Stavolta ci siamo.
Dopo cinque anni di continue, ossessive e minacciose campagne mediatiche, il Governo ha annunciato un disegno di legge che mira al ricalcolo retroattivo, al ribasso, delle pensioni che stiamo percependo, assurdamente ritenute “un privilegio”.
Non di tutte, per il momento, ma solo di quelle che eccedono una soglia, che originariamente nel “contratto di governo” era stata identificata in 5000 euro netti mensili, ma che nelle ultime settimane è diventata di 4000 euro netti mensili. Naturalmente, vista la finalità sottesa alla decurtazione (finanziare il reddito di cittadinanza) non si esclude che tale soglia possa, in futuro, scendere ulteriormente, in funzione dell’enorme quantità di denaro che questo Governo vuole reperire per ripagare il consenso degli elettori.
Con questa legge verrà introdotto in materia previdenziale un precedente, inaudito ed abnorme, che renderà possibile, in futuro, intervenire su tutte le pensioni, anche su quelle più basse, riducendole per ricavare le risorse via via necessarie a finanziare le iniziative populiste delle forze politiche in carica.
Se così sarà, dovremo abdicare alla concezione che il nostro è uno Stato nel quale il cittadino può fare affidamento sul principio di certezza del diritto.
Il taglio, assai rilevante, fa seguito ad una serie di altre decurtazioni, susseguitesi dal 2011 ad oggi, che hanno pesantemente inciso sul potere d’acquisto dei pensionati.
I tagli hanno finora riguardato esclusivamente i pensionati, risparmiando tutte le altre categorie di reddito, in barba ad ogni istanza di equità che pure rappresenta il principio cardine della nostra Costituzione repubblicana.
Sono stati puniti i pensionati, colpevoli di aver lavorato e versato tasse e contributi per tutta la vita (nel paese con l’evasione fiscale più elevata d’Europa) perché ritenuti, come appare evidente, una categoria meno capace di mobilitarsi, più arrendevole, elettoralmente meno “pericolosa” e quindi più facile da “spennare”.
Il Ministro Di Maio, in versione “Robin Hood”, vuol far pagare a pensionati che hanno puntualmente versato elevati contributi stabiliti dalla legge, durante la vita lavorativa, i costi del reddito di cittadinanza che sarà elargito a chi non lavora, non versa contributi, non paga imposte sul reddito ma ha il “merito” di aver contribuito al successo elettorale del M5s.
Questi pensionati, non soltanto hanno subito elevate trattenute previdenziali sulla retribuzione, ma hanno altresì grandemente contribuito, con oltre un terzo del proprio reddito da lavoro dipendente, prelevato dal Fisco, al benessere dei cittadini italiani mediante il sostegno alla spesa pubblica per sanità, istruzione, assistenza sociale e altro, per tutta una vita lavorativa. E contribuiscono tuttora, copiosamente, attraverso l’elevato prelievo fiscale sul reddito da pensione.
Questi (non i candidati al reddito di cittadinanza) sarebbero però “parassiti sociali” secondo la sprezzante e sleale definizione del Ministro del lavoro.
Ci siamo sforzati, in questi anni, di reagire a manovre di questo tipo per difendere, non solo il nostro reddito da pensione, ma anche, e soprattutto, la nostra dignità calpestata dalla politica.
Abbiamo impugnato leggi che ritenevamo inique, ricorrendo fino alla Corte costituzionale ed alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Agiremo in giudizio anche contro questa legge, ben consci che se non riusciremo, questa volta, ad ottenere ragione vorrà dire, purtroppo, che in Italia non vi è più la certezza del diritto e che la nostra Costituzione repubblicana è ormai lettera morta.
La norma che si intende introdurre, infatti, finirà per essere una delega in bianco e definitiva al Governo ed all’I.N.P.S. per ogni taglio alle pensioni di cui si ravvisi in futuro la necessità o anche semplicemente l’opportunità, per compiacere l’elettorato.
Centomila saranno i percettori di trattamenti pensionistici candidati al prelievo forzoso. Prelievo forzoso che si delinea come permanente, assumendo le caratteristiche di un vero e proprio esproprio.
Non possiamo rimanere inerti di fronte ad un’ingiustizia e ad un pregiudizio di tale enormità: si impone una larga partecipazione al ricorso che dovrà assumere le dimensioni di una vera e propria “class action”, trasformandosi finalmente in una protesta di massa e travalicando la dimensione giudiziale.
Occorre che tutti ci mobilitiamo: è indispensabile la partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati che dovranno impegnarsi nella diffusione capillare della protesta e dell’azione tra le centomila vittime designate, molte delle quali potrebbero essere ancora inconsapevoli della grave ed inaudita ingiustizia che il governo sta perpetrando ai loro danni.
Lorenzo Stevanato (Magistrato Amministrativo in pensione) – Arturo Ennio Orsini (Direttore sanitario in pensione) – Padova, 17.07.18