Pensioni, sale la base di calcolo dell’assegno per il 2018

Compeltato il quadro che permette di calcolare gli assegni pensionistici dell’anno in corso. I nuovi coefficienti per le rivalutazioni 

 Luca Romano – Gio, 21/06/2018 – 10:31 Completato il quadro che permette di calcolare gli assegni pensionistici dell’anno in corso.

 Dopo l’annuncio del nuovo tassi per i montanti contributivi, l’istituto di previdenza sociale con una circolare ha comunicato i coefficienti di rivalutazione delle retribuzioni, il parametro che di fatto permette il calcolo dell’assegno. Su questo fronte va fatta una precisazione. Il sistema retributivo per il calcolo della pensione è stato archiviato nel 2012. Viene però ancora utilizzato per tutti gli assegni che riguardano tutti i lavoratori che possedevano l’anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995. In questo caso il calcolo dell’assegno avviene su due binari. Il primo riguarda, come riporta pensionioggi.it, gli anni di contribuzione e la media delle retribuzioni lorid degli ultimi anni. Da qui l’assegno che corrisponde al 50 per cento della media degli utlimi stipendi con 25 anni di contributi, al 70 per cento con 35 anni di ncontributi e all’80 per cento con 40 anni di contributi. Poi c’è la rendita che è costituita da quota a e quota b. La quota a corrisponde all’importo relativo ai contributi maturati fino a dicembre 1992. La seconda, la quota b invece è quella che tiene in considerazione il periodo che va dal 1993 al 2011. Per i lavoratori dipendenti la quota A viene considerata con la media degli stipendi degli ultimi 5 anni, la quota b invece sulla retribuzione media degli ultimi 10 anni. Le cifre che poi materialmente vengono erogate con gli assegni della pensione non corrispondono agli importi incassati in busta paga ma vengono rivalutati con il tasso di inflazione. E così, come sottolinea Italia Oggi, uno stipendio del 2016 di 35mila euro, in pensione vale 35.385 euro. Se si considera poi il calcolo della seconda quota si arriva fino a 36.739 euro. Insomma adesso con i coefficienti comunicati dall’Inps salirà la base di calcolo e sarà molto più semplice individuare l’importo degli assegni con decorrenza 2018 con la rivalutazione delle retribuzioni. 

Ricorsi alla Cedu 

Infine, sempre sul fronte rivalutazioni, dopo lo stop della Consulta al ricalcolo degli assegni bloccati dal governo Monti, si apre un’altra pista per chi vuole chiedere gli arretrati sull’assegno previdenziale: il ricorso alla Cedu. “La giurisprudenza più recente – spiega Celeste Collovati, legale di Aspes (rivalutazionepensione@gmail.com) – della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ammette l’esperibilità dei ricorsi anche in assenza del previo esaurimento dei rimedi girisdizionali interni quando si è in presenza di una normativa nazionale vigente che osta al riconoscimento vantato, ovverosia anche chi non ha mai fatto un ricorso nazionale può far valere il suo diritto avanti alla Corte Europea inserendosi nel ricorso collettivo”. I primi rocrsi sono già partiti e ora i pensionati attendono il verdetto della Corte. 

Pensioni, la mossa di Matteo Salvini per cacciare Tito Boeri dall’Inps: quale fedelissimo vuole piazzare al suo posto

11 giugno 2018 – da sito web www.liberoquotidiano.it

Da quando è nato il governo Lega-M5s, la poltrona del presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha cominciato a vacillare pericolosamente. Certo il numero uno dell’istituto di previdenza non ha fatto nulla in passato per togliere motivi a Luigi Di Maio e Matteo Salvini di accompagnarlo gentilmente fuori dal suo ufficio. Boeri infatti è stato protagonista di accese polemiche sul costo secondo lui insostenibile del reddito di cittadinanza, senza trascurare la sua totale contrarietà alla riforma della legge Fornero sulle pensioni.

Leggi anche: Fornero, l’ultimo sanguinoso trabocchetto: “L’adeguamento automatico…”. Di quanto tagliano le pensioni. 

Sulla poltrona di Boeri avrebbe già allungato lo sguardo la Lega, che attraverso Giancarlo Giorgetti avrebbe già indicato un nome ideale in Alberto Brambilla. Il leghista è stato l’autore di una parte cruciale per i leghisti del contratto di governo, quella che vorrebbe modificare gli attuali meccanismi di pensionamento, la famosa “quota 100”. Lo stesso Brambilla al Fatto ha detto: “Se dovessi scegliere col cuore, andrei all’Inps”. Resta da capire come il governo riuscirà a spodestare Boeri, che ha il mandato in scadenza solo nel 2019. Il Pd ci aveva provato, non riuscendoci fino in fondo. La Lega però potrebbe avere tutte le carte necessarie per spingere fino in fondo la riforma sulla governance dell’Inps, portandola a una maggiore collegialità nell’indirizzo politico, oggi ben più concentrato nelle mani del presidente. Per Boeri insomma, cresce la schiera dei nemici.

Riforma Fornero…. “Quota 100 sì, ma con età minima per la pensione a 64 anni”

Le idee  del Prof. Brambilla  (da leggere la  Sua intervista  integrale su La Repubblica di oggi 04 giugno) per Quota 100 ed altri interventi nella materia previdenziale  di  grande attualità e vivacità con il nuovo Governo e con i pronunciamenti del  responsabile del Dicastero, Luigi DI MAIO.

L’esperto di previdenza che ha contribuito a scrivere il programma del Carroccio conferma di voler fissare una soglia: “Significa di fatto annullare lo scalone Fornero che ha portato l’età a 67 anni dal 2019”. Un’interpretazione obbligata dalla spesa prevista di soli 5 miliardi, contro i 20 ipotizzati dall’Inps per rivedere totalmente la legge del governo Monti 

di F. Q. | 4 giugno 2018 da www.ilfattoquotidiano.it 

“L’idea è di mandare in pensione chi ha almeno 64 anni con 36 di contributi, oppure 41 anni e mezzo di contributi”. Alberto Brambilla, esperto di previdenza e già sottosegretario al Welfare nei governi Berlusconi tra il 2001 e il 2005, ha scritto la parte del contratto di governo Lega-M5s sul “superamento della legge Fornero”. In cui si parla dell’introduzione della “quota 100” come somma di età e contributi necessari per andare a riposo. Ma ora, dopo l’insediamento del governo Conte, in un’intervista a Repubblica Brambilla spiega che ci saranno dei paletti: la quota 100 non potrà essere ottenuta sommando, per esempio, 60 anni di età e 40 di contribuzioni. Di anni occorrerà averne almeno 64. Come inevitabile visto con uno stanziamento previsto di soli 5 miliardi di euro, come aveva spiegato al fattoquotidiano.it  Stefano Patriarca ex consulente di Palazzo Chigi sulla previdenza. 

“Consentire di uscire a 64 anni significa di fatto annullare lo scalone Fornero che ha portato l’età a 67 anni dal 2019″, chiarisce ora Brambilla, che dice di essere stato contattato per un incarico a fianco di Luigi Di Maio al ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico. Domenica la questione era stata sollevata anche dal presidente dell’Inps Tito Boeri: “Se si parla di quota 100, vuol dire che un lavoratore che ha 60 anni di cui 40 di contributi potrà andare in pensione, stiamo creando questa aspettativa. Se invece si vuole porre una condizione anagrafica di 64 anni, questo è diverso, ed è bene essere chiari”, aveva detto Boeri. 

L’Inps aveva calcolato una spesa di 20 miliardi per attuare la ‘vera’ quota 100: “Non si conosce la proposta, ma guai a pensare che con quota 100 risolviamo ogni problema”, risponde Brambilla. “Bisogna puntare sui fondi esuberi o di solidarietà che esistono già per ogni categoria professionale”. Per l’esperto “intervenire in modo chirurgico sulla Fornero si può e in 3-4 mesi. Poi entro un anno il nuovo Testo unico delle pensioni. I costi sono sostenibili“. Brambilla ha poi difeso un altro ragionamento inserito nel programma di governo: “La spesa per pensioni, depurata dall’assistenza, pesa solo l’11% sul Pil, in linea con gli altri paesi europei e sotto il 18,5% comunicato da Istat a Eurostat“. 

Una posizione confutata da uno studio pubblicato prima della formazione del nuovo governo dall’Osservatorio dei Conti Pubblici, diretto dall’ex commissario alla spending review (e per pochi giorni premier incaricato) Carlo Cottarelli, secondo cui la spesa italiana per le pensioni rimarrebbe tra le più alte al mondo anche escludendo quelle sociali e per gli invalidi. 

L’U.E. boccia la Fornero: l’austerità crea problemi

Antonio Signorini – Il Giornale, martedì 01/05/18 – 09:58

C’è l’allarme sulla sostenibilità del sistema pensionistico italiano, anche se meno marcato rispetto alle previsioni. 

Ma nell’atteso Pensions Adequacy Report 2018 della Commissione europea c’è anche altro. Sull’Italia, ad esempio, ci sono considerazioni che non stonerebbero tra le tesi di chi vuole cambiare certe asperità delle riforme passate. In particolare quella Fornero e l’adeguamento automatico dell’età pensionabile legato alle aspettative di vita. E arriva addirittura l’invito ad «affrontare gli effetti collaterali negativi delle riforme pensionistiche all’insegna dell’austerità». 

Il rapporto critica le pensioni italiane perché costano tanto, ma non risolvono problemi di fondo, ad esempio il rischio pensioni inadeguate per i lavoratori precari, le lavoratrici e chi ha carriere discontinue. 

Il rapporto osserva come «l’inasprimento estremamente rapido dei requisiti per la pensione» delle riforme adottate tra il 2009 e il 2011 hanno provocato un effetto «anziani dentro, giovani fuori», con «un milione di lavoratori anziani» tra i 50 e i 64 anni in più, e una contemporanea «riduzione di giovani lavoratori di 0,9 milioni» tra i 15 e i 34 anni, tra il 2008 e il 2013. 

Meno giovani occupati, più anziani occupati ma, paradossalmente, anche un maggior numero di over 50 disoccupati passati da 130 mila a 500 mila. Sono lavoratori che in altre ere sarebbero stati pensionati e ora non hanno accesso né all’assegno Inps né al lavoro. 

Per questo l’esecutivo europeo chiede misure per «migliorare la capacità di assorbimento del mercato del lavoro italiano». 

La Commissione riconosce al governo Renzi di avere introdotto alcune misure per ammorbidire i requisiti della pensione, spendendo 6 miliardi in tre anni. Ad esempio l’Ape sociale. Peccato che «i requisiti di ammissioni troppo rigidi» rischiano di fare respingere una percentuale di richieste di pensione anticipata intorno al 35% (13.000 su 39,777). 

In generale, il sistema italiano «svolge efficacemente la funzione di mantenimento del reddito». Quindi le pensioni in rapporto agli ultimi stipendi sono alte, anche se quelle delle donne sono ancora più basse. 

Poi, il sistema non protegge dalla povertà. «Anche se in Italia gli anziani sono relativamente in condizioni migliori rispetto ai giovani», siamo ancora «sotto la media europea per tasso di deprivazione materiale degli ultra 65 enni». Situazione che è peggiorata con la crisi del 2008. «Gli anziani a rischio di povertà ed esclusione sociale erano il 23,9% contro il 18,3% nella Ue». 

Diventa un problema anche quella che era stata presentata come la soluzione ai vizi storici della previdenza italiana. Per la Commissione, «il notevole e rapido aumento dell’età pensionabile dal 2010 ha fatto emergere problemi sia sulla durata del pensionamento sia sull’interazione tra durata attesa della vita lavorativa e la performance del mercato del lavoro oltreché dello sviluppo dei servizi». In sintesi, la stretta sulle pensioni che ha salvato i conti pubblici ha creato tanti problemi agli italiani. 

Sul versante della tenuta del sistema, l’allarme che si temeva alla vigilia è molto ridimensionato. La spesa pubblica per le pensioni resterà stabile al 15,6% del Pil fino al 2020. Aumenterà molto dal 2020 al 2040, con il pensionamento dei baby boomers. Ma dopo riscenderà al 13,9% del Pil. 

Riforma pensioni 2018 – Approvato dal CIV, il bilancio INPS 2018

News da sito web www.ilsussidiario.net , 15.03.2018 Lorenzo Torrisi.

Oggi 15 marzo. Il CIV dell’Inps ha approvato il bilancio di previsione. Tutte le novità e le ultime notizie sui principali temi previdenziali.

APPROVATO BILANCIO DI PREVISIONE INPS 

Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps ha approvato all’unanimità il bilancio di previsione del 2018, in cui stimano: 5,4 miliardi di euro di disavanzo della gestione finanziaria, 227 miliardi di entrate contributive (+2,1% rispetto al 2017), 346 miliardi di entrate per le attività caratteristiche dell’Istituto (compresi i trasferimenti dal bilancio dello Stato per 108 miliardi), 283 miliardi di spesa per prestazioni pensionistiche, 352 miliardi di spesa per le attività caratteristiche dell’Istituto, 743 milioni come versamento a favore della fiscalità generale di risorse sottratte al funzionamento dell’Istituto per contribuire al risanamento dei conti pubblici, 7,5 miliardi di disavanzo economico di esercizio.

Il Consiglio, alla luce delle nuove attività affidate all’Inps, come l’Ape, i bonus nodo e bebè e il Rei, ha ritenuto necessario un incremento di risorse economiche da destinare alla qualificazione, riqualificazione e crescita occupazionale del personale, che al 1° gennaio 2018 ammonta a 27.904 unità.

Il CIV ha anche evidenziato l’esigenza di risolvere gli elementi di criticità organizzativa e funzionale per riconoscere le prestazioni pensionistiche e previdenziali nei termini previsti dalla carta dei servizi. A tale scopo, secondo il Consiglio, devono concorrere politiche deflattive del contenzioso.

Inoltre, nella logica della trasparenza, viene riconosciuta l’indispensabilità di mettere a disposizione sia di tutti gli organi dell’Istituto che del mondo accademico i dati di archivio dell’Inps, anche per permettere all’opinione pubblica di avere una reale fotografia dello stato del sistema di welfare italiano.

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Follie italiane

Pensioni, l’Inps rivuole i soldi per darli agli immigrati

4 Ottobre 2017

Ci mancava soltanto il turismo previdenziale per mungere il sistema pensionistico pubblico italiano. Mentre l’Inps si accanisce sui pensionati italiani, chiedendo la restituzione (a rate), di cifre modeste, si scopre che per anni l’Istituto è stato assai generoso a seminare quattrini in giro per il mondo, senza controllare la veridicità delle dichiarazioni per incassare gli assegni assistenziali.

Un sistema ormai rodato che prevedeva: transitare in Italia, acquisire la residenza (e relativo contocorrente), istruire le pratiche presso l’Inps e chiedere la pensione sociale. Un bonus mensile da circa 45 0 euro netti per 13 mensilità.

Tra le condizioni (in teoria), l’obbligo di risiedere in Italia, aver compiuto 65 anni (tenendo conto anche dell’aggiornamento alle aspettative di vita), poter vantare almeno 10 anni anni di soggiorno continuativo in Italia (obbligo valido solo dal gennaio 2009), e, soprattutto poter dimostrare di trovarsi in «condizioni economiche disagiate».

Il Nucleo repressione frodi della Guardia di Finanza ha scoperto che c’era anche chi si era organizzato con un servizio di minivan. In 500 sono stati pizzicati (e denunciati), per «percezione indebita di sussidi», con un danno accertato di oltre 10,3 milioni di euro. La Gdf ha passato al setaccio 39.742 posizioni previdenziali in erogazioni sociali verso stranieri, sottoponendo i singoli ad un “indicatore cumulato di pericolosità”. Al termine delle indagini sono stati individuati 479 casi irregolari, sparsi un po’ in tutta Italia.

A scorrere la graduatoria economica si scopre che a Roma sono stati ben 46 “furbetti”, che hanno riscosso complessivamente 801.254 euro in trattamenti sociali. Solo a Milano le truffe hanno fruttato di più: 817.352 euro. Ripartiti però su soli 27 pensionati fintamente residenti. Il terzo posto del podio è andato a Bari dove sono contestati 635.790 euro per appropriazione indebita (suddivise in appena 17 contestazioni).

Interessante anche la nazionalità d’origine dei 479 casi contestati. Ben 65 contestatazioni sono state effettuate a carico di cittadini albanesi, 58 per marocchini e 49 ad argentini.

Il sistema ormai rodato – ha scoperto la guardia di Finanza – non conosceva limiti geografici. Richieste e assegni venivano incassati da cittadini italiani, comunitari o extracomunitari – con la residenza formale in Italia – ma nei fatti rintracciati stabilmente negli Stati Uniti, così come in Francia (5), Spagna (6), e in Cina (15). Le Fiamme Gialle hanno anche provato che dalla Romania (13 percettori scovati), partivano addirittura dei pulmini organizzati per accompagnare chi incassavae l’assegno e fare poi ritorno a casa.

Sono saltati fuori anche beneficiari che vivevano non proprio in condizioni economiche disagiate. La Gdf ha infatti accertato una coppia di anziani coniugi tunisini, solo formalmente residenti a Firenze che oltre ad incassare i quattrini dall’Inps aveva movimentato la bellezza di 370mila euro verso il Principato di Monaco. E questa stessa questa coppia negli anni aveva percepito la bellezza di 120mila euro. Una signora di 70 anni, di origine argentina, formalmente residente nella provincia di Cagliari, ha incassato 47mila euro di pensione sociale, salvo poi “spostare” 95mila euro verso la Repubblica popolare cinese per 95mila euro. Una 75enne di origine polacca, fittiziamente residente nella provincia di Frosinone, in accordo con un italiano, suo ex datore di lavoro, ha potuto beneficiare illegittimamente di 50mila euro, elargiti a suo favore dall’ Inps su un conto corrente cointestato con il complice e movimentati verso l’ estero tramite il sistema dei money transfer.

Se i cittadini stranieri (extracomunitari e non), sono riusciti a raggirare abbondantemente l’Inps, non mancano gli italiani che dichiarano condizioni di indigenza, affermano di risiedere in Italia e invece continuano ad incassare tranquillamente l’assegno assistenziale volando oltre confine. Sempre il Nucleo antitruffa delle Fiamme Gialle ha scovato (e denunciato), stando agli ultimi controlli, 517 italiani che giusto dopo aver maturato i requisiti per ottenere l’assegno sociale, si erano trasferiti in altri Stati non rispettando, così, il requisito essenziale della «stabile residenza». Secondo le prime stime si stima un danno a carico dell’Inps in questo caso di per oltre 16 ,5 milioni di euro.

Il sistema d’incrocio tra banche dati italiane e internazionali ha facilitato l’attività di indagine e accertamento. Ora resta da vedere come (e quando) si riusciranno a recuperare i capitali sottratti.

di Antonio Castro

 

BOERI DATO IN USCITA DALL’INPS

PER “LETTERA 43” BOERI HA LE ORE CONTATE

IN ARRIVO MARE’, DALLA PADELLA ALLA BRACE

Il giornale on line “Lettera 43” sabato 7 ottobre ha pubblicato un articolo di Francesco Pacifico dal titolo “Inps, il piano del PD per prepensionare Tito Boeri”.

Il presidente dell’INPS, che a detta del giornalista sarebbe inviso a Damiano e Sacconi, presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, avrebbe le ore contate perché sarebbe in dirittura d’arrivo la revisione della governance dell’Istituto, che diverrebbe così la scusa per dare il benservito a Boeri, con il ripristino di un Consiglio d’Amministrazione.

A sostituire Boeri alla guida dell’INPS, sempre secondo il giornalista di “Lettera 43”, arriverebbe Mauro Maré, consigliere di Pier Carlo Padoan e presidente di Mefop SpA, la società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione, di cui il Ministero dell’Economia è azionista di maggioranza.

Il rischio, quindi, è di cadere dalla padella nella brace. L’INPS passerebbe da un economista che spinge per il ricalcalo delle attuali pensioni con il sistema contributivo e per lo sviluppo della previdenza complementare ad un altro economista che attualmente è impegnato a far crescere l’adesione ai circa 90 fondi che aderiscono al Mefop. Ma un presidente innamorato del sistema previdenziale pubblico, no?

Da parte nostra continueremo ad ostacolare il disegno di Boeri, così come ostacoleremo quello di Maré, se arriverà all’INPS, o di chiunque altro cerchi di distruggere la previdenza sociale pubblica.

12 OTTOBRE TUTTI ALL’ARAN PER IL CONTRATTO

10 NOVEMBRE TUTTI IN SCIOPERO PER IL CONTRATTO E PER L’INPS

Roma, 9 ottobre 2017 (67/17) USB Pubblico Impiego INPS

7 ottobre 2017 – Francesco Pacifico – LETTERA 43 – 

In teoria Tito Boeri ha un mandato da presidente dell’Inps che scade nel 2020. In pratica ampi fronti del governo e – soprattutto – amplissimi settori della maggioranza starebbero studiando come pensionarlo già prima delle elezioni 2018 o subito dopo l’insediamento del nuovo governo. Il tutto con la benedizione dei sindacati. Come? Reintroducendo nella governance dell’ente previdenziale quel consiglio di amministrazione eliminato da Antonio Mastrapasqua e che lo stesso Boeri non ha mai mostrato di sentirne la mancanza.

SCONTRO SULL’ETÀ PENSIONISTICA. Nelle ultime settimane l’economista bocconiano – mai tenero con l’esecutivo – ha finito per fare muro con la Ragioneria generale dello Stato contro il congelamento dell’età pensionistica. Parallelamente ha proposto di creare un incentivo ad hoc per assumere le madri che hanno da poco partorito. Posizioni che ben si scontrano contro chi in maggioranza – soprattutto Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, ex ministri del Welfare e oggi potentissimi presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato – invece proponeva di congelare almeno per un anno l’aumento del tetto di uscita o di allargare l’utilizzo dell’Ape social per le donne.

In parlamento e in larghi settori del governo si vorrebbe arrivare al redde rationem con Boeri, che in passato è stato tra i principali consiglieri di Matteo Renzi sulle tematiche del welfare e del lavoro. L’occasione sarebbe data dalla proposte di riforma della governance degli enti previdenziali firmata da Damiano e da altri, che giace da tempo alla Camera e che potrebbero subire un’accelerazione nei tempi di approvazione.

REINTRODUZIONE DEI CDA. Il testo prevede fondamentalmente due modifiche rispetto allo status quo: reintroduce il consiglio di amministrazione e, nella parte destinata al riordino degli organi collegiali territoriali di Inps e Inail, dà al cda di questi istituti il potere di presentare al governo un progetto di riforma dei comitati centrali e territoriali degli enti per rimodulare e integrare i diversi livelli di responsabilità.

“Boeri all’Inps ha scatenato le ire dei sindacati per la creazione della segreteria unica che affianca il presidente e l’istituzione di direzioni metropolitane che confliggono coi livelli regionali”

Va da sé che questi due passaggi finirebbero per ridurre al lumicino i poteri del presidente e, di conseguenza, tutte le riorganizzazioni fatte in questi anni da Boeri, che ha finito per scatenare le ire dei sindacati soprattutto per la creazione della segreteria unica che affianca il presidente e l’istituzione di direzioni metropolitane che – per esempio in Campania, Lazio e Lombardia – confliggono con i livelli regionali. Per non parlare del fatto che, con una governance e il ritorno del cda, sarebbe quasi naturale azzerare gli attuali vertici.

ACCUSATO DI «FARE TERRORISMO». Chi lo conosce sa bene che Boeri non si è mai fatto intimidire dalle critiche della politica. Ultimamente Damiano lo ha accusato sulle pensioni di «fare terrorismo». Però c’è chi nella maggioranza spera che questo attivismo spinga il bocconiano a fare un passo indietro. Anche perché ci sarebbe già un candidato per la successione: è Mauro Marè, economista e consigliere principe di Pier Carlo Padoan al Tesoro, che ben conosce la materia previdenziale guidando il Mefop (l’ente che si occupa dello sviluppo dei fondi pensioni) e avendo proposto tra i primi in Italia la creazione di una pensione di garanzia per i giovani.