di Alberto Brambilla su Itinerariprevidenziali.it
Nel 2019 (anno che ha preceduto la pandemia da COVID-19) la spesa per pensioni italiana è ammontata a 230,25 miliardi, il 12,88% del PIL: un valore in linea con la media europea ma distante da quello che viene effettivamente comunicato dalle nostre istituzioni a Bruxelles. Generando confusione ed esponendo il Paese al rischio di una nuova dura riforma.
In Italia separare la spesa assistenziale da quella pensionistica non si può: è questo il verdetto emesso dagli esperti della Commissione tecnica istituita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Esperti secondo i quali non sono scorporabili, almeno attualmente (?), le integrazioni al minimo degli assegni pensionistici, pensione e reddito di cittadinanza, assegni sociali, maggiorazioni sociali, quattordicesima mensilità e numerose altre forme assistenziali quali i prepensionamenti, le ristrutturazioni di Poste, Ferrovie, Alitalia e altre aziende di Stato che, per privatizzarsi, hanno scaricato sulle pensioni, un esercito di cassintegrati prima e pensionati poi (tutti con contributi rigorosamente figurativi a carico della fiscalità generale e sul “conto pensioni”). Senza contare i fondi speciali e i coltivatori diretti che ogni anno costano “una finanziaria”. No, devono rimanere collocati nella spesa pensionistica!
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