Resoconto Convegno del 7.02.18 a Roma “La Verità sulle Pensioni”

È stato un successo il Convegno romano di ieri (07/02/18), organizzato dal FORUM  PENSIONATI ITALIANI ” e dedicato alla “VERITA’ sulle PENSIONI” .

220 pensionati hanno riempito la sala Baracca della Casa dell’Aviatore (Viale del Policlinico 20, Roma) ed hanno seguito con estrema attenzione la magistrale relazione del Prof. Michele Poerio, Presidente Federspev e Segretario Generale della Confedir.

Poerio ha innanzitutto ricordato che il Forum Pensionistico racchiude 11 Associazioni pensionistiche “autonome”, che rappresentano oltre 800.000 pensionati. Poi ha brillantemente dettagliato le spiacevoli “tagliole” che hanno colpito i pensionati (soprattutto quelli INPS) nel corso degli ultimi venti anni. Ha quantificato sia il danno economico “subìto” da ciascun pensionato dal 2012 ad oggi ed ha analizzato tutte le recenti FAKE NEWS (bufale) pensionistiche diffuse in questi anni dalla politica e dai mass media.

Interessante la relazione successiva dell’economista Prof. Giuseppe Pennisi che, con lucidità, ha riassunto le criticità del sistema pensionistico italiano:

a) le continue modifiche legislative e regolamentari;

b) il tentativo di modificare l’articolo 38 della Costituzione;

c) la voluta confusione tra assistenza e previdenza;

d) il ruolo politico della Consulta (anche alla luce della sentenza 250/17);

e) l’oscuro destino dei “contributi perduti” (ossia dei contributi pensionistici versati da soggetti che, per varie ragioni non maturano il diritto alla pensione”.

Numerosi gli interventi successivi, tra cui quello di Sangaletti (responsabile dei Seniores di Forza Italia) e della Cantone (responsabile della CGIL pensionati e di una Associazione pensionistica europea). In sala (sia tra gli intervenuti che tra gli ascoltatori) prevaleva un pensiero comune, esplicitato chiaramente dal Carlo Sizia (Direttivo Federspev): “Pensionati….non fidateVi dei politici quando parlano di pensioni…..a parole sono dalla nostra parte ma, nei fatti, razzolano male…..Al momento del voto…ricordateVi di chi ci ha fatto del male, di chi ha promesso le nuvole….di chi continua a privilegiare l’assistenza (da finanziare invece con tasse a carico di tutti) rispetto alla previdenza (che va garantita perché legata ai contributi versati).” Un applauso scrosciante ha accompagnato queste parole e chiuso il Convegno. Tutti i presenti sono usciti dalla Sala con alcune certezze:

  • la necessità di rinforzare la sinergia tra tutte le associazioni pensionistiche autonome;
  • l’indispensabilità di proseguire le azioni legali di tutela, in Italia ed in Europa;
  • la volontà di continuare a stressare l’intero arco politico sui problemi pensionistici reali e sul ruolo che – oggi – hanno i pensionati nell’ambito del welfare familiare e sociale.

(Testo a cura di S. Biasioli).

Segnaliamo questo articolo…

…pubblicato il 31.01.18 su www.affaritaliani.it che “riepiloga” tutti gli interventi legislativi degli ultimi anni in materia previdenziale (in risposta all’intervista rilasciata dall’On. Cesare Damiano a Giovanni Flores nel corso dell’ultima puntata di “DiMartedì” in onda lo scorso 30 gennaio).

Ritratta di una documentazione “doverosa” anche se, non tutte le idee sono condivisibili.

(Lenin)

Affaritaliani.it – Lettera di Battipaglia (31.01.18)

 

Fake news pensionistiche: IL BUCO NASCOSTO dall’INPS ?!

Commento di Lenin

Persino il Papa ha “sparato” contro le fake news.

A molti di Voi sarà sfuggita la notizia che le proiezioni sui conti dell’INPS prevederebbero un “buco patrimoniale” al 31.12.2023 di 56,56 miliardi. Ancora una volta gli articolisti (ad esempio si vedano gli articoli sul giornale La Verità del 25.01.18 e riportati nella sezione documenti ) riportano cifre “confuse” perché ancora una volta frutto di una confusionaria e voluta mescolanza tra costi previdenziali “puri” e costi assistenziali “mascherati”.

Per fortuna nei giorni scorsi illustri Membri dell’Istituto Leoni hanno ripreso la nostra costante “fissazione”: ossia la necessità di separare, nel bilancio INPS, tutte le voci assistenziali (che devono essere messe a carico della fiscalità generale) da quelle previdenziali “pure” (che sono legate ai contributi previdenziali).

Di fatto, noi desidereremmo che gli articolisti che si interessano dei bilanci INPS, calcolassero in modo corretto tutti i costi assistenziali (inclusi quelli nascosti) e quelli previdenziali. Emergerebbe allora il “succo” della relazione Brambilla ossia che il BILANCIO PREVIDENZIALE PURO è QUANTOMENO IN PAREGGIO e che invece la catastrofe INPS è legata alla spesa assistenziale, ai debiti dello Stato nei confronti dell’Inps ed infine ai contributi evasi dai Comuni e da varie strutture del Parastato.

Alleghiamo articoli sul tema:

Parte 1:  INPS-Assegni a RISCHIO-parte 1_ (LaVerità 25.1.18 pag. 2-3)

Parte 2:  INPS-Assegni a RISCHIO-parte 2 (LaVerità 25.1.18 pag. 2-3)

Parte 3:  L’ennesimo buco nascosto (LaVerità 25.1.18)

Parte 4:  Le promesse ai pensionati sono false (LaVerità 25.1.18)

 

Verso il CONVEGNO PENSIONISTICO a ROMA (07 febbraio, ore 10:00 – 13:00)

Tutte le organizzazioni aderenti al Forum Pensionati (si tratta di circa 15 soggetti, che rappresentano almeno un milione di pensionati INPS estranei alla logica della Triplice) contribuiscono all’organizzazione del Congresso citato (vedere in questo sito, nella sezione “Convegni“).

Interverranno al Convegno esperti pensionistici, economisti e legali.

Ovviamente sono stati contattati tutti i partiti politici, ma non è ad oggi noto quanti di questi invieranno un loro rappresentante.

Si parlerà di Passato – Presente – Futuro delle pensioni, avendo anche ben presente il problema intergenerazionale.

Infine, dal Convegno scaturiranno importanti idee per le prossime battaglie legali a tutela delle nostre pensioni, sia a livello nazionale che europeo. 

Chiaramente, siete Tutti invitati presso:

Casa dell’Aviatore, Viale del Policlinico, 20 – 00161 ROMA

dalle ore 10:00 alle ore 13:00

I NUMERI CHIAVE delle PENSIONI

Articolo su Formiche.net, sez. Spred, di Giuseppe Pennisi

Prima di mettere mano a un sistema previdenziale molto complesso e molto delicato, occorre basarsi su dati chiari. L’analisi dell’economista Giuseppe Pennisi

Le pensioni sono uno degli elementi principali di questa campagna elettorale e, a prescindere dagli esiti delle elezioni del 4 marzo, lo saranno nella prima parte della prossima legislatura.

Quali che siano le riforme da adottare, occorre basarsi su dati chiari prima di mettere mano ad un sistema previdenziale molto complesso e molto delicato. Altrimenti, non lo si renderà più efficiente e più equo, ma si rischia di aumentare inefficienze ed iniquità. In queste note, si è già visto come il collegamento dell’età legale minima della pensione all’aspettativa di vita rende il sistema fortemente regressivo perché le fasce ad alto reddito, una volta superato, il capo dei 65 anni di età hanno un’aspettativa di vita più lunga, ed in migliori condizioni, delle fasce a basso reddito. Ove a ragione di una lunga emergenza economica e finanziaria, il sistema previdenziale NDC (attualmente in vigore in Italia) non fornisse un pilota automatico tale da segnalare agli individui quando andare in pensione, sarebbe più equo (e più efficiente) un nesso tra requisiti minimi per il pensionamento e il numero di anni in cui si è contribuito al sistema.

Tuttavia, il nodo centrale è se il sistema previdenziale è o non è al collasso e sta o non sta portando al collasso la finanza pubblica italiana. I dati chiave scaturiscono non tanto dalle aggregazioni Istat (ripetute dall’Ocse , dal Fondo monetario e dalla Commissione Europea poiché l’Istat è l’unica fonte da loro utilizzata) ma dall’analisi certosina dei bilanci INPS fatta dal centro studi Orizzonti Previdenziali, guidato dall’ex sottosegretario Alberto Brambilla.

Il primo dato errato riguarda il rapporto tra spesa previdenziale e PIL: non il 18% rispetto ad una media europea inferiore al 15%. Il rapporto è molto più basso se – come sarebbe appropriato – si deducono le spese assistenziali dal totale e le imposte pagate dai pensionati sulle loro annualità (in molti Paesi che adottano il sistema contributivo NDC o le pensioni sono esenti da imposte o vengono pagate sulla parte dell’annualità previdenziale che eccede i contributi versati, per evitare doppia imposizione sulle stesse poste contabili). Nei consuntivi per il 2016 (quelli per il 2017 saranno disponibili solo tra quattro-cinque mesi), la spesa ‘previdenziale’ vera e propria diminuisce da 218 miliardi di euro a 150 miliardi di euro, quindi a meno del 12% del Pil, una delle più basse, in termini di incidenza, dei Paesi industrializzati ad economia di mercato. Nel 2016, i contributi dei ‘futuri pensionati’ sono stati 197 miliardi, ossia con un saldo attivo netto significativo, 47 miliardi.

Inoltre, su 16,1 milioni di pensionati oltre il 51% sono totalmente o parzialmente assistiti dalla fiscalità generale, cioè da tutti i contribuenti. Inoltre ben 8,2 milioni sono assistiti totalmente (oltre 4 milioni) o parzialmente (altri 4) tramite pensioni sociali, assegni sociali, invalidità, accompagnamento, pensioni di guerra (1,5 miliardi dopo oltre 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale), maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, 14esima mensilità, social card e dal prossimo anno anche con il reddito di inserimento (Rei). Coloro che pagano 50 miliardi di imposte sono quelli che, da lavoratori attivi, più hanno contribuito alle entrate dello Stato e delle autonomie locali. Quindi, le vere e proprie campagne contro “i pensionati d’oro o d’argento” non solo non hanno base ma ove avessero successo procurerebbero un danno all’erario.

Cosa concludere? Quella che sta esplodendo non è la spesa previdenziale in senso stretto ma una parte grandissima della spesa sociale impropriamente classificata come previdenziale a circa trent’anni dalla normativa che separò assistenza da previdenza. La spesa assistenziale di 110 miliardi ed è netta, perché su queste prestazioni non ci sono imposte.

Questi dati meritano di essere sviscerati e dibattuti su Formiche.net. Al fine di agevolare il compito di chi dovrà mettere mano all’assistenza sociale e se del caso alle pensioni.

RIFORMA PENSIONI. Poletti: legge Fornero si può modificare (ultime notizie)

Premessa:

Ormai   è  cosa  certa  : la legge Fornero sarà  MODIFICATA ! In questo articolo , di oggi 15 gennaio , alcune proposte  inserite nei programmi elettorali delle forze politiche per la  consultazione del prossimo 04 marzo. Buona lettura

Riforma pensioni, ultimissime. Poletti: legge Fornero si può modificare. Tutte le novità e le news sui principali temi previdenziali di oggi 15 gennaio 2018.

A cura di: Lorenzo Torrisi

POLETTI: LEGGE FORNERO SI PUÒ MODIFICARE

Anche Giuliano Poletti difende la Legge Fornero, spiegando che gli italiani l’hanno vissuta come un’ingiustizia, “ma penso che abolirla non sia ragionevolmente possibile, perché si metterebbero a rischio i conti del nostro Paese”. Ai microfoni di Sky Tg24 il ministro del Lavoro ha comunque detto di ritenere che la Legge Fornero vada modificata, visti i difetti che ha mostrato di avere, e in questo senso ha ricordato il lavoro fatto di concerto con i sindacati si questo fronte. “Abbiamo fatto una scelta di equità, perché abbiamo deciso che non tutti i lavori sono uguali e si può trattare diversamente chi fa lavori usuranti o pesanti. Questa strada di una modifica, che risponda a criteri di equità, è una cosa che si può e si deve fare. È un tema di discussione che va preso in maniera seria e rigorosa”, ha detto Poletti secondo quanto riportato da Askanews.

BERLUSCONI CONFERMA IL PIANO-MINIME A 1000 EURO

Silvio Berlusconi in diretta a Domenica Live ha confermato una volta di più la sua personale proposta sulle pensioni per il possibile governo del centrodestra dopo il 4 marzo: nonostante le parole di Salvini sulla Legge Fornero, negli studi “di casa” a Mediaset Silvio “glissa” su questo e punta dritto sul discorso delle “pensioni minime”. «Aumenteremo tutte le minime a 1000 euro al mese. Un’altro aiuto alle famiglie e ai pensionati e in particolar modo alle donne che sono quelle che più di tutti lavorano nella vita visto che badano anche alla casa e ai figli ogni giorno e ogni sera». Una ricetta rilanciata che dunque al momento non pone altre novità rispetto al mantenimento parziale o esclusione totale della legge Fornero già modificato dall’ultimo governo di centrosinistra. Un Berlusconi “in forma” che rilancia anche sul taglio delle tasse con la proposta della flat tax, questa condivisa appieno da tutto il fronte della coalizione di centrodestra. (agg. di Niccolò Magnani)

DATI ISTAT: MENO PENSIONI MA PIU SPESA

I dati Istat mostrano con chiarezza come nel 2016 la “cura” messa in programma dal Governo sulle pensioni ha avuto qualche frutto sperato anche se ha innalzato le spese oltre ogni previsione e dunque con relativi problemi annessi: «nel 2016 i pensionati sono scesi a quota 16,1 milioni, contro i 16,8 milioni del 2008. In termini assoluti si tratta di 715.047 persone in meno, che corrisponde a una riduzione del 4,3%. Nello stesso periodo, però, la spesa per gli assegni è aumentata di 41,2 miliardi, passando da 241,2 miliardi a 282,4 miliardi (+22,3%)», si legge nelle tabelle dell’Istat pubblicate ed elaborate da Adnkronos. Non solo, la crescita della spesa è andata ancora oltre con la “sospensione” della riforma Fornero: «si stima che in questi anni siano stati ‘risparmiati’ 15-16 miliardi l’anno, a cui però bisogna aggiungere i costi dei diversi interventi compensativi (dalle salvaguardie degli esodati all’ape). Il sistema pensionistico costa sempre di più a causa dell’incremento degli assegni, che in media sono aumentati del 22,3%, passando da 14.373 euro del 2008 a 17.580 euro del 2016 (+3.207 euro)».

MIUR, “35MILA PENSIONI”: 100MILA POSTI VACANTI

Le pensioni agitano ancora il mondo scolastico: in piena discussione sul rinnovo dei contratti statali per ogni dipendente del comparto Scuola, il Miur annuncia che sono stati presentate 35mila domande di assegni pensionistici tra docenti e personale Ata (amministrativi, i tecnici, i collaboratori scolastici e i Dsga). Se si tiene conto delle tante altre domane di accesso all’Ape Social già presentate negli scorsi mesi, i vari riposti d’ufficio e le pensioni ordinarie, la cifra che “travolge” la scuola dal prossimo 1 settembre è di circa 100mila posti vacanti da riempire con urgenza. Critiche feroci dai sindacati, specie Anief-Cisal e altri minori, che contestano i dati ancora presenti nella riforma pensioni: «È assurdo che dal quota 41. Quota 100 vuol dire che la somma dell’età anagrafica e contributiva è uguale a 100 e quindi si può accedere ai benefici previdenziali. Quota 41 non fa riferimento all’età anagrafica ma esclusivamente ai 41 anni contributivi previsti per prendere benefici previdenziali”.

Cosa succederà alle pensioni nel 2018 ? Fatti e prospettive

Intervento di Michele Poerio, Segretario Generale Confedir e Presidente Nazionale Federspev, e Carlo Sizia, Comitato Direttivo Nazionale Federspev

Pubblicato su Formiche.net il 6 gennaio 2018.

Dopo il biennio 2016-2017 di pensioni “tutte bloccate” – in ragione del fatto che l’Istat ha certificato per due anni consecutivi un indice di svalutazione provvisoria (poi risultata definitiva) pari allo 0% o addirittura di poco negativa – dal 2018 le pensioni riprenderanno a crescere leggermente.

Infatti il decreto 20/11/2017 (in G.U. dal 30/11 scorso) del ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito (art. 2) che, sulla base dei dati accertati fino a settembre 2017, “la percentuale di variazione per il calcolo della perequazione delle pensioni per l’anno 2017 è determinata in misura pari a + 1,1% dal 1° gennaio 2018, salvo conguaglio da effettuarsi in sede di perequazione per l’anno successivo”.

Il conguaglio anzidetto sarà positivo qualora la svalutazione definitiva del 2017 sul 2016 risultasse superiore a quella previsionale dell’1,1%, ma sarà negativo qualora la svalutazione definitiva risultasse inferiore a quella prevista in via provvisoria.

Non si darà comunque luogo a conguaglio alcuno quando svalutazione previsionale e definitiva risultassero coincidenti, come accaduto ad esempio negli anni 2016-17.

Tuttavia un piccolo conguaglio negativo (- 0,1%), di poche decine di euro, ci sarà nel 2018 per recuperare lo 0,1% di differenziale tra inflazione previsionale (+ 0,3%) e definitiva (+ 0,2%) registrato nel 2015. Tale recupero avrebbe dovuto intervenire nel 2016, ovvero nel 2017, ma in entrambi i casi sono state approvate norme di salvaguardia (nelle leggi 208/2015 e 244/2016) secondo il principio che, anche in caso di inflazione negativa, le pensioni in pagamento non possano essere decurtate rispetto all’importo nominale in essere.

Qui di seguito vengono riportati gli indici di svalutazione (provvisori e definitivi) e di rivalutazione dell’ultima dozzina

Per effetto dell’anzidetto d. m. Economia, nel 2018: il trattamento minimo Inps passa da 501,89 €/mese a 507,41 €/mese; il valore dell’assegno sociale da 448,07 a 452,99 €/mese; la pensione sociale passa da 369,26 a 373,32 €/mese.

Tuttavia, secondo il meccanismo introdotto dalla legge Letta (L. 147/2013, a valere per il triennio 2014-2016, poi prorogato per un ulteriore biennio, fino a tutto il 2018, dalla legge 208/2015), il criterio di rivalutazione degli assegni al costo della vita (+ 1,1 % anzidetto) opera nel seguente modo:

  1. pensioni lorde fino a 3 volte il minimo INPS: rivalutazione piena al 100% = + 1,1%;
  2. pensioni lorde tra 3 e 4 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 95% = + 1,045%;
  3. pensioni lorde tra 4 e 5 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 75% = + 0,825%;
  4. pensioni lorde tra 5 e 6 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 50% = + 0,55%;
  5. pensioni lorde oltre 6 volte il minimo INPS: rivalutazione limitata al 45% = + 0,495%.

Il criterio di perequazione introdotto dalla legge Letta è nettamente peggiorativo rispetto al meccanismo precedente (legge 388/2000), infatti:

a) porta da 3 a 5 le fasce economiche di importo pensionistico prese a riferimento per la rivalutazionee

b) l’incremento (in percentuale progressivamente decrescente) opera sull’intero importo della pensione goduta, anziché in misura distinta sulle diverse fasce di importo,cioè in misura del 100% per gli importi fino a 3 volte il minimo Inps, del 90% per gli importi successivi tra 3 volte e 5 volte il minimo Inps e del 75% per gli ulteriori importi oltre le 5 volte il minimo Inps (come avveniva in precedenza per i vari segmenti di una singola pensione).

Si passa quindi per le pensioni medio-alte (diciamo quelle oltre le 6 volte il minimo Inps) da un recupero complessivo tra l’80 – 85%, rispetto all’inflazione accertata, a meno del 50%.

Anche la legge Fornero (L. 114/2011), pur non modificando i criteri della legge 388/2000, aveva pesantemente alterato la perequazione previgente, escludendo per il biennio 2012 e 2013 dalla rivalutazione tutte le pensioni di importo oltre le 3 volte il minimo INPS. In aggiunta, il decreto legge 65/2015 (convertito nella legge 109/2015), intervenuto dopo le censure della sentenza 70/2015 della Corte costituzionale, non ha sanato le malefatte dei nostri legislatori sprovveduti, ristorando in modo parziale e decrescente i percettori di pensioni di importo oltre le 3 volte il minimo Inps e fino alle 6 volte, lasciando ancora totalmente senza rivalutazione le pensioni di importo oltre le 6 volte il minimo.

Gli unici pensionati sempre tutelati dall’inflazione sono stati pertanto, anche negli anni difficili della congiuntura economica, esclusivamente i titolari di assegni fino a 3 volte il minimo INPS.

Prendendo a riferimento gli ultimi 11 anni (dal 2008 al 2018 compresi), si può dire con sicurezza che gli interventi peggiorativi sulla perequazione delle pensioni oltre le 6 volte (e ancor più oltre le 8 volte il minimo Inps), intervenuti per il 72,72% del periodo anzidetto in deroga ai criteri della legge 388/2000, hanno determinato una perdita permanente del potere d’acquisto delle pensioni in questione di non meno del 10-15%, in concreto da 500 € netti mensili circa a più di 1000 € mensili, anche senza tener conto dell’appesantimento fiscale delle addizionali comunali e regionali intervenute dai primi anni duemila e del taglieggiamento crescente del cosiddetto “contributo di solidarietà”, intervenuto da ultimo nel triennio 2014-2016 sulle pensioni di importo oltre le 14 volte il minimo Inps.

Anche senza gli interventi sgraziati anzidetti, c’è da dire che la perequazione automatica delle pensioni non raggiunge mai pienamente il pieno ristoro dall’inflazione per almeno i seguenti principali motivi: 1) perché il recupero interviene in tempi successivi rispetto al momento dell’insulto inflattivo; 2) perché il “paniere” che pesa l’incremento del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati non è specifico per le persone anziane, anche se rappresenta la base per la rivalutazione riconosciuta delle pensioni; 3) perché, anche in via ordinaria, la percentuale di rivalutazione è riconosciuta in misura progressivamente decrescente al crescere dell’importo della pensione goduta.

Contro la cattiva legislazione previdenziale evidenziata, oggi non rappresenta più un argine neppure la Corte Costituzionale, soprattutto in ragione dei criteri di nomina dei relativi componenti, basati su valutazioni politico-partitiche, anziché su solide motivazioni di competenza, valore, imparzialità.

Assistiamo quindi spesso a sentenze della Corte che rivelano un imbarazzante ossequio rispetto agli input che provengono dal Palazzo, anche a costo di sconfessare lettera e spirito di principi e valori della Costituzione vigente (su tutti quelli di cui agli artt. 3, 36, 38 e 53) e decine di precedenti sentenze della Corte stessa su analoga materia (da ultimo, la sentenza 250/2017, che ribalta la precedente sentenza 70/2015).

Non rimane che esclamare: “Povera Italia, poveri pensionati, poveri giovani d’oggi, sfortunati pensionati di domani!”.