Commento di Biasioli alle esternazioni di Cazzola a proposito della Sentenza della Consulta
“Secondo Cazzola è corretto che una legge “fasulla” bastoni ancora una volta solo i pensionati e non i cittadini attivi, a parità di reddito !
E, ciò, non solo nel 2012-2013, ma fino a tutto il 2018.
Alla faccia dell’equità….sociale e del rapporto tra pensione e contributi versati.
Evidentemente le tante Corti dei Conti regionali ed i Tribunali civili, che hanno rinviato il problema alla Consulta, sono tutti da “censurare”.
Per fortuna, la pensiamo in modo diverso.
Per fortuna esiste la CEDU, a Strasburgo.
Ed alla CEDU Noi andremo, alla faccia di Cazzola e di chi, come Lui, non pensa che i tagli pensionistici abbiano natura tributaria.
Alla faccia di chi continua a salvare i vitalizi e non vuole separare l’assistenza dalla previdenza.
Alla faccia di chi (Consulta) vara una sentenza politica e non tecnica.
Politica, fuoriuscita da afflati di giudici di nomina politica e non da costituzionalisti seri.
Già, anche Noi attendiamo il testo “esteso” della sentenza e ne commenteremo gli equilibrismi.
Forse che tocca solo ai pensionati salvare il bilancio dello Stato?
A quelli come Cazzola, no…non tocca. Perchè? “
Stefano Biasioli – Presidente FEDERSPeV di Vicenza.
Articolo di Cazzola a proposito della Sentenza della Consulta (Formiche.net del 30.10.17)
Non condivido le valutazioni critiche (alcune delle quali ospitate anche da Formiche.net) sulla sentenza del 25 ottobre scorso con la quale la Consulta ha riconosciuto la legittimità (e la ragionevolezza) del dl n.65/2015 con cui il governo Renzi provvide a dare applicazione alla sentenza n.30 dello stesso anno, in materia di rivalutazione automatica delle pensioni la cui dinamica era stata bloccata (comma 25 dell’articolo 24 del decreto Salva Italia varato dal governo Monti alla fine del 2011) per i trattamenti superiori a tre volte il minimo (1.405,05 euro lordi mensili nel 2012, e 1.443 nel 2013). Credo che i giudici delle leggi non avrebbero potuto esprimersi diversamente. E non solo – come si dice – per evitare lo sfascio dei conti pubblici caricandoli di un esborso insostenibile (si parla di alcune decine di miliardi) che – come prima cosa – avrebbe determinato l’impossibilità nella legge di bilancio di sterilizzare l’aumento dell’Iva. Ma la sentenza, a mio avviso, non fa una grinza anche sul piano giuridico (ovviamente questa opinione rimane in attesa di una lettura approfondita della motivazione).
La Corte, con la sentenza n.30, non aveva sollevato una questione di illegittimità del comma 25 nel suo complesso, ma soltanto nella parte in cui prevede che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento». In sostanza il Collegio si era espresso sulla congruità della misura in rapporto alla necessità di garantire l’adeguatezza delle prestazioni come prevede l’articolo 38 della Carta Costituzionale.
Il governo Renzi con il dl n.65 aveva ampliato la platea dei soggetti tutelati, elevando, sia pure con rimborsi di carattere parziale, il limite della salvaguardia a sei volte l’importo del minimo. Il che ha significato che, nell’insieme, ad almeno 12 milioni dei 16 milioni di pensionati, era stata riconosciuta una tutela totale o parziale in relazione alla rivalutazione automatica al costo della vita. I giudici delle leggi – che avevano ribadito, come in casi precedenti, la legittimità dell’intervento del legislatore in questa materia (tanto da respingere, in sede di esame del comma 25, un ricorso che chiedeva la cassazione integrale della norma) non potevano mettersi a contrattare con il Governo sui criteri dell’adeguatezza. Già la sentenza n.30 del 2015 presentava dei profili discutibili. Insistere su quella impostazione avrebbe significato un’invadenza nei poteri spettanti al governo e al Parlamento.