilità di proseguire le azioni legali di tutela, in Italia ed in Europa;
  • la volontà di continuare a stressare l’intero arco politico sui problemi pensionistici reali e sul ruolo che – oggi – hanno i pensionati nell’ambito del welfare familiare e sociale.

(Testo a cura di S. Biasioli).