La leggenda delle Pensioni d’oro

di STEFANO LORENZETTO/L’Arena 15.07.18

L’ARENA/Controcronaca – Come è nata la leggenda delle pensioni d’oro. Da un titolo, comparso nel 1974 su un giornale del pomeriggio per censurare uno scandalo, si è arrivati alla caccia alle streghe di oggi. Brutta faccenda quando lo Stato si rimangia i patti stipulati con i cittadini.

(Il testo integrale lo trovate nella Sezione “Documenti” con data 15.07.18)

 

CONSIDERAZIONI e RIFLESSIONI sulla operazione di eventuale “Ricalcolo Contributivo”…

…delle pensioni cosiddette «Pensioni d’oro»

  1. “GOLPE di STATO” del mondo della “ASSISTENZA” sul mondo della “PREVIDENZA”. Il Governo giallo-verde vuole usare i contributi versati dai lavoratori a favore di chi non ha mai lavorato o ha fatto il fannullone. Se lo Stato vuole dare a costoro una pensione lo deve fare con risorse erariali e non con risorse contributive destinate alla copertura delle future pensioni di chi ha sgobbato una intera vita.
  2. Se così avverrà, lo STATO (democratico) di DIRITTO verrà cancellato da uno STATO (populista) SOCIALE che punta a far trionfare sentimenti di odio e di invidia tra i membri della comunità nazionale, anziché sentimenti di pacifica e responsabile convivenza civile.
  3. Per quanto sta succedendo, vi è la necessità di fare un CENSIMENTO del numero delle pensioni che vengono erogate con versamenti contributivi pari a ZERO (chiosa: tutte le pensioni integrate al minimo, per insufficienza dei contributi versati, comportano un esborso erariale di 21 miliardi di euro all’anno! Se non è questo già da tempo, da oltre 40 anni, un “reddito di cittadinanza”???!!!!).
  4. Vi è inoltre la necessità di fare un CENSIMENTO volto ad effettuare un’operazione di trasparenza/conoscenza/informazione atta ad indicare/evidenziare la quota (la percentuale) di pensione che risulta coperta dal coacervo dei contributi versati, il c.d. Montante Contributivo (sommatoria dei contributi versati rivalutati alla data del pensionamento).
  5. Al riguardo, non può tacersi, ad esempio, che la platea di alcune categorie, quali ferrovieri e postelegrafonici, è “foraggiata” dall’erario: rispettivamente per 4 miliardi e per 1 miliardo, a motivo del fatto che i contributi versati dai lavoratori dei relativi settori attualmente in attività sono largamente insufficienti per l’erogazione delle pensioni in atto.
  6. Il programma governativo dei 5stelle mirante a colpire le c.d. “pensioni d’oro” modifica in corsa – attraverso il “Ricalcolo Contributivo” – le regole/norme vigenti al tempo dell’andata in pensione (è come se un arbitro di calcio, senza avvertire i giocatori prima dell’inizio della partita, fischiasse un calcio di rigore in caso di fallo in qualsiasi zona del campo e non solo in area di rigore). È questo un grave e pericoloso vulnusal principio dello “affidamento” (leale ed etica relazione) Stato/Cittadino da un lato ed al principio del “tempus regit actum” dall’altro.
  7. Il prospettato “Ricalcolo Contributivo” da parte del Governo non può – al fine di rispettare e non violare il precetto dell’articolo 3 della Costituzione ed al fine di essere credibile – non interessare/riguardare tutti i pensionati (anche, pertanto, le c.d. pensioni baby che sono numericamente tantissime e riguardano, ad esempio, insegnanti che, dipendenti dello Stato, sono andate in pensione in pensione a 31-32 anni di età con 14 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi e che percepiranno la pensione per oltre 50 anni in rapporto alle loro aspettative di vita, cumulando oltre 600.000,00 euro di pensione a fronte di non più di 100.000,00 euro di contributi). Il “Ricalcolo Contributivo” delle pensioni in atto, se giuridicamente possibile, va effettuato in maniera generalizzata e universale, con riferimento cioè a tutte le posizioni pensionistiche in essere. In tal caso sarà verificato che le c.d. “pensioni d’oro” sono quelle dalle quali esita il più alto tasso (80/85%) di copertura contributiva, senza tacere che hanno pagato e continuano a pagare l’aliquota fiscale marginale massima – 43% – al pari di quanto fatto per decenni in costanza di rapporto di lavoro.
  8. Le modalità e i criteri del prospettato “Ricalcolo Contributivo” non sono a tutt’oggi note. Quel che è certo è che si verificherà, per i dipendenti statali, un vero e proprio busillis. Come si potrà infatti fare il “Ricalcolo Contributivo” in assenza del relativo database cartaceo o informatico che sia, database che è esistente soltanto dal 1996 in avanti? Per il periodo precedente lo Stato ha solo calcolato ma non versato i contributi di propria competenza (iscrivendoli/riportandoli tra i Conti d’Ordine in Entrata e in Uscita!).
  9. A seguito delle risultanze di simile mastodontica operazione di eventuale ricalcolo, andranno toccate anche le pensioni di importo superiore al minimo per rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, con la conseguenza che molte delle stesse dovranno quasi sicuramente essere ridotte al disotto dell’importo minimo: in tal caso dovrà scattare l’intervento integrativo da parte dello Stato attraverso la fiscalità generale.
  10. In presenza di una GENERALIZZATA e UNIVERSALE OPERAZIONE di “Ricalcolo Contributivo” non potranno essere ignorate le percentuali risultanti dal rapporto importo dei contributi versati = Montante Contributivo/importo della pensione corrisposta. Le c.d. “pensioni d’oro” esiteranno la percentuale più elevata del rapporto in parola. Così non sarà di certo per i ferrovieri, per i postelegrafonici, per i titolari delle pensioni baby e per tante altre categorie.

Firmato: il Direttivo dell’APS-LEONIDA – 18 luglio 2018

SIAMO CENTOMILA VITTIME SACRIFICALI… DIFENDIAMOCI!

Stavolta ci siamo.

Dopo cinque anni di continue, ossessive e minacciose campagne mediatiche, il Governo ha annunciato un disegno di legge che mira al ricalcolo retroattivo, al ribasso, delle pensioni che stiamo percependo, assurdamente ritenute “un privilegio”.

Non di tutte, per il momento, ma solo di quelle che eccedono una soglia, che originariamente nel “contratto di governo” era stata identificata in 5000 euro netti mensili, ma che nelle ultime settimane è diventata di 4000 euro netti mensili. Naturalmente, vista la finalità sottesa alla decurtazione (finanziare il reddito di cittadinanza) non si esclude che tale soglia possa, in futuro, scendere ulteriormente, in funzione dell’enorme quantità di denaro che questo Governo vuole reperire per ripagare il consenso degli elettori.

Con questa legge verrà introdotto in materia previdenziale un precedente, inaudito ed abnorme, che renderà possibile, in futuro, intervenire su tutte le pensioni, anche su quelle più basse, riducendole per ricavare le risorse via via necessarie a finanziare le iniziative populiste delle forze politiche in carica.

Se così sarà, dovremo abdicare alla concezione che il nostro è uno Stato nel quale il cittadino può fare affidamento sul principio di certezza del diritto.

Il taglio, assai rilevante, fa seguito ad una serie di altre decurtazioni, susseguitesi dal 2011 ad oggi, che hanno pesantemente inciso sul potere d’acquisto dei pensionati.

I tagli hanno finora riguardato esclusivamente i pensionati, risparmiando tutte le altre categorie di reddito, in barba ad ogni istanza di equità che pure rappresenta il principio cardine della nostra Costituzione repubblicana.

Sono stati puniti i pensionati, colpevoli di aver lavorato e versato tasse e contributi per tutta la vita (nel paese con l’evasione fiscale più elevata d’Europa) perché ritenuti, come appare evidente, una categoria meno capace di mobilitarsi, più arrendevole, elettoralmente meno “pericolosa” e quindi più facile da “spennare”.

Il Ministro Di Maio, in versione “Robin Hood”, vuol far pagare a pensionati che hanno puntualmente versato elevati contributi stabiliti dalla legge, durante la vita lavorativa, i costi del reddito di cittadinanza che sarà elargito a chi non lavora, non versa contributi, non paga imposte sul reddito ma ha il “merito” di aver contribuito al successo elettorale del M5s.

Questi pensionati, non soltanto hanno subito elevate trattenute previdenziali sulla retribuzione, ma hanno altresì grandemente contribuito, con oltre un terzo del proprio reddito da lavoro dipendente, prelevato dal Fisco, al benessere dei cittadini italiani mediante il sostegno alla spesa pubblica per sanità, istruzione, assistenza sociale e altro, per tutta una vita lavorativa. E contribuiscono tuttora, copiosamente, attraverso l’elevato prelievo fiscale sul reddito da pensione.

Questi (non i candidati al reddito di cittadinanza) sarebbero però “parassiti sociali” secondo la sprezzante e sleale definizione del Ministro del lavoro.

Ci siamo sforzati, in questi anni, di reagire a manovre di questo tipo per difendere, non solo il nostro reddito da pensione, ma anche, e soprattutto, la nostra dignità calpestata dalla politica.

Abbiamo impugnato leggi che ritenevamo inique, ricorrendo fino alla Corte costituzionale ed alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Agiremo in giudizio anche contro questa legge, ben consci che se non riusciremo, questa volta, ad ottenere ragione vorrà dire, purtroppo, che in Italia non vi è più la certezza del diritto e che la nostra Costituzione repubblicana è ormai lettera morta.

La norma che si intende introdurre, infatti, finirà per essere una delega in bianco e definitiva al Governo ed all’I.N.P.S. per ogni taglio alle pensioni di cui si ravvisi in futuro la necessità o anche semplicemente l’opportunità, per compiacere l’elettorato.

Centomila saranno i percettori di trattamenti pensionistici candidati al prelievo forzoso. Prelievo forzoso che si delinea come permanente, assumendo le caratteristiche di un vero e proprio esproprio.

Non possiamo rimanere inerti di fronte ad un’ingiustizia e ad un pregiudizio di tale enormità: si impone una larga partecipazione al ricorso che dovrà assumere le dimensioni di una vera e propria “class action”, trasformandosi finalmente in una protesta di massa e travalicando la dimensione giudiziale.

Occorre che tutti ci mobilitiamo: è indispensabile la partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati che dovranno impegnarsi nella diffusione capillare della protesta e dell’azione tra le centomila vittime designate, molte delle quali potrebbero essere ancora inconsapevoli della grave ed inaudita ingiustizia che il governo sta perpetrando ai loro danni.

Lorenzo Stevanato (Magistrato Amministrativo in pensione) – Arturo Ennio Orsini (Direttore sanitario in pensione)  Padova, 17.07.18

Articolo “pesante” di Vittorio Feltri

Il ministro del Lavoro è solo un magliaro

VITTORIO FELTRI
Di Maio ce l’ha a morte coi pensionati e li vuole punire, tagliando loro gli assegni mensili. Coloro che incassano più di 4000 euro saranno massacrati.

Non importa se essi abbiano pagato contributi cospicui per anni. Vanno strangolati, punto e basta. L’odio sociale suggerisce al menestrello del lavoro (le fatiche del quale egli ignora non avendo mai avuto un impiego) di azionare la livella e di piallare il reddito di chi è andato a riposo dopo anni di sacrifici e di versamenti.

La logica del provvedimento, che castiga in modo inverecondo coloro che in vita hanno sborsato fior di quattrini per garantirsi una vecchiaia serena, sfugge a chiunque dotato di buon senso, ma tant’è. Di Maio è un guappo di cartone e intende recuperare denaro dalle persone oneste che nella loro carriera professionale si sono comportate onestamente per dare il reddito di cittadinanza ai suoi compari fannulloni, gente che detesta impegnarsi in fabbrica o in ufficio e pretende di campare a sbafo grattandosi il basso ventre.

Mi dispiace che Salvini annuisca davanti all’ipotesi di penalizzare individui perbene a vantaggio dei lazzaroni incapaci di svolgere qualsiasi attività nel mondo della produzione. Non parlo per me: sono in grado di tirare avanti egregiamente benché mi si riduca la quantità di grano spettantemi per contratto. Grazie al cielo, e a me stesso, sgobbo oggi, che ne ho 75, come quando ne avevo 40, per cui non morirò di fame, il che mi consente di spennacchiare il bulletto terrone, tuttavia sono addolorato al pensiero che tanti colleghi meno fortunati di me si trovino, causa il pistolino addirittura promosso vicepremier, in gravi difficoltà economiche.

Segare le pensioni è una operazione da vigliacchi degna dei napoletani esperti nel gioco delle tre carte, nel quale vince sempre il farabutto di turno iscritto al Movimento cinque stelle con la vocazione del magliaro. Non auguriamo a Giggino di sparire dalla scena politica. Ci rimanga pure e seguiti a riscuotere l’indennità prevista per i deputati, ma a tempo perso vada tranquillamente a fare in culo, esercizio per il quale mi sembra particolarmente predisposto.
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Continuano le FAKE NEWS di BOERI

Tito Boeri (TB)  instancabile, continua a “dare i suoi numeri”. L’ha fatto anche stamattina, alla Radio del SOLE24ore (ore 8.15 circa).

C’è chi continua a dargli spazio (ex quibus, anche Giannino) e credito. Non certamente NOI LEONIDA, che crediamo ai numeri di Brambilla e non a quelli del bocconinano che, da anni, ripete sempre la stessa cantilena.

Una cantilena “politica”, mentre TB dovrebbe svolgere il suo ruolo, quello tecnico di Presidente dell’INPS, fino al 31/12/2019. E, da tecnico, dovrebbe SPIEGARCI IL PERCHÈ dei DEFICIT INPS 2015-2016-2017 e dovrebbe SPIEGARCI QUALI MISURE “TECNICO-GESTIONALI” abbia messo in atto, in questi anni, per ridurre i costi del pachiderma INPS.

No, TB si rifiuta di farlo e parla “da politico”. Ma, se voleva far politica, avrebbe dovuto candidarsi, con il PD o con i  5S, viste le affinità di pensiero….. !!!!!!

(Lenin)

Bufale previdenziali di Di Maio

Le “Bufale previdenziali” dela vice Presidente del Consiglio dei Ministri nonché Ministro del Lavoro Signor Di Maio Luigi

Che Di Maio sia un ignorante non solo in geografia è noto a tutti; che sia un analfabeta nel settore previdenziale lo stiamo scoprendo per le sue reiterate e cervellotiche affermazioni: qualche mese fa voleva recuperare dal taglio delle pensioni cosiddette d’oro qualcosa come 12 (dodici) miliardi, qualche giorno fa, bontà sua, si è limitato al recupero di un solo miliardo postando su twitter“vogliamo finalmente abolire le pensioni d’oro che per legge avranno un tetto di 4-5 mila euro per tutti quelli che non hanno versato una quota di contributi che dia diritto ad un importo così alto. Grazie al miliardo che risparmieremo potremo aumentare le pensioni minime a quei tre milioni di italiani che non hanno neppure i soldi per fare la spesa.”

Ma è realistica questa previsione? Si tratta di una bufala mediatica se è vero che i percettori di pensioni superiori a 5.000 euro lordi mensili sono poco più di 120 mila per cui il risparmio stimato sarebbe di 210 milioni (dati ISTAT- Franco Mostacci).

Secondo un’altra simulazione di “Tabula” (società di ricerca di Stefano Patriarca) il risparmio sarebbe di soli 115 milioni essendo circa 30.000 i percettori di pensioni superiori a 5.000 euro.

Altra smentita arriva da Alberto Brambilla, uno dei maggiori esperti previdenziali italiani, secondo cui “il risparmio si aggirerebbe fra i 115 e i 150 milioni; stiamo parlando di circa 26 mila contribuenti con oltre 5.000 euro al mese di pensione” anche perché aggiunge “ come otteniamo il taglio? Si fa con il ricalcolo contributivo,ma con quali coefficienti? Si rischia una modalità arbitraria che apre la strada all’incostituzionalità e a migliaia di ricorsi che lo Stato perderebbe di sicuro.”

Ed aggiunge “meglio che Di Maio si occupi di cose più urgenti, c’è un Paese da far  ripartire.”

Ma non basta.

Mentre nel contratto elettorale Lega-5 Stelle si parlava di un taglio delle pensioni d’oro superiori ai 5.000 euro netti mensili,ora l’ineffabile ministro del lavoro fa riferimento alle pensioni di 4-5.000 euro senza precisare se lordi o netti e soprattutto senza precisare le modalità del taglio.

Questi Robin Hood da strapazzo devono capire una buona volta per tutte che se è giusto e doveroso,per problemi di equità sociale,aiutare i pensionati veramentemeno abbienti,ciò deve avvenire non solamente a carico dei pensionati cosiddetti d’oro,ma a carico della fiscalità generale ai sensi dell’art.53 della Costituzione e quindi a carico di tutti i lavoratori attivi e pensionati a parità di reddito.

Questa proposta del ministro,inoltre,inciderebbe pesantemente sul principio dell’affidamento,cardine costituzionale dei rapporti tra Stato e cittadini e tra  i cittadini,principio che comporta un impegno prima di tutto etico e poi concreto a mantenere la parola data che lo Stato dà con atti di legge o aventi valore di legge,la cui rottura rappresenta un irreparabile vulnus allo Stato di diritto.

Non si può, quindi, che condividere sia la posizione del prof Alberto Brambilla “Di Maio si occupi di questioni più urgenti c’è un Paese da far ripartire”, sia la posizione di Vittorio Feltri “caro Di Maio studia e piantala di fare cazzate”.

Prof. Michele Poerio – Segr. Gen.le CONFEDIR – Pres. Naz.le FEDERSPeV

Contro le fake news sulle pensioni d’oro. Il parere di Biasioli e Stevanato

Articolo di Lorenzo Stevanato e Stefano Biasioli – Pubblicato su: http://formiche.net/2018/06/pensioni-fake-news/

Tutti i numeri reali sull’assistenza e la previdenza che ridimensionano il dato sul risparmio di un miliardo stimato dal M5S

Nel contratto tra M5S e Lega si accenna ai tagli sui vitalizi e sulle pensioni d’oro. Obiettivo: dare un sussidio alle pensioni “minime”.

Onestamente noi pensavamo che, prima di passare dalle enunciazioni ai fatti, Di Maio e C. si documentassero sui “numeri reali” relativi all’assistenza ed alla previdenza. Le affermazioni di questi giorni ci dimostrano, invece, che i 5S non si sono documentati e non hanno assolutamente letto il Rapporto Brambilla n°4/2017 che, in modo analitico e stringente, testimonia alcuni fatti incontrovertibili:

a) il bilancio (entrate-uscite) della “previdenza pura” (ossia coperta da contributi) relativo al 2015 è in attivo (+3,713 miliardi);

b) il bilancio della “spesa assistenziale” (ossia quella non coperta da contributi individuali) è nettamente in passivo ed è quantificabile in 72,172 miliardi.

In altri termini il 58,89% della spesa per il welfare è legato all’assistenza, funzione che andrebbe coperta con le tasse e non con contributi obbligati a carico dei soliti noti: i pensionati con redditi superiori a 3 volte il minimo Inps.

L’ATTACCO ALLE PENSIONI D’ORO

Il leitmotiv del ministro del lavoro, nonché vicepremier e leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio continua ad essere il taglio delle pensioni d’oro.

Sembra che l’attuazione di tale misura costituisca la sostanza delle politiche economiche del Governo, e in particolare l’elargizione del “reddito di cittadinanza” e l’aumento delle pensioni minime. Con la sforbiciata delle pensioni “sopra soglia 4000-5000/mese” si ricaverebbe (secondo un recente annuncio postato sul blog del movimento 5S) un risparmio di spesa pubblica pari ad un miliardo di euro. Già questo dato, se fosse vero (ma non lo è) ci fa capire la scarsa utilità del taglio.

Per avere un termine di paragone sull’ordine di grandezza e di utilità della misura, basti pensare che l’influenza dell’aumento dello spread BTP BUND, relativamente al rinnovo dello stock di titoli del debito pubblico italiano in scadenza, nel caso di un aumento di 100 punti base (è ciò che sta avvenendo adesso) vale 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 nel secondo e 6,6 nel terzo (fonte: ufficio parlamentare di bilancio, nota n. 3/ottobre 2017, “Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi”).

In altri termini, lo sbandierato (ma irrealistico) risparmio di un miliardo sta già per essere, più che interamente, assorbito dall’aumento dello spread, a seguito delle note rivelazioni di stampa sull’improvvida prima bozza del contratto di governo. Il dato sul risparmio di un miliardo, però, come già detto non è realistico.

Invero, più meditate e realistiche previsioni di risparmio di spesa (fonte Soc. Tabula, fondata dall’ex dirigente dell’INPS ed ex consulente di palazzo Chigi, Stefano Patriarca) indicano in circa 200 milioni il risparmio realizzabile, tenendo conto:

a) che i pensionati sopra soglia 5000 sono soltanto, circa, 30mila;

b) che essi ricevono complessivamente 4 miliardi;

c) che la differenza tra pensioni calcolate con sistema retributivo e contributivo consisterebbe, per loro, mediamente in un 5 per cento.

Cosicché il risparmio si ridurrebbe a circa 200mila euro.

Da questa cifra si dovrà poi sottrarre il minore introito fiscale sui ridotti assegni pensionistici.

Da notare che, in campagna elettorale, lo stesso Di Maio aveva stimato un risparmio di ben 12 miliardi!

Da notare anche che nel “contratto di governo” le “pensioni d’oro” da tagliare erano quelle superiori a 5mila euro netti, mentre nel recente blog e nelle ultime dichiarazioni Di Maio parla di “4000-5000” euro netti.

Dunque, la soglia è scesa a 4mila euro netti. Evidentemente si sono resi conto che la soglia 5mila non dà affatto il risparmio di spesa sbandierato.

Dunque soglia 4000, per il momento, e poiché nemmeno questa sarà sufficiente a recuperare le risorse occorrenti ai grandiosi progetti del M5S, si scenderà ancora, magari non subito, ma in seguito, a 3000 e poi a 2000, coinvolgendo milioni di pensionati.

In disparte l’enormità della misura, in violazione dei più elementari principi di uno Stato di diritto (tutela dell’affidamento, incisione retroattiva su diritti quesiti e su rapporti giuridici esauriti, disparità di trattamento tra categorie omogenee, prelievo fiscale mascherato a carico solo di alcuni cittadini, ingiustizia manifesta perché le pensioni sono, per definizione, giustificate dai contributi versati nella misura stabilita dalla legge) essa non resiste a più meditate analisi sulla sua praticabilità e sulla sua utilità.

Pur se non è stato ancora detto quale sarà il criterio del taglio, è facile immaginare che si vorrà convertire le pensioni “sopra soglia” al sistema contributivo introdotto dalla legge 335 del 1995 (cd. Riforma Dini”) e confermato dalla cd. “Legge Fornero”.

Sulla praticabilità, però, basti dire che il ricalcolo contributivo necessita di conoscere un dato, il montante contributivo complessivo delle “vite lavorative” di ciascun pensionato “retributivo”. Senonché, il montante contributivo chi lo conosce?

Si tratta di un dato ignoto all’amministrazione della previdenza, poiché non serve ai fini del calcolo delle pensioni retributive.

Tanto è vero che il d. lgs. 180/1997 ha introdotto un metodo di calcolo forfettario, ai fini dell’esercizio dell’opzione volontaria di scelta del metodo contributivo, introdotta dall’art. 1, comma 23, della legge 335/1995.

Non serve, infatti, conoscere il montante contributivo per il calcolo della quota A (ultima retribuzione moltiplicata per coefficienti di rendimento crescenti, in rapportati all’anzianità contributiva, fino al 1992), né per il calcolo della quota B (media di 10 annualità di retribuzione, moltiplicata per coefficienti di rendimento, dal 1993 al 2011).

Esso è noto e serve soltanto per il calcolo della quota C, cioè per il periodo dal 2012 in poi, per il quale la pensione è “costruita” con il metodo contributivo. Peraltro, si è osservato che per carriere lunghe e continue la conversione al sistema contributivo potrebbe addirittura dar luogo ad assegni pensionistici più elevati! Il risparmio di spesa sarà dunque incerto e scarso.

Per converso, si alimenterà un contenzioso di grandi numeri e dall’esito scontato.

IN CONCLUSIONE

Questa volta la Consulta non potrà non tener conto del fatto che, dal 2008 ad oggi, i pensionati ( e solo loro!) sono stati tartassati con contributi forzosi di solidarietà e con la pluriennale mancata rivalutazione sulle pensioni in essere.

Per non parlare del problema “tasse”. Di Maio e C. sanno o non sanno che l’85% di Irpef/Ires/Isos è pagata dai lavoratori dipendenti (99 miliardi), dai pensionati (58,58 miliardi) e dai lavoratori autonomi (9,63 miliardi)?

Sanno che ben 30 milioni di cittadini (su 60,7 milioni) dichiarano di essere senza reddito e, quindi, sono a carico di qualcun altro? Sono, questi, numeri da “Paese europeo” o c’è dell’altro?

LA TELENOVELA delle PENSIONI D’ORO

Articolo di Lorenzo Stevanato – Magistrato amministrativo in pensione –    Pubblicato su Startmag.it http://www.startmag.it/economia/vi-racconto-la-telenovela-sulle-pensioni-doro/

l leitmotiv del Ministro del lavoro, nonché vicepremier e leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio continua ad essere il taglio delle pensioni d’oro.

Sembra che l’attuazione di tale misura costituisca la sostanza delle politiche economiche del Governo, e in particolare l’elargizione del “reddito di cittadinanza” e l’aumento delle pensioni minime.

Con la sforbiciata delle pensioni “sopra soglia 4000-5000/mese” si ricaverebbe (secondo un recente annuncio postato sul blog del movimento 5S) un risparmio di spesa pubblica pari ad un miliardo di euro.

Già questo dato, se fosse vero (ma non lo è) ci fa capire la scarsa utilità del taglio.

Per avere un termine di paragone sull’ordine di grandezza e di utilità della misura, basti pensare che l’influenza dell’aumento dello spread BTP BUND, relativamente al rinnovo dello stock di titoli del debito pubblico italiano in scadenza, nel caso di un aumento di 100 punti base (è ciò che sta avvenendo adesso) vale 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 nel secondo e 6,6 nel terzo (fonte: ufficio parlamentare di bilancio, nota n. 3/ottobre 2017, “Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi”).

In altri termini, lo sbandierato (ma irrealistico) risparmio di un miliardo sta già per essere, più che interamente, assorbito dall’aumento dello spread, a seguito delle note rivelazioni di stampa sull’improvvida prima bozza del contratto di Governo.  

Il dato sul risparmio di un miliardo, però, come già detto non è realistico.

Invero, più meditate e realistiche previsioni di risparmio di spesa (fonte Soc. Tabula, fondata dall’ex dirigente dell’INPS ed ex consulente di palazzo Chigi, Stefano Patriarca) indicano in circa 200 milioni il risparmio realizzabile, tenendo conto:

  1. a) – che i pensionati sopra soglia 5000 sono soltanto, circa, 30000;
  2. b) – che essi ricevono complessivamente 4 miliardi;
  3. c) – che la differenza tra pensioni calcolate con sistema retributivo e contributivo consisterebbe, per loro, mediamente in un 5 per cento.

Cosicché il risparmio si ridurrebbe a circa 200.000 euro.

Da questa cifra si dovrà poi sottrarre il minore introito fiscale sui ridotti assegni pensionistici.

NOTARE che, in campagna elettorale, lo stesso Di Maio aveva stimato un risparmio di ben 12 miliardi!

NOTARE che nel ″contratto di Governo” le ″pensioni d’oro” da tagliare erano quelle superiori a 5 mila euro netti, mentre nel recente blog e nelle ultime dichiarazioni Di Maio parla di ″4000-5000” euro netti.

Dunque, la soglia è scesa a 4000 euro netti.

Evidentemente si sono resi conto che la soglia 5000 non dà affatto il risparmio di spesa sbandierato.

Dunque soglia 4000, per il momento, e poiché nemmeno questa sarà sufficiente a recuperare le risorse occorrenti ai grandiosi progetti del M5S, si scenderà ancora, magari non subito, ma in seguito, a 3000 e poi a 2000, coinvolgendo milioni di pensionati.

In disparte l’enormità della misura, in violazione dei più elementari principi di uno Stato di diritto (tutela dell’affidamento, incisione retroattiva su diritti quesiti e su rapporti giuridici esauriti, disparità di trattamento tra categorie omogenee, prelievo fiscale mascherato a carico solo di alcuni cittadini, ingiustizia manifesta perché le pensioni sono, per definizione, giustificate dai contributi versati nella misura stabilita dalla legge) essa non resiste a più meditate analisi sulla sua praticabilità e sulla sua utilità.

Pur se non è stato ancora detto quale sarà il criterio del taglio, è facile immaginare che si vorrà convertire le pensioni “sopra soglia” al sistema contributivo introdotto dalla legge 335 del 1995 (cd. Riforma Dini”) e confermato dalla cd. “Legge Fornero”.

Sulla praticabilità, però, basti dire che il ricalcolo contributivo necessita di conoscere un dato, il montante contributivo complessivo delle “vite lavorative” di ciascun pensionato “retributivo”.

Sennonché, il montante contributivo chi lo conosce?

Si tratta di un dato ignoto all’amministrazione della previdenza, poiché non serve ai fini del calcolo delle pensioni retributive.

Tanto è vero che il d. lgs. 180/1997 ha introdotto un metodo di calcolo forfettario, ai fini dell’esercizio dell’opzione volontaria di scelta del metodo contributivo, introdotta dall’art. 1, comma 23, della legge 335/1995.

Non serve, infatti, conoscere il montante contributivo per il calcolo della quota A (ultima retribuzione moltiplicata per coefficienti di rendimento crescenti, in rapportati all’anzianità contributiva, fino al 1992), né per il calcolo della quota B (media di 10 annualità di retribuzione, moltiplicata per coefficienti di rendimento, dal 1993 al 2011).

Esso è noto e serve soltanto per il calcolo della quota C, cioè per il periodo dal 2012 in poi, per il quale la pensione è ″costruita” con il metodo contributivo.

Peraltro, si è osservato che per carriere lunghe e continue la conversione al sistema contributivo potrebbe addirittura dar luogo ad assegni pensionistici più elevati!

Il risparmio di spesa sarà dunque incerto e scarso.

Per converso, si alimenterà un contenzioso di grandi numeri e dall’esito scontato.

Pensioni, sale la base di calcolo dell’assegno per il 2018

Compeltato il quadro che permette di calcolare gli assegni pensionistici dell’anno in corso. I nuovi coefficienti per le rivalutazioni 

 Luca Romano – Gio, 21/06/2018 – 10:31 Completato il quadro che permette di calcolare gli assegni pensionistici dell’anno in corso.

 Dopo l’annuncio del nuovo tassi per i montanti contributivi, l’istituto di previdenza sociale con una circolare ha comunicato i coefficienti di rivalutazione delle retribuzioni, il parametro che di fatto permette il calcolo dell’assegno. Su questo fronte va fatta una precisazione. Il sistema retributivo per il calcolo della pensione è stato archiviato nel 2012. Viene però ancora utilizzato per tutti gli assegni che riguardano tutti i lavoratori che possedevano l’anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995. In questo caso il calcolo dell’assegno avviene su due binari. Il primo riguarda, come riporta pensionioggi.it, gli anni di contribuzione e la media delle retribuzioni lorid degli ultimi anni. Da qui l’assegno che corrisponde al 50 per cento della media degli utlimi stipendi con 25 anni di contributi, al 70 per cento con 35 anni di ncontributi e all’80 per cento con 40 anni di contributi. Poi c’è la rendita che è costituita da quota a e quota b. La quota a corrisponde all’importo relativo ai contributi maturati fino a dicembre 1992. La seconda, la quota b invece è quella che tiene in considerazione il periodo che va dal 1993 al 2011. Per i lavoratori dipendenti la quota A viene considerata con la media degli stipendi degli ultimi 5 anni, la quota b invece sulla retribuzione media degli ultimi 10 anni. Le cifre che poi materialmente vengono erogate con gli assegni della pensione non corrispondono agli importi incassati in busta paga ma vengono rivalutati con il tasso di inflazione. E così, come sottolinea Italia Oggi, uno stipendio del 2016 di 35mila euro, in pensione vale 35.385 euro. Se si considera poi il calcolo della seconda quota si arriva fino a 36.739 euro. Insomma adesso con i coefficienti comunicati dall’Inps salirà la base di calcolo e sarà molto più semplice individuare l’importo degli assegni con decorrenza 2018 con la rivalutazione delle retribuzioni. 

Ricorsi alla Cedu 

Infine, sempre sul fronte rivalutazioni, dopo lo stop della Consulta al ricalcolo degli assegni bloccati dal governo Monti, si apre un’altra pista per chi vuole chiedere gli arretrati sull’assegno previdenziale: il ricorso alla Cedu. “La giurisprudenza più recente – spiega Celeste Collovati, legale di Aspes (rivalutazionepensione@gmail.com) – della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ammette l’esperibilità dei ricorsi anche in assenza del previo esaurimento dei rimedi girisdizionali interni quando si è in presenza di una normativa nazionale vigente che osta al riconoscimento vantato, ovverosia anche chi non ha mai fatto un ricorso nazionale può far valere il suo diritto avanti alla Corte Europea inserendosi nel ricorso collettivo”. I primi rocrsi sono già partiti e ora i pensionati attendono il verdetto della Corte. 

Aggiornamento 21.06.18: Riforma pensioni / Quota 100, il ministro Salvini: “Entro l’anno smontiamo la Fornero”

Questa mattina su Rai3 nel corso della  trasmissione Agorà , Matteo SALVINI ribadisce l’intenzione di  “smontare la legge Fornero …” , come indicato nell’articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net  , insieme ad altri contributi su materia previdenziale.

Riforma Pensioni 2018, ultime notizie sul Governo e Quota 100: Di Maio, “finanziarla con taglio vitalizi e pensioni d’oro”. Usb attacca Inps e l’esecutivo: tutte le novità 

21 giugno 2018 – agg. 21 giugno 2018, 10.39 Niccolò Magnani www.ilsussidiario.net 

La modifica della Legge Fornero in tema di pensioni, è sempre stata uno dei “cavalli di battaglia” del nuovo governo formato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Obiettivo, stravolgere completamente la legge, introducendo la famosa quota 100, ovvero, andare in pensione a 64 anni se si hanno almeno 36 anni di contributi (64 + 36 fa 100). Una volontà ribadita anche nelle scorse ore dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che in occasione di un’intervista rilasciata al programma di Rai Tre, Agorà, in cui ha parlato anche dei migranti e della scorta di Saviano, ha ammesso: «La riforma della Legge Fornero? Entro l’anno. Ci sono dei ministri che non hanno ancora gli uffici e quindi aspettiamo che i ministri abbiano gli uffici e poi entro l’anno si comincia a smontare la legge Fornero ripartendo da quota 100». Entro la fine del 2018 è quindi molto probabile che venga introdotta una nuova legge sulle pensioni, fra le questioni più pregnanti del nuovo esecutivo. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

 QUOTA 100 PER TUTTI MA CON MENO SOLDI? 

Come segnala il quotidiano “Avanti” il progetto per riformare le pensioni del Governo gialloverde potrebbe avere, oltre ai problemi di coperture e inserimento della misura in una Finanziaria già “pesante” per gli altri provvedimenti promessi dal Contratto (Flat tax, Reddito cittadinanza ma non solo), anche una decisa problematica per le cifre dell’assegno pensionistico stesso. La logica del Governo è infatti una Quota 100 per tutti, e non solo per commercialisti, avvocati e medici come lo è già nella legislazione di oggi: chi per va in pensione adesso e percepisce 1.289 euro di pensione, «con la quota 100 prenderebbe 1.089 euro. Inoltre, quota 100 non sarebbe conveniente per i giovani che hanno carriere discontinue», sottolinea il quotidiano socialista. Non solo, secondo gli ultimi studi del Sole 24 ore chi ha avuto carriere discontinue e attualmente ha avuto interruzioni al lavoro superiori ai 2 anni o per malattia o per cassa integrazione, con la Quota 100 rischierebbero di posticipare la pensione di almeno altri 3 anni. Insomma, la riforma Lega-M5s della legge Fornero per anticipare la pensione degli italiani potrebbe avere degli effetti collaterali non propriamente da “lasciare in secondo piano”.. 

RIFORMA PENSIONI, DI MAIO: “DA VITALIZI E PENSIONI D’ORO, FONDO PER LE MINIME” 

Nell’intervista rilasciata a Porta a Porta il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha spiegato a Bruno Vespa come intende finanziare un possibile supplemento di pensioni “minime”: il progetto lo ha presentato già ieri mattina al presidente dell’Inps Tito Boeri e sarò oggetto di discussione al prossimo Consiglio dei Ministri. «Pronto un provvedimento per creare un fondo in cui far confluire i tagli ai vitalizi e alle pensioni d’oro da destinare ai pensionati minimi. Vediamo quanti soldi recuperiamo, ma è un problema di giustizia sociale», ha spiegato Di Maio illustrando come da questo fondo sarebbe possibile coprire il necessario fabbisogno degli assegni minimi per i tanti pensionati italiani. Sul tema delle “priorità” del Governo in merito ai tanti provvedimenti lanciati nel Contratto, Di Maio ha anche spiegato che reddito di cittadinanza e flat tax, ove possibile, saranno inseriti al più presto nell’agenda politica forse già a partire dalla prossima Finanziaria. «Acceleriamo e spero di poterlo portare in legge di bilancio a fine anno», ha rilanciato il ministro riguardo la misura per la povertà messa in atto dal programma M5s. 

USB CONTRO GOVERNO E INPS 

Con una lunga nota pubblicata dalla sezione Toscana dell’Unione Sindacale di Base, i sindacati autonomi rivendicano un’azione forte e “pubblica” del nuovo Governo dopo che tutti i precedenti – secondo l’Usb – avrebbero fallito nel tentare di sistemare il nodo pensioni in Italia. «L’Unione Sindacale di Base rilancia la battaglia per la difesa delle pensioni e la previdenza pubblica, dopo anni di scellerati attacchi e di tentativi di smantellare l’INPS. Con la scusa del pareggio di bilancio in costituzione i Governi negano la possibilità di aumento della spesa sociale, questo significa che come già avvenuto nel recente passato, che ci saranno pesanti tagli alla sanità, alle pensioni, così come sarà quasi impossibile procedere alla revisione della Legge Fornero», scrive la nota pubblicata ieri in tutti circoli toscani. L’attacco è diretto all’Inps e anche all’attuale governo che dai primi provvedimenti ipotizzati non sembra convincere appieno neanche la sezione Usb dei sindacati autonomi. «L’INPS è sottoposta da tempo ad un processo di ristrutturazione che prevede esternalizzazione delle prestazioni, riduzione della possibilità di accesso da parte di lavoratori e pensionati, riduzione progressiva e sistematica degli operatori con scadimento voluto delle prestazioni ancora garantite non si sa per quanto. Si vuole spingere l’opinione pubblica verso la condivisione di una privatizzazione completa della previdenza pubblica di cui l’INPS è garante e simbolo», conclude l’invettiva l’Unione Sindacale di Base.